L’uomo, in quanto animale sociale, vive all’interno di un tessuto di relazioni e rapporti interpersonali e la libertà individuale e collettiva che li permea costituisce oggetto di riflessione sin dai tempi degli antichi Greci e Romani. Nel corso dei secoli, si sono avvicendate concezioni diverse e a volte opposte sulla prevalenza o sottomissione della libertà del singolo rispetto al potere del sovrano e dello Stato, al bene comune e all’ideologia dominante. Tuttavia, esiste un frangente in cui l’individuo ancora oggi accetta di privarsi di questo valore fondamentale: quando è in gioco la sicurezza.
“Ogni società a tutti i livelli si trova ad affrontare il conflitto tra libertà individuale e sicurezza collettiva. Da questo conflitto nascono le leggi che regolano la convivenza di una comunità. Ma questo conflitto si declina anche all’interno dei nuclei famigliari, ad esempio nel rapporto genitori-figli: le limitazioni alla libertà sono parte integrante del percorso educativo e sono motivate dall’esigenza di tutelare la sicurezza dei figli, ma devono trovare il giusto equilibrio con lo sviluppo della loro autonomia e libertà di scelta”, spiega Giovanni Maga, virologo e direttore dell’Istituto di genetica molecolare (Igm) del Cnr. “Nel momento in cui si esce dalla dimensione individuale per entrare in una dinamica di relazioni, la limitazione della libertà al fine di garantire la sicurezza (e la dignità) delle persone è inevitabile. Esistono poi situazioni eccezionali, in cui libertà fondamentali, quali il diritto al lavoro, all’istruzione, alla mobilità, sono ulteriormente compresse. Le epidemie e le pandemie sono un tipico esempio, come l’umanità ha sempre sperimentato: dalla peste di Atene a quella manzoniana, dall’influenza spagnola alla pandemia da Sars-CoV-2. In questi frangenti, infatti, il bene collettivo prioritario che si cerca di tutelare è la salute”.
La pandemia legata al Covid-19 ha condotto a restrizioni di vario tipo, che hanno dato luogo ad accesi dibattiti politici, culturali e mediatici. Ma perché non abbiamo il “diritto di ammalarci”? “La salute – e il diritto alla sua tutela – è un bene supremo, da cui discende ogni altra libertà. Nessun uomo è veramente libero quando è schiavo della malattia. Non a caso la Costituzione all’art. 32 definisce la tutela della salute come ‘fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’”, continua il direttore del Cnr-Igm. “Tuttavia, la declinazione di questo principio necessita di un accurato bilanciamento. E questo compito è complesso perché complessa è l’articolazione del concetto di salute: una condizione di benessere psico-fisico che, in senso ampio, comprende non solo l’assenza di una patologia specifica ma anche l’integrità psicologica, l’ambiente salubre, il diritto alle cure. L’attuazione di un giusto compromesso è compito del decisore politico, che però deve essere guidato dalla scienza, che consente di valutare quali siano gli effettivi rischi per la salute e le misure che possono limitarli. La politica deve poi valutare le conseguenze che queste misure avranno sugli altri diritti individuali e sul benessere della società in generale, soppesando accuratamente il rapporto costo-beneficio. È chiaro, però, che di fronte alla perdita di vite umane ogni altra considerazione deve passare in secondo piano, perché in ogni società evoluta la tutela della vita umana è gerarchicamente superiore a qualsiasi altro diritto”.
I cambiamenti a cui la pandemia ha costretto i cittadini possono però divenire anche motore di miglioramenti ad ampio raggio. “Penso che le rinunce che la società ha dovuto subire possano servire a farci apprezzare ancora di più le libertà di cui godiamo e che spesso diamo per scontate”, commenta Maga. “Da questo dovrebbe discendere anche una maggiore determinazione a fare sì che queste libertà vengano portate anche dove ancora non ci sono. Capire fino in fondo il valore del benessere di cui godono i Paesi più ricchi deve farci anche comprendere quanto sia difficile l’esistenza delle popolazioni che ancora vivono nell’indigenza, nelle malattie, nella fame. Ma se anche si volesse sposare solo un’ottica utilitaristica, dovremmo comunque ricordare che aumentare il livello di benessere delle società più fragili diminuisce anche il rischio di epidemie, che in un mondo globalizzato possono facilmente raggiungere tutti”.
La speranza per il nuovo anno è quindi quella di una riflessione sul potere dell’uomo di agire su di sé e sulla società che lo accoglie: “Forse, l’attuale grande paura di ammalarsi potrebbe aiutarci a tutelare la salute anche in periodi di normalità, adottando stili di vita migliori. Soprattutto, questa pandemia, così intensa anche dal punto di vista mediatico, deve servire a far comprendere che uno dei fattori che aumentano il rischio che questi episodi diventino sempre più frequenti è l’uomo stesso”, conclude il virologo. “L’invasività della nostra specie e la nostra capacità di modificare drasticamente gli equilibri degli ecosistemi, crea le opportunità per la comparsa di nuove malattie e la riacutizzazione di quelle vecchie. Allora, questa dura lezione deve stimolarci a ripensare anche al nostro rapporto con l’ambiente”.
Laura Politi [Da L’Almanacco della Scienza CNR N. 2 – 27 gen 2021]