Le gelate primaverili rappresentano un costante pericolo per le colture, in particolare per i frutteti. Le tecniche per contrastare gli effetti del gelo sulle piante in fiore sono numerose e in continua evoluzione. Già in antico, soprattutto nell’arco alpino e nel Nord Europa, era diffusa la pratica di accendere fuochi lungo i filari di viti e di alberi da frutto durante le notti serene; pratica evoluta fino a oggi con l’uso di grandi candele di paraffina e di bracieri a tubo pieni di pellet, disposti sotto i teloni antigrandine, per creare un effetto serra a protezione delle piante.
Negli ultimi anni – soprattutto nelle coltivazioni di mele – si è diffuso l’utilizzo dei cosiddetti impianti antibrina, che sfruttano i sistemi di irrigazione a pioggia, creando uno strato di ghiaccio attorno alle piante e ai fiori. Una tecnica che, paradossalmente, combatte il freddo con il freddo, quasi ispirandosi al principio dell’omeopatia “similia similibus curantur”. Gli effetti di questa pratica hanno anche un impatto estetico, trasformando i campi in suggestive e scintillanti sculture di ghiaccio.
Claudio Cantini, ricercatore dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr e responsabile dell’Azienda sperimentale di Follonica (Gr), fornisce una serie di dati e valutazioni a proposito di questa tecnica: “Quando in primavera le piante prendono di nuovo vita, i fiori e le gemme sono gli organi più sensibili all’abbassamento delle temperature; in questo periodo, le gelate sono molto pericolose e provocano danni gravi ai fiori, riducendo o compromettendo completamente la produzione di frutti”.
Gravi danni possono essere anche a carico dei nuovi germogli che vengono disseccati, con le piante che reagiscono emettendo nuovi rami da gemme “nascoste”, che però risultano deboli e bisognosi di importanti interventi di potatura.
Il funzionamento dei moderni impianti antibrina usati per contrastare gli effetti del gelo sono basati su un principio molto interessante. “L’acqua si trasforma in ghiaccio alla temperatura di zero gradi e questo fenomeno avviene con emissione di energia. Se questo processo di trasformazione di acqua in ghiaccio viene mantenuto in continuo, lo strato che si forma fa sì che in qual punto la temperatura sia sempre a zero gradi, anche se intorno si raggiungono valori molto più bassi”, spiega il ricercatore del Cnr-Ibe.
I danni per i fiori si verificano sotto i -3°C: quando le temperature scendono tra 1 e 0,5 gradi sotto lo zero, gli impianti iniziano a spruzzare acqua, creando una continua formazione di ghiaccio e “climatizzando” il frutteto. Ovviamente, la progettazione degli impianti di irrigazione ha un’importanza fondamentale, ad esempio se si ha la possibilità di spruzzare l’acqua da sotto e sopra le chiome, a seconda delle condizioni. “Quando questo avviene i frutteti vengono trasformati in stupendi giardini di ghiaccio, che però tendono ad appesantire enormemente le piante; tutte le strutture di supporto e sostegno devono essere adeguatamente progettate per sopportare questo carico”, precisa Cantini.
Altrettanto importante è il flusso di liquido impiegato. “Con temperature fino a -3 gradi la quantità di acqua deve essere di almeno tre litri orari per metro quadro. Per proteggere un frutteto a -5 gradi, su ogni ettaro devono essere distribuiti 40.000 litri di acqua per ciascuna ora passata sotto lo zero”, specifica l’esperto del Cnr. Fondamentale anche l’efficienza, il coordinamento e la tempestività degli interventi di fronte ai bruschi cali delle temperature. In proposito l’agronomo ricorda che “i sistemi di monitoraggio aziendali e i sensori termici devono essere in perfetta efficienza e le previsioni meteo sono essenziali, mettendo in preallarme gli agricoltori o i consorzi irrigui”.
Saperi antichi e tecniche moderne, ricerca e tecnologie industriali all’avanguardia saldate a una cultura legata alla terra da un orizzonte millenario consentono la sopravvivenza di fiori e frutti, protetti da queste inedite teche di cristallo.
Maurizio Gentilini [Almanacco della Scienza N. 10 – 19 maggio 2021]