Sonetto IX
Se a la propinqua speme nuovo impaccio
o Fortuna crudele o l’empia Morte,
com’han soluto, ahi lassa, non m’apporte,
rotta avrò la prigione e sciolto il laccio.
Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,
ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte:
a questo or chiudo, or apro a quel le porte
e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.
Con ragione il desio dispiega i vanni
ed al suo porto appresso il bel pensiero
per trar quest’alma da perpetui affanni.
Ma Fortuna al timor mostra il sentiero
erto ed angusto e pien di tanti inganni,
che nel più bel sperar poi mi dispero.
Non vi è ombra di dubbio che la matrice di questo sonetto sia ancora una volta il Petrarca
(Canzoniere, Sonetto 134)
Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.
Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra;
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
In ambedue i testi si avverte il tormento dell’io lirico che vive la dicotomia fra il desiderio e l’impedimento alla realizzazione che sia dell’amore o della fine di un supplizio esistenziale voluto dalla sorte.
PETRARCA | MORRA |
Pace non trovo, et non ò da far guerra et ardo et son un ghiaccio et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio che non m’apre né serra et non m’ancide Amore, et non mi sferra; né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio. Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et ò in odio me stesso, et amo altrui. piangendo rido |
Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte a questo or chiudo, or apro a quel le porte che nel più bel sperar poi mi dispero |
Indecisione, e incertezza, speranza e disperazione paiono il filo conduttore delle due liriche.
In Isabella aleggia la speranza di una liberazione dal carcere dell’impervio borgo, una speranza che vive sul filo sottile dell’attraversamento, un filo che da un momento all’altro potrebbe spezzarsi per mano della Fortuna.
Ma Fortuna al timor mostra il sentiero
erto ed angusto e pien di tanti inganni,
che nel più bel sperar poi mi dispero.
A tal proposito, ritroviamo a supporto del pensiero della Morra sempre il Petrarca.
(Canzoniere, 271,12-14)
Morte m’a liberato un’altra volta,
et rotto ‘l nodo, e ‘l foco a spento et sparso:
contra la qual non val forza ne ‘ngegno.
Come dice bene Gianni Antonio Palumbo in Isabella Morra Rime — Stilo editrice, l’immagine della Fortuna vessatrice sino dalla nascita è un motivo ricorrente nei petrarchisti.
In Petrarca la Fortuna è empia
(Canzoniere 118, 7)
L’amar m’è dolce, et util il mio danno,
e ‘l viver grave; et prego ch’egli avanzi
l’empia Fortuna, et temo no chiuda anzi
Morte i begli occhi che parlar mi fanno.
(Canzoniere 331, 8)
Or lasso, alzo la mano, et l’arme rendo
a l’empia et vïolenta mia fortuna,
che privo m’à di sì dolce speranza.
La Fortuna avversa, come motivo specifico della lirica del1500, percorso da Pietro Bembo, si può riscontrare nelle Rime
(Rime, CCXXIV, 13)
Però s’aven ch’n voi percota e giostre
l’empia fortuna, i sospir vostri e i lutti
si raro don di Clio scemi e tranquille.
Figure retoriche che concorrono a creare la denuncia e la resa di un’anima si possono riscontrare
- nel chiasmo: a questo or chiudo, or apro a quel le porte
- nei parallelismi, come : a questo or chiudo, or apro a quel le porte
- nelle cesure in versi spezzati da virgole o due punti
- nell’anafora interna o Fortuna crudele o l’empia Morte
- nell’antitesi: sottolineante il conflitto interiore sotteso al sonetto.
Seppure i versi della Morra sono ricchi di echi letterari, non vi è alcun dubbio dell’elegante rielaborazione stilistica e contenutistica, alimentata dalla vita coatta dove il motivo ispiratore fa da supporto a quello doloroso esistenziale.
Isabella si auspica “di trar quest’alma da perpetui affanni”, la sua anima che brama di potere spiccare il volo, corroborata dalla speranza e dal desiderio che saprà distendere le ali verso un nuovo orizzonte liberatorio.
Bibliografia:
Francesco Petrarca,Canzoniere
Pietro Bembo, Rime
Gianni Antonio Palumbo, Isabella Morra Rime