Con l’avanzare dell’età, gli ingranaggi del nostro orologio interno si muovono a una velocità diversa da quella tenuta in precedenza, restituendoci la sensazione che il tempo proceda più speditamente. Per capire se c’è una spiegazione neurobiologica ne abbiamo parlato con Elisabetta Menna, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze del Cnr
È convinzione diffusa che l’invecchiamento porti con sé l’impressione che il tempo scorra via molto più rapidamente di quanto non avvenga nelle precedenti fasi della vita. Ma che cosa avviene nella nostra testa con la senescenza? E perché con il trascorrere degli anni cambia la percezione del passare del tempo? “Il cervello è un organo estremamente complesso e per quanto riguarda la percezione del tempo non sembra sia possibile identificare, almeno ad oggi, un’unità anatomica direttamente deputata a questo scopo, a differenza di quanto avviene per i sistemi sensoriali di vista e udito”, spiega Elisabetta Menna dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Milano, studiosa dei meccanismi molecolari e cellulari che controllano le funzioni delle sinapsi, i raccordi che collegano un neurone all’altro. “Pur tuttavia, la scansione del tempo è fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane, per determinare le decisioni da prendere in determinati contesti. Si pensi, ad esempio, a quando si deve affrontare un attraversamento pedonale e il semaforo è arancione e si pensa ‘farò in tempo ad attraversare prima che scatti il rosso – magari accelerando il passo – o sono costretta a fermarmi?’. È necessario essere in grado di processare dati in uno specifico lasso di tempo, più o meno breve a seconda dello sviluppo temporale che l’azione da svolgere comporterà”.
Uno studio recente di Adrian Bejan, professore alla Duke University della Carolina del Nord, affida ai movimenti saccadici (movimenti volontari, che si osservano durante l’esplorazione della scena visiva) il ruolo di metronomi, per così dire, delle nostre vite. Sono spostamenti repentini degli occhi che Bejan ritiene responsabili dell’elaborazione delle immagini da parte del cervello, poiché ne stabilirebbero la frequenza di registrazione. In un individuo, la velocità di questi movimenti – e la conseguente capacità di archiviazione delle immagini nella testa – diminuisce con il passare degli anni, dando così la sensazione che tutto si svolga molto più rapidamente di quanto in realtà accada. “Le saccadi, un certo tipo di movimenti degli occhi, sono molto rapidi nei bambini e diminuiscono di velocità con il passare degli anni. L’attenzione spaziale, controllata proprio dalle saccadi, influenza l’aspetto temporale, ossia la quantificazione della durata di un evento”, chiarisce la ricercatrice del Cnr-In. “È ragionevole ritenere che questi movimenti oculari abbiano un ruolo nella determinazione del tempo ma, vista la complessità dei processi cerebrali, che presuppongono la concertazione di più aree del cervello, è altrettanto lecito pensare che non siano le uniche cause”.
Ma anche il cervelletto, struttura posta nella parte posteriore del cervello, svolge un ruolo importante. “Durante il corso della vita intercorrono sia cambiamenti macroscopici – nella struttura del cervelletto – sia microscopici – nei circuiti che collegano il cervelletto con la corteccia cerebrale e le regioni sottocorticali. Nei bambini, fino a circa dieci anni d’età, il cervelletto ha un ruolo preponderante nel controllo delle funzioni cognitive, sociali ed emotive perché la corteccia cerebrale non è completamente formata. Quando la corteccia è ancora immatura, gli input che arrivano dal cervelletto, molto più sviluppato, sono essenziali nel guidare l’attività del cervello. Nell’età adulta, questi input diventano soltanto modulatori, perché è la corteccia, ora completamente sviluppata, a fare il gioco e il cervelletto resta fondamentale per la determinazione degli aspetti motori e sequenziali. Quindi, nel bambino, in un sistema ‘a guida cervelletto’, potrebbe determinarsi una percezione del tempo più sviluppata, perché questa è una delle funzioni del cervelletto stesso”, conclude Menna. “Nell’età adulta, questa funzionalità sembra perdere progressivamente efficacia. Ad ogni modo, un invecchiamento sano, senza patologie neurodegenerative, comporta il cambiamento di molteplici processi neurofisiologici, cambiamento che potrebbe mutare nell’individuo la percezione dello scorrere del tempo”.
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