Ricercatori dell’Itb-Cnr di Milano e dell’Istituto Pasteur di Parigi hanno dimostrato che le ‘nucleoporine’ hanno un ruolo importante nei meccanismi che permettono al virus di integrarsi nel genoma umano. Dalla scoperta potrebbero derivare farmaci in grado di impedire l’infezione. La ricerca è pubblicata su Nature Communications.
Una nuova speranza contro l’Hiv di tipo 1 e la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), potrebbe arrivare da uno studio internazionale, che dimostra come l’interazione tra virus e proteine del complesso del poro nucleare (Npc) sia essenziale per la replicazione dell’Hiv nella cellula ospite. A documentare la scoperta uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto da ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Itb-Cnr), dell’Istituto Pasteur di Parigi, in collaborazione con l’Albert Einstein College of Medicine di New York e il centro di Statistica e scienze biomediche del San Raffaele di Milano.
“I pori nucleari, composti da nucleoporine, controllano il passaggio di molecole tra il nucleo e il citoplasma all’interno della cellula”, spiega Ermanno Rizzi dell’Itb-Cnr, “e le proteine che lo compongono svolgono un ruolo cruciale nella fisiologia delle cellule, poiché gestiscono l’organizzazione tridimensionale della cromatina, la cui struttura è responsabile dell’attivazione dei geni, sia cellulari che di eventuali ospiti come Hiv”.
“Per comprendere il meccanismo virus/cellula”, spiega Francesca Di Nunzio dell’Istituto Pasteur di Parigi, coordinatrice della ricerca, “abbiamo usato metodologie di microscopia ed elevata risoluzione (Storm) e test di biologia molecolare, per comprendere il ruolo specifico di due nucleoporine strettamente interconnesse tra loro, la Nup153 e la ‘Tpr’. A favorire il passaggio del virus nel nucleo attraverso i pori, sarebbe proprio la nucleoporina Nup153, mentre la Tpr, avrebbe l’effetto di mantenere la cromatina attiva in prossimità del poro favorendo la replicazione del virus e confermando la stretta relazione tra loro”.
“L’analisi di tale meccanismo è stata possibile grazie anche a tecnologie di sequenziamento ad alta processività come il Next Generation Sequencing (Ngs)”, sottolinea Ermanno Rizzi, “che ha consentito di evidenziare l’integrazione delle sequenze virali nel genoma umano. I risultati ottenuti favoriranno lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di agire sul virus prima ancora che possa entrare nel nucleo ed infettare la cellula”.
La ricerca è stata finanziata dall’Istituto Pasteur, ANRS, Region Ile-de-France e MIUR- Futuro in ricerca.
Lo studio fa seguito ad altri lavori pubblicati su Virology e su Virus Research, sempre coordinati dalla ricercatrice Di Nunzio.