Per un viaggiatore amante della storia e delle bellezze di una città, approdare a Padova significa immergersi in un cammino sospeso tra una dimensione spirituale, l’arte e l’innovazione. La Basilica del Santo, le chiese di Santa Sofia e degli gli Eremitani, la Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto, il Duomo con il Battistero, il Prato della Valle, le piazze, il caffè Pedrocchi, i Musei Civici, il Palazzo della Ragione, il Palazzo del Bo e il Gabinetto Anatomico…tutto si snoda fra strade pedonali e lì in mezzo: negozi, tavolini di bar, gelaterie, ristoranti.
Oggi però voglio condurre il lettore per vie secondarie, lontane dal centro e dai dintorni, per raccontare di un quartiere i cui esordi risalgono all’età comunale, un quartiere ricco anche di creatività al femminile che riflette lo spirito dinamico proprio di quel tempo passato. Ma andiamo per ordine.
Dopo l’anno 1000, con la ripresa economica seguita al periodo buio dell’Alto Medioevo, a Padova ci fu un aumento della popolazione. Del resto ciò è quanto accadde in molte città, come anche in altri territori d’Europa. Padova, per esigenze di spazio, cominciò ad estendersi in borghi, oltre il proprio primo nucleo abitativo centrale. Attorno a ognuno di essi sorgeva di solito, ma non sempre, una piccola chiesa. La città cresceva, si espandeva in contrade e chiese che si occupavano della vita spirituale della popolazione, e non solo. ”I vescovi, infatti, erano coadiuvati, nella gestione delle funzioni pubbliche, dalle comunità cittadine, composte da individui eterogenei da un punto di vista sociale – mercanti, artigiani, piccoli proprietari terrieri, giudici, notai–che, tra le altre cose, partecipavano anche all’elezione del proprio vescovo” (Tra XI e XIII secolo: poteri, economia e sviluppo urbano” Laterza editore).
Uno dei centri che sorgevano attorno alla città di Padova, era quello di Voltabarozzo, un villaggio costituito da poche case (casoni, case di mattoni di terra cruda, col tetto di paglia e con il pavimento di terra) e da un territorio molto vasto, caratterizzato da campagna e appezzamenti di terra che giungevano a Pontecorvo (fino al 1588 costituito di 600 abitanti, poi nel 1800 diventati circa 2500). Questo borgo esisteva già, come attestato da un documento antico, nel 1256 ed era sotto la giurisdizione territoriale della chiesa di San Lorenzo, che potremmo collocare idealmente vicino alla tomba di Antenore, secondo il mito fondatore di Padova.
San Lorenzo era una chiesa antichissima, distrutta 100 anni fa circa; dipendeva da un monastero, dotato di chiostro e collocato dov’è ora l’attuale liceo classico Tito Livio. Ebbene, la chiesa di San Lorenzo rientrava nel novero delle chiese cittadine dentro le mura di Padova. Ma come potere mettere in comunicazione i villaggi posti oltre il nucleo cittadino alla periferia? E soprattutto, come raggiungere la Chiesa di San Lorenzo, per la messa o per ricevere i sacramenti, da parte degli abitanti di Voltabarozzo prima che questo borgo avesse una chiesa propria? (cioè fino al 1310). Per raggiungere la città, gli abitanti dovevano percorrere 4/5 km a piedi, attraverso strade polverose d’estate e fangose d’inverno. Le mura della città antica finivano pressappoco alla zona di Porta Ponte Corvo, che però è del 1500. Dobbiamo, in era comunale, a Baroccio Dal Borgo, un podestà proveniente da Cremona, se nel 1205 iniziarono i lavori di collegamento tra Voltabarozzo e il centro. Quindi, per consentire il contatto tra questo centro fuori le mura e Padova, Baroccio Dal Borgo fece costruire una strada (via Facciolati)–tra il 1205 e il 1212–che, avendo inizio dall’uscita di Ponte Corvo, portava a Voltabarozzo appunto. Ma per arrivare a Voltabarozzo, vi era anche un’altra possibilità: da via Vecchia, una strada parallela alla via principale di Voltabarozzo, (via Piovese) e la cui prosecuzione è l’attuale Via Crescini.
Un’altra importante informazione su Padova e dintorni, è quella relativa a un Palio. Infatti, in occasione dei festeggiamenti dell’elezione del primo signore di Padova, Giacomo I da Carrara, si dette avvio appunto a un Palio, una gara competitiva di cavalieri a cavallo che partiva da Voltabarozzo per giungere attraverso il suo rettilineo e via Facciolati, (chiamata anche via del Corso, a ricordo della corsa dei cavalli), a Pontecorvo e proseguire verso il Palazzo della Ragione, cuore della città. Se percorriamo oggi queste strade, dobbiamo attraversare un canale, Canale Scaricatore, fatto costruire poco dopo la metà del 1800, per fare defluire le acque del fiume Bacchiglione ed evitare così gli allegamenti della città durante le piene. Sappiamo che prima del 1800 il percorso di collegamento ne era privo. Ma oggi chi e che cosa caratterizzano questo quartiere cittadino? Oggi il quartiere è percorso da piccoli imprenditori, artigiani e ciò in ossequio a quello spirito volto al fare tipico dell’età comunale…Ma spirito al femminile! Si tratta di un vero e proprio cantiere creativo delle donne!
Iniziamo la conoscenza del genio femminile con Stefania e Roberta Crivellari che gestiscono il negozio di bijoux artistici in via Facciolati, 107 Xle SoRelle. Quando si entra nel loro laboratorio, ci si sente accolti e investiti da un’improvvisa voglia di bellezza, curiosità e brio. Chiedo subito a queste giovani imprenditrici come è nata la loro attività, quali sono gli articoli prodotti e con quali materiali lavorano.
“L’idea nasce principalmente da un hobby che lentamente abbiamo deciso di trasformare in vero e proprio lavoro. Il nome scelto per il negozio non è casuale…..siamo infatti due sorelle con il desiderio di tuffarci in un’esperienza personale che ci permetta di far conoscere le nostre creazioni e idee a un vasto pubblico. Nel nostro negozio troverete un vasto assortimento di accessori, minuterie e perle utili alle vostre realizzazioni. Cerchiamo di scovare materiali originali per far sbizzarrire la nostra e la vostra fantasia. Collane, orecchini, anche orecchini spaiati secondo una coerenza stilistica e una diversità di linea, anelli, spille, le nostre creazioni sono un vero e proprio trionfo di colori e materiali. Dal vetro al metallo, dal tessuto alle pietre, creiamo incisioni su alluminio…Questi oggetti preziosi sono realizzati su richiesta, in base a scelte cromatiche e di disegno, potremmo definirli “personalizzati”. I pezzi sono montati esclusivamente a mano su nostro progetto, i bijoux sono esclusivi, facili da portare. Nel negozio le clienti possono scegliere varie minuterie contribuendo con noi alla creazione dell’oggetto. Proporremo tra non molto dei corsi per trascorrere del tempo insieme ed affinare nuove tecniche…anzi, se avete qualcosa da sperimentare, venite a trovarci!!!” [Stefania e Roberta Crivellari]
Proseguo la mia camminata e da via Facciolati mi immetto per via Ramazzini su via Crescini. Mi fermo davanti al civico 138/B dove si trova Amelì, il negozio di Martina Galtarossa. Affabile, sorridente, a guardarla pare avvolgerti da un’incredibile luminosità del volto. Anche a Martina chiedo la storia della sua attività.
“E già–esordisce–non tutto il male vien per nuocere…dopo aver annullato il mio matrimonio, dopo un paio d’anni, nel giugno 2002, ho deciso di esaudire il mio grande sogno nel cassetto: aprire un negozio tutto mio. Il nome, poi, non ha tardato a venire. ” Ameli”, proprio come il titolo del bellissimo film IL MAGICO MONDO DI AMELIE. Devo ammettere che in questo nome ritrovo tutta me stessa, il desiderio di sentirmi libera, per poter spaziare nella realizzazione di accessori che esprimano l’ansia di ogni donna di sentirsi unica, ognuna in base alla propria personalità. Ameli mi avrebbe permesso di stare con la gente: amo dialogare, condividere, consigliare, ma anche ascoltare, dedicare del tempo alle clienti mentre scelgono un capo d’abbigliamento. Fin dall’inizio ho desiderato, inoltre, creare eventi significativi, anche attraverso collaborazioni esterne. Uno dei momenti più significativi è stato l’abbinamento vendita all’ascolto di brevi testi poetici sul tema della città, corredati da acquerelli; tra una scelta e l’altra di abiti, le clienti potevano ascoltare qualche testo ed avere infine in omaggio il cartoncino della poesia con l’acquerello….che ricordo!! La mia attività ha sempre privilegiato produttori e brand italiani e non solo.
Fin dall’inizio ho trovato consonanza di idee e di gusti a Bologna, in un grosso centro di distribuzione dove ho iniziato subito a lavorare con i marchi: Susy mix, Northland e Stephanie e accessori (distribuzione di accessori francesi). Sempre a Bologna ho conosciuto il marchio spagnolo Ester Diaz di cui mi sono subito innamorata perché abbinava a un nostalgico gusto un po’ retrò una rivisitazione innovativa delle forme con applicazioni di materiali diversi, disegnava abiti larghi sopra, stretti sotto e giacche dal taglio particolare. Peccato che sia venuto meno il distributore dei negozi in Italia. Nelle scelte delle linee e delle fantasie degli abiti che propongo, cerco di mediare tra nuove tendenze di moda e gusto dell’utenza del quartiere. Mi piace pure arricchire gli articoli di abbigliamento con gli accessori come sciarpe, stole molto originali che diano un tocco e un valore di originalità anche ad un semplice cappotto nero!!!
Ultimamente sto volgendo l’attenzione al lavoro di tessuti e di fibre naturali e ciò mi regala tanta energia, in primo luogo perché sento così di contribuire alla difesa del nostro ambiente e poi perché posso creare modelli unici e originali, molto richiesti in un contesto di uniformità di scelte spesso omologate nel campo dell’abbigliamento. Credo che la vita e il fatto di mettersi di continuo in gioco doni una grande vitalità alle persone e che tutte le cose fatte con passione possano avere quasi sempre un epilogo felice; quando posso cerco di trasmettere questa riflessione personale a chi incontro”. [Martina Galtarossa]
“Carta e dintorni”, laboratorio artigianale di Ippolita Lovisatti, di via Crescini 134b. Ippolita mi accoglie con lo scintillio dei suoi colori. Le chiedo di parlarmi della sua attività.
“Dieci anni fa nasceva Carta e Dintorni. Lavorando prevalentemente su ordinazione di articoli e materiali particolari, sono cresciuta e mi sono sviluppata seguendo quelle che erano le richieste della gente. Piano piano gli articoli sono aumentati e variati nel genere. Con il tempo si sono aggiunti piccoli gioiellini artigianali creati con cuoio e perline di vetro, poi è stata la volta degli accessori per la casa, dalla piccola mensola in legno, al portabiancheria in vimini e al cestino per la frutta in ferro battuto. Cerco sempre di avere prodotti fatti in materiali ecologici e riciclabili. Amo trasformare tutto ciò che mi passa tra le mani. Mi procuro borse di paglia dal Marocco e le decoro con passamanerie pregiate. Da vecchie tende ho iniziato a fare delle borse in tela…e da qui è nato un nuovo percorso, una scia di articoli in tessuto: dalla lana al velluto alla seta e al nostro meraviglioso lino, il mio prediletto. Tra non molto, alle borse si aggiungeranno cuscini, svuota tasche e servizi all’americana! Continuo a spaziare perché credo che nei nuovi progetti ci sia la vita, e amo pensare che la mia “bottega” sia viva!! Poiché mi sono diplomata a Firenze nel restauro della carta, volevo accompagnare l’attività del recupero di opere antiche alla creazione artigianale di album per fotografie, cornici e scatole su misura. Non voglio abbandonare la collaborazione con musei e laboratori di restauro per non perdere il patrimonio cartaceo che abbiamo e che deve essere preservato”. [Ippolita Lovisatti]
Ringrazio per gli spunti di approfondimento su quartieri e borghi un appassionato di storia, il Professore Guido Caburlotto che mi ha anche suggerito la consultazione di un racconto storico di Sante Bortolami, ex Docente di storia medioevale dell’Università di Padova; narrazione datata 13 marzo 2009 e rivolta ai ragazzi delle scuole medie di Voltabarozzo.
Marina Agostinacchio