di Federico Scatamburlo
Reduce dal successo del Rigoletto al Filarmonico di Verona (vedi recensione del 22 marzo), abbiamo avuto, successivamente, l’opportunità di fare una chiacchierata, che riportiamo di seguito, con il simpaticissimo e bravissimo baritono Federico Longhi.
Da dove è partita la tua carriera e come si è sviluppata?
È iniziata qui in Val d’Aosta dove io abito; venne il Maestro Valdengo ad un saggio, all’Institute Musical, quello che ora è il Conservatorio della Val D’Aosta, nel 1991, mi fece dei bei complimenti, trovava bella la mia voce, e io mi augurai di poter studiare con lui. Dopo poco tempo mi chiamò, si trovava in effetti a pochi minuti di macchina da dove abito io, e averlo così vicino è stata veramente una grande fortuna, e con lui ho iniziato. Feci quell’estate l’uditore a un suo corso ad Arenzano, e poi qui a Saint-Vincent iniziai a studiare con lui; nel 1993 feci il primo concerto, debuttando il duetto di Falstaff e Ford, opera che mi segue ormai da diversi anni, e nel 2015 si è come chiuso un cerchio avendo avuto la possibilità di esibirmi in quest’opera diretto dal Maestro Muti a Ravenna, in quanto anzichè interpretare Falstaff, feci Ford, completando così quelle notazioni caratteristiche che derivano direttamente dal Maestro Toscanini con il quale Valdengo aveva inciso quest’opera. Anche Muti è soprattutto Verdiano, un grandissimo musicista e questa collaborazione è stata per me l’apoteosi.
Poi nel 1995 vinsi il concorso Giulietta Simionato e quindi debuttai con Le Nozze di Figaro dove ero protagonista. Anche questo ruolo è a me caro, e lo canto sempre con piacere, più nei recital che nelle produzioni. Altro incontro fortunato fu nel 1996-1997 con Arrigo Pola, all’Accademia Toscanini di Modena, che frequentai per parecchi anni, poi la Sig.ra Ricciarelli, con la quale è poi nata una sincera amicizia che ci lega tutt’oggi, dal 1998.
In quegli anni la Sig.ra Ricciarelli era direttore artistico a Lecce, e mi propose alcune produzioni, per esempio la Adriana Lecouvreur, con la Elena Obraztsova e la Sutherland in prima fila in teatro, poi ancora la Tosca con Daniela Dessì e anche con quest’ultima iniziai una buona amicizia e collaborazione.
Un’altra persona cui devo molto, per quanto riguarda gli studi, è il maestro Leone Magiera, che conobbi in quanto mi premiò in un altro concorso a Ostra di Senigallia, e poi feci insieme delle masterclass ed anche tanti concerti. Un paio di anni fa ricevetti da lui una simpatica telefonata, nella quale mi chiamò lui “maestro”, in quanto seppe che ero io l’insegnante della Sig.ra Anna Pirozzi, dopo averla sentita in un Macbeth, e mi contattò appunto per complimentarsi.
Quindi sempre tanto tanto studio, esperienze, i vari ruoli, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Così abbiamo anticipato una domanda: quanto è importante lo studio per la carriera di cantante?
Lo studio è alla base di tutto per la carriera di un cantante. Un po’ come l’allenamento per uno sportivo, va sempre fatto, mai mollare. Insieme ovviamente alla gavetta, lo studio è fondamentale e nel mio caso mi ha portato dove sono, mi ha insegnato come muovermi in palcoscenico. E poi le soddisfazioni arrivano: più di qualcuno mi ha detto, in questo recente Rigoletto, che sembrava che avessi già fatto questa parte, e non lo stessi debuttando. Da precisare infatti che l’ho studiato tantissimo, e anche sul palco non mi risparmio, mi butto e faccio (tant’è che ho dei lividi sulle ginocchia…. [ride] ). Metto insieme tutti gli insegnamenti ricevuti dai miei maestri, l’uso della parola, l’uso del cantabile e del grande legato, e, vorrei aggiungere, anche gli insegnamenti della Sig.ra Alida Ferrarini, con la quale ho studiato fino a un mese prima della sua scomparsa, che mi ha dato una grande “zampata”, da buona tigre come era lei definita, e con la quale le lezioni erano anche delle discussioni sul canto, uno scambio di idee.
Riassumendo lo studio deve essere alla base di tutto, i vocalizzi e l’uso delle vocali, che devono essere ben definite, pulite, poi va dato il “colore” in base all’interpretazione, per esempio come nel Rigoletto nel finale della maledizione, dove la “e” ha un colore brunito, scuro, c’è tutto il dramma di un padre che ha perso la figlia.
Come hai preparato questo Rigoletto?
Devo dire che fondamentale, oltre allo studio, è stata l’equipe al completo che era formidabile.
A partire dal maestro Carminati, il coro, i colleghi, gli orchestrali, trucco, parrucco, le sarte, l’attrezzeria… è bello lavorare in una bella e affiatata equipe, senza le tipichè “gelosie” che troviamo spesso nei teatri e che mi è capitato di vivere sulla mia pelle. Invece per esempio anche con Mihaela Marcu (Gilda in questo Rigoletto – ndr) c’è un bellissimo rapporto, avremo modo di collaborare ancora in futuro.
Nonostante a Verona abbia cantato molte volte e per diversi anni, anche con la Kabaivanska, non è stato facile questo ruolo, e qualcuno era perplesso per questa parte, ma io mi sentivo pronto. La soddisfazione è stata grande comunque, tutti ci abbiamo messo l’anima ma ne siamo stati premiati. La cosa singolare è stata questa richiesta di bis alla fine del secondo atto, che non succede mai, eravamo molto emozionati. Abbiamo sentito molto calore dal pubblico verso noi giovani emergenti, e sappiamo che il pubblico è molto esigente, non succede quasi mai.
Comunque alla base c’è sempre molto molto studio, bisogna prepararsi, se c’è occasione di provare molto ben venga, come in questo caso, ma lo studio preventivo è fondamentale. Oltre al canto c’è anche l’interpretazione da assimilare, opera per opera, come in questa, dove sono diventato un padre, e quindi il fraseggio opportuno, le espressioni ecc… Comunque dopo il Rigoletto c’è bisogno di un bel Barbiere (ride), per riposare la voce…è stato bello ma faticoso.
E i concorsi sono utili per la carriera?
Nel mio caso certamente. Non è la vittoria in sè importante, ma le conoscenze che si possono fare, e che nel mio caso hanno permesso alla mia carriera di instradarsi in un certo modo, e dandomi anche occasioni lavorative.
Quanto è faticoso il “lavoro” del cantante lirico?
È bello e gratificante, ma non è così facile come visto dal di fuori. Bisogna tenere presente che si mette in gioco tutta la propria fisicità e non solo: oltre alle corde vocali, si usa tutto il corpo, poi c’è l’interpretazione, bisogna calarsi nella parte, e questo ha anche un risvolto psicologico da non trascurare, che bisogna saper gestire, poi è necessario stare attenti all’alimentazione, specie prima delle recite non si può mangiare qualsiasi cosa, insomma non è così semplice. Ci vuole parecchia disciplina con sé stessi.
La giornata tipo di un cantante lirico durante una produzione?
È molto soggettivo. Io per esempio, a parte durante le prove con i colleghi, direttore e orchestra, cerco di stare più solo possibile, mi ritiro subito, cena veloce, e poi in solitudine e in silenzio, non solo per risparmiare la voce, ma per assimilare la nuova regia, le istruzioni ricevute dal direttore; cerco di staccare per fare mente locale e ristudiare tutto. Una specie di silenzio-meditazione per “fissare” tutto nella mente ed essere al meglio. Nel Rigoletto inoltre, essendoci molto movimento da parte del protagonista, ho sempre cercato di ritagliarmi un po’ di spazio per l’attività fisica, una camminata veloce di un’ora e mezza, per mantenere il fiato e per essere più agile ed eseguire tutto quanto mi era stato richiesto.
Solo una cosa mi sono rifiutato di fare: la morte di Rigoletto saltando dal tetto della barca, perché, soffrendo un po’ di vertigini, durante le prove ho avuto un leggero mancamento in quella posizione, dopo una corsa sul palco e dopo aver fatto l’ultimo acuto, e allora, rispetto al baritono dell’altro cast, il regista mi ha detto <<vedi tu dove morire>> (ride), e così ho deciso di allontanarmi leggermente e “cadere” direttamente a terra.
Federico Longhi è scaramantico prima di andare in scena?
No, non sono superstizioso. Sono credente, ho un rapporto speciale con Gesù, ma non uso farmi segni della croce prima di andare in scena. Io prego la mattina, alla sera, durante il giorno quando sono in strada penso alle persone che hanno bisogno, insomma Lui sa, come si dice, non serve chiedere. Ovviamente nei periodi più difficili gli faccio una “telefonata” in più, diciamo che Lo chiamo al cellulare (ride), ma comunque cerco di stare sereno con me stesso, e basta. Non ho amuleti né simboli, la fede è dentro di me. Quello che faccio sempre, anche a fine recita io ringrazio, sempre. E a volte, come si dice, è più facile chiedere scusa che permesso.
E quando non canti cosa fai?
Mi piace quando torno a casa, aiuto in giardino, le cose di casa, mi piace, anche d’inverno, preparare la legna, seguire la villa che i miei genitori hanno costruito tanti anni fa e che ovviamente richiede manutenzione.
Poi faccio anche lezioni, sono sempre disponibile per questo, specie per coloro che vengono appositamente da lontano, anche perché mettere “le mani in gola” alle persone, non è solo una questione economica ma un impegno e una responsabilità non da poco, come ho fatto con Anna (Pirozzi – ndr), e che adesso vediamo dove è arrivata, e come lei molti altri, per esempio Valentina Boi, Aida a Livorno, e sono belle soddisfazioni.
È una parte di me anche questa, anche se qualche volta devo dire di no, perché devo pensare anche a me. Non nego che in caso di necessità e anche quando ero a Verona ho fatto delle fughe per raggiungere due soprani che arrivavano direttamente da Vienna per delle lezioni, e Valentina che doveva preparare Aida ecc… ma sono comunque felice così.
Adoro cucinare e “magno”, mi invento cose più o meno semplici. Poi gli amici di sempre, qui in Val d’Aosta, soprattutto persone che sono fuori dal mio mondo, persone che non hanno niente a che vedere con il palco, i bis, i fischi, gli autografi, ma con i loro problemi e le loro felicità di tutti i giorni che abbiamo tutti. Mi ritengo fortunato ma allo stesso tempo cerco di non dimenticare il mondo in cui viviamo, siamo tutti nella stessa barca.
Preferisci l’opera tradizionale o quella moderna per la regia?
L’importante è che tutto abbia un senso: ad esempio ho fatto una Carmen, di Calixto Bieito, a Torino, per la quale il regista ci ha spiegato tutta la ricerca che c’era a monte, l’ambientazione nel deserto in Africa, tante cose, anche molto dure, che avevano un loro perché, e anche in questo Rigoletto, con la regia di Arnaud, nel quale nel primo quadro queste donne violentate, come oggetti, simbologie della corte dell’epoca, in questo caso potevano lasciare un po’ allibiti i puristi, ma le motivazioni erano precise, magari non vengono capite se non si è parlato con il regista.
Sono d’accordo sul “ringiovanire” un’opera quando possibile, ma cambiare il libretto no. Per esempio la Boheme del maestro Scola a Torre del Lago e a Genova, e che poi ho fatto a Torino, era una Boheme sognante, con la neve, piena di romanticismo, la vera storia dei due protagonisti, ed è piaciuta tantissimo. Il teatro era pieno e tutti con le lacrime, perché la gente ha ancora voglia di andare in teatro per non vedere violenza, ma sognare e staccare la testa dal quotidiano già difficile.
Prossimi impegni?
Tra poco parto per Shanghai e Pechino dove interpreterò Escamillo (Carmen), e a Settembre debutterò finalmente come Falstaff a Linz. Io adoro l’Italia ma sono contento di avere queste opportunità anche all’estero, che ti fanno crescere, anche se sono stato diverse volte in Giappone ma sempre con produzioni di teatri italiani.
Seguiremo dunque con attenzione la tua carriera, intanto i nostri migliori complimenti, in bocca al lupo e a presto!