Recensione di Salvatore Margarone
Ieri sera, Giovedi 17 marzo al Teatro Carlo Felice di Genova, memorabile rappresentazione dell’opera Roberto Devereux di Gaetano Donizetti. Anche i meno esperti sono rimasti senza fiato: musica meravigliosa quella di Donizetti che lascia in questa intuire le melodie dei cantabili delle sue future opera.
Gli interpreti non si sono risparmiati in nulla, e hanno lasciato un impronta indelebile per stile e vocalità: Mariella Devia, nei panni di Elisabetta I, a nostro parere unica interprete vivente di questo ruolo, ha mostrato una padronanza della voce, del ruolo e del personaggio invidiabili.
Sicura sulle scene, drammaturgia di notevole impatto, ha reso perfettamente una Regina di tutto rispetto, con fraseggio perfetto, fiati ben tenuti ed uso di mezze voci strepitoso, ma anche una forza timbrica non da poco, in tutta l’opera ma in ispecie nel finale del terzo atto con l’aria “Quel sangue versato al cielo s’innalza” a lungo tributato dal pubblico.
La Devia, rispetto a molti anni fa, è decisamente migliorata, maturata: la sua voce è fresca, omogenea nel registro, mai stridente o stretta sugli acuti, una voce che sembra non risentire del tempo che passa. Lunghi prevedibili applausi ed ovazioni, quindi, alla fine dell’opera, per una vera “Regina del bel canto”.
Non da meno è stata Sonia Ganassi, nel ruolo di Sara, dotata di una bellissima voce mezzosopranile, calda, ben proiettata verso il pubblico, mai spinta, come invece è consueto fare in questo ruolo da altre artiste. Emozionante nel primo atto il duetto Sara-Roberto “Ah! Quest’addio fatale estremo”, ricco di pathos e dramma insieme.
Aggiungendo poi la splendida voce del tenore Stefan Pop, nel ruolo di Roberto, si è potuta apprezzare veramente tutta l’opera, perché, possiamo affermarlo senza tema di smentita, un tenore così non si sente quasi mai in Italia!
Irrompe sulla scena con la sua grande voce, intonatissimo, con squillo, impeto, ma mai sgraziato o esagerato, controllato con sapiente equilibrio, lasciando la parola anche alle emozioni, interpretando il suo personaggio in maniera egregia, degno dei compagni di viaggio sulle scene.
Sicuramente il momento più incisivo del suo ruolo è stato al terzo atto, con la sua aria “Come uno spirto angelico”, e poi ha dato il meglio di sé in “Bagnato è il sen di lacrime”, scatenando un tripudio di applausi da parte del pubblico presente.
Ottime interpretazioni anche per il tenore Alessandro Fantoni (nei panni di Cecil), e per il baritono Marco di Felice che ha interpretato il Duca di Nottingham. Quest’ultimo ci è parso tuttavia un po’ sottotono o forse ha risentito dell’emozione della prima recita.
Roberto Devereux debuttò al San Carlo di Napoli il 28 ottobre 1837 con un successo che confermò la predilezione del Donizetti tragico per i grandi soggetti di ambientazione nobiliare: l’opera, infatti, è il terzo capitolo del cosiddetto “Ciclo delle regine di Tudor”, inaugurato nel 1830 con Anna Bolena (il titolo che aveva aperto al compositore le porte dei teatri parigini) e proseguito nel 1835 con Maria Stuarda. Lo stile compositivo di Donizetti si elevava davanti a vicende di amori irrealizzati in ambienti di corte (in questo caso quello di Elisabetta I e della Contessa Sara di Nottingham per Roberto Devereux, conte di Essex) e a figure femminili dello spessore drammaturgico delle regine di Tudor: lo testimonia il ruolo di Elisabetta, considerato uno dei più significativi ritratti di donna del melodramma romantico prima di quelli verdiani, e uno dei vertici assoluti del “bel canto”: il finale del primo atto e quello del terzo (e ultimo) sono tra i più difficili ed estremi del repertorio belcantistico. Il libretto, efficace e conciso, è di Salvatore Cammarano, che si basò su uno precedente scritto da Felice Romani per Saverio Mercadante (ricavato a sua volta dalla tragedia di Jacques-François Ancelot “Élisabeth d’Angleterre”).
Opera intensa e potente sia musicalmente che teatralmente, Roberto Devereux è andato in scena quest’anno in un nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice in cooproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia.
La regia, affidata ad Alfonso Antoniozzi, baritono di fama mondiale e, dal 2008, anche regista, che ha diretto scrupolosamente gli artisti in scena, lasciando ampio spazio di movimento, da vero conoscitore del palcoscenico.
I costumi di scena, curati da Gianluca Falaschi, pur se riveduti e corretti, confezionati con tessuti e fogge importanti ed ingombranti come erano all’epoca, finalmente hanno reso perfettamente i personaggi storici. Lo stesso dicasi per la scenografia, che ha riprodotto ambientazioni scure e tetre con abili e semplici stratagemmi di materiali e luci. Geniale la mappa geografica riprodotta sullo strascico della vestaglia di Elisabetta I alla fine del terzo atto, che simboleggia l’impero al quale dopo poco lei rinuncerà, per amore perduto, in favore di Giacomo I.
Mirabile la direzione di Francesco Lanzillotta, che ha guidato l’orchestra a servizio del canto e dei cantanti come è d’obbligo in questi casi, con volumi rigorosi ma controllati, assecondando intenzioni ed emozioni. Splendida esecuzione
Il teatro Carlo Felice di Genova, si conferma negli ultimi anni, uno dei migliori teatri per le produzioni proposte, mirando sempre più ad una qualità che in molti altri teatri invece scarseggia.
Abbiamo pertanto assistito ad una rappresentazione molto fedele al volere degli autori (Cammarano-Donizetti), in quanto, finalmente, si porta in scena un’opera con quella tradizione che va obbligatoriamente rispettata, ben più apprezzata dal pubblico rispetto a quelle spesso stravolte dai giovani registi.
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CAST PER LA DATA: | ||||||||||||||||||||||||||||
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