di Riccardo Chioni
– “L’incrocio fra Mulberry e Grand Street è un brulichio di gente nel fine settimana, in gran parte turisti che si fermano in mezzo alla strada, si guardano intorno e scattano foto, prima di proseguire la passeggiata a Little Italy, diventata zona pedonale tra bancarelle di ambulanti e tavoli di ristoranti. In questo angolo trafficato dai pedoni, circondato dagli ombrelloni di un ristorante, un venditore di poster e un carretto che serve frittura, ha sede l’Italian American Museum che, nonostante la sua centralità, soffre di invisibilità”. Così scrive Riccardo Chioni in un articolo apparso ieri su America Oggi, quotidiano in lingua italiana dell’area di New York diretto da Andrea Mantineo.
“L’attuale sede di Mulberry Street è stata inaugurata nel 2008, ma la genesi del Museo Italoamericano affonda le sue radici nel 1999, quando l’allora dean del Calandra Institute e attuale presidente del Museo, Joseph Scelsa aveva lanciato l’idea.
“Abbiamo trovato questi locali nel 2007 con tutte le incognite che comporta un edificio antiquato, ma che si trova nel luogo storico della immigrazione italiana”, spiega il presidente Scelsa.
Il Museo si trova nella sede della “Banca Stabile” fondata da Francesco Rosario Stabile nel 1885, che la dice lunga sulla presenza della comunità nella Little Italy di Manhattan.
Scelsa mostra il progetto uscito dalla penna dell’architetto per la nuova sede che stenta a partire per rendere il museo degno di una istituzione educativa.
“Il Museo nel 2008 ha acquistato gli edifici dal 185 al 189 di Grand Street, ma poi è intervenuta la crisi economica e il progetto è rimasto tale. Anche perché – sottolinea Scelsa – abbiamo riscontrato che la gestione di questi edifici costa enormemente, ad esempio un ristorante non ha pagato affitto per un anno e ci sono voluti quattro anni per risolvere la questione legale”.
Ora però, secondo Scelsa, è giunto il momento di guardare oltre e portare a compimento il progetto di ampliamento che in parte vedrà l’apertura entro fine anno, con una nuova sezione attualmente in allestimento.
Così il Museo ha posto in vendita per 13 milioni gli edifici edificabili che possiede a Grand Street, con una clausola ben precisa: l’istituzione museale resta dove si trova e va a occupare inoltre un altro piano del nuovo edificio.
“Siamo una istituzione educativa e stiamo cercando qualcuno che desideri collaborare con noi agevolando l’ampliamento del museo per renderlo al passo con i tempi”, dice Scelsa.
“Il Museo – insiste – non viene venduto, il Museo diventa proprietario di se stesso, mentre attualmente è un condominio. Non siamo i primi a proporre questa soluzione”.
In pratica il Museo si amplia e resta proprietario del suo spazio, il costruttore provvede al resto del nuovo edificio che – secondo il piano regolatore – potrebbe alzarsi fino a sei piani.
“Ora abbiamo una rata del mutuo bancario che paghiamo mensilmente e un museo non vuole trovarsi nel business di landlord con onerose manutenzioni e guai con inquilini. È arrivato il momento – precisa Scelsa – di fare il passo successivo e dare vita al progetto di un vero museo più ampio, moderno e accogliente”.
E se tutto andrà come si augura il presidente, l’Italian American Museum avrà finalmente visibilità a Little Italy, centro delle attività collettive e culla della cultura italoamericana, quando la Banca Stabile serviva per inviare le rimesse in Italia.
“Abbiamo una rosa di magnifici articoli in mostra, ma non si può definire certo un museo hi-tech interattivo o digitale, come lo sono ai giorni nostri altre istituzioni museali. Ecco, questo è quanto intendo realizzare per offrire l’esperienza di migrare in America”, aggiunge il presidente.
Attualmente il Museo dispone di un migliaio di piedi quadrati, uno spazio più ideale allo sportello di una banca che alle esigenze museali e anche se diventerà di 2400 piedi quadrati al termine dei lavori di ampliamento, non raggiunge comunque la superfice di 3 mila con il piano superiore che soltanto la nuova costruzione può assicurare.
Nonostante l’attuale invisibilità del Museo, ogni anno viene visitato da 80 mila persone che vi arrivano guida alla mano, disposti a pagare l’ammissione che invece è un contributo: “in genere lasciano da niente a cinque dollari” e nella visione di Scelsa la nuova struttura ospiterà anche un gift shop con prodotti di qualità inerenti le mostre che saranno via via organizzate.
La comunità italoamericana si fregia di nomi altisonanti nei più svariati campi, di immigrati che hanno di gran lunga superato il sogno americano, ma resta difficoltoso portare a compimento l’unico museo dedicato alla emigrazione e al successo degli italiani nella East Coast.
“Perché preferiscono intervenire a prodotto finito e quando tra breve sarà pronto l’ampliamento, sono certo che molti vorranno partecipare al progetto. Gli italiani non credono ai sogni, credono alla realtà, ma col tempo diventeranno credenti, almeno sul futuro del Italian American Museum”, conclude Scelsa”. (aise)