Ventidue racconti per dipingere la Firenze del ‘400 a cavallo tra storia, religione, costume e gastronomia. È “Il convivio delle erbe dimenticate” (Edizione Area Bianca), ultima opera dello scrittore e giornalista Franco Banchi. Il Convivio ha origine dal Concilio di Firenze, che, nel 1439, arrivò quasi ad unificare Roma e Costantinopoli. I racconti trovano la sua origine su una collina che domina la città dei gigli, a Fonte Santa, che molti studiosi hanno definito “il mare in montagna”. Grazie ad un particolare clima, di fatto quest’area, oggi parco, è un vero e proprio scoglio che, a 90 km dal Tirreno, non avendo barriere intermedie, riceve dal mare aria salubre e balsamica.
Per celebrare la fine del Concilio, prima di disperdersi, alcuni illustri personaggi presero l’impegno di continuare nel tempo la memoria di questo speciale convivio di pace e unità. Nacque così la Compagnia di Fonte Santa, le cui tracce continuano ciclicamente a riemergere attraverso le apparizioni del Gran Libro. A questo itinerante scrigno della memoria sono affidate le migliori ricette simboliche della compagnia, tutte legate alle terre e ai cieli delle erbe aromatiche e descritte, da Ilaria Persello, a conclusione dei racconti nelle sezioni: ouverture, in primis, portate al centro, dolci variazioni e segreti di coda. Sono trascorsi più di cinque secoli, ma, attraverso le strade del mondo, passando per momenti felici, amori, lotte e guerre, la Compagnia non si è mai sciolta. Dopo varie presentazioni e un cospicuo successo siamo andati a intervistare il prof. Bianchi.
L’Idea: Il suo ultimo libro, “Il Convivio delle erbe dimenticate”, è stato presentato ormai in molti luoghi e situazione diverse. Quali le prime impressioni?
Franco Bianchi: Ottime. Come se fossimo tornati indietro, agli ultimi anni ’90, con il primo libro: Il pranzo di S. Giovanni. Anche in quel caso il pretesto “galeotto” fu rappresentato da ricette e motivi conviviali completamente calati nella Firenze del Rinascimento. Allora come oggi, però, l’orizzonte era ed è molto più ampio. Il convivio è il luogo d’eccellenza in cui l’umanità s’incontra e nel quale, se scatta la scintilla giusta della simpatia e a volte dell’empatia si arriva a conoscersi davvero, superando equivoci, incomprensioni e barriere.
L’Idea: Più volte, anche in questa sua ultima fatica letteraria, parla di essere e fare compagnia. Cosa intende?
Franco Bianchi: Come insegna molto bene Tolkien, è la compagnia a sanare le malattie degli uomini in tutti i sensi. La compagnia autentica è aiuto, incoraggiamento, sostegno morale, avventura comune verso quel nobile fine che, consciamente o meno, muove tutti. Oggi esistono molti modi di fare ed essere compagnia, purtroppo molti di questi sono negativi, a volte addirittura distruttivi e auto-distruttivi. La bellezza dell’essere “vera compagnia” è qualcosa in più di stare insieme per opportunità, opportunismo o mera casualità. Le giovani generazioni di oggi avvertono forte il valore trascinante che li spinge al comune tragitto verso valori veri e autentici. A volte manca loro la volontà, altre il sostegno disinteressato di chi li ha preceduti. Quasi sempre è insufficiente, per non dire inautentico, l’esempio dei più grandi e “maturi”.
L’Idea: Quella che lei introduce è quasi una lettura cavalleresca dei nostri tempi e della possibile azione nella storia contemporanea delle giovani generazioni…
Franco Bianchi: Perché no. Come dice Maria Zambrano – scrivendo proprio all’indomani del secondo conflitto mondiale – le avventure significanti cominciano all’alba ed è proprio in tale momento propizio che Don Chisciotte inizia la sua missione. Se oggi avessimo meno mestieranti, calcolatori, ottimizzatori e più “viaggiatori dell’alba”, con il loro bagaglio intatto d’idealità da temprare nell’aspro campo del reale, il tasso di depressa rassegnazione sarebbe molto più basso.
L’Idea: Qualche commentatore ha trovato nelle pagine del suo libro una visione ottimistica della realtà. Si riconosce in questa valutazione.
Franco Bianchi: Rispondo con le parole di uno dei più grandi pensatori che l’umanità abbia mai avuto: Agostino d’Ippona. Con i Vandali alle porte della sua città e un Impero romano ormai in dissoluzione, scriveva: “Sta per finire una storia, non la storia”. Ecco, io mi riconosco in tale “realismo positivo” di questo straordinario filosofo, passato attraverso le più dirompenti tempeste culturali, morali e religiose del suo tempo. A patto di non lasciarci trascinare conformisticamente dalla corrente dominante. Nei nostri tempi la fierezza di non essere docili canne al vento è valore indispensabile per resistere e, subito dopo, iniziare con personale responsabilità e senso della compagnia quella nobile missione che custodiamo nel cuore.
L’Idea: A proposito di domande scaturite dalle presentazioni de “Il convivio delle erbe dimenticate”, qual è quella più curiosa, sorprendente, di fatto spiazzante?
Franco Bianchi: Potrei citarne molte, visto che ogni presentazione ha fatto riferimento a un libro sempre uguale e sempre diverso. Di sicuro quella che mi ha sferzato e interrogato di più ha riguardato la presunta dimensione “magica” del volume.
L’Idea: E come ha risposto?
Franco Bianchi: Ho preso ad esempio uno degli oggetti dei miei racconti: le erbe dimenticate. Oggi, purtroppo, la nostra vita rimane su molti fronti in superficie. Ciò vale anche per le dimensioni sensoriali. Recuperare tali dimensioni, penso al gusto e all’olfatto, è tornare in possesso dell’interezza della nostra umanità. Ciò vale anche per il recupero della storia e della simbologia delle varie erbe, specialmente aromatiche, dei fiori, dei frutti. Come in altro contesto diceva Italo Calvino, esiste una “dimensione invisibile” che, dietro la mera materialità, dobbiamo riportare alla luce. Quindi non si tratta di magia, ma di fare anamnesi, ovvero riportare cuore e mente a quell’intero perduto che siamo chiamati, prima o poi, a ritrovare.
L’Idea: Ha già individuato l’identikit dei lettori del suo libro? Può raccontarci qualche curiosità al riguardo?
Franco Bianchi: Sicuramente si tratta di lettori che vogliono andare oltre il primo velo. Lo noto soprattutto in conclusione delle presentazioni, visto che molti mi chiedono ripetuti approfondimenti. Quello che emerge con maggior chiarezza è la disponibilità a scavare sotto la semplice vicenda narrata. Come se il lettore, con piena disponibilità ma anche conscio dell’enigma, dicesse sì al gioco, all’impresa, alla comune avventura.
Per quanto riguarda le curiosità riguardanti i lettori, ne cito due tra le tante, anche geograficamente agli antipodi: un incoraggiante successo in campo sindacale e una richiesta addirittura dall’Australia.