Presentato al pubblico come una saga familiare, Hassan è un romanzo che in realtà tratta un argomento molto più complesso, cioè l’amore per la propria terra, che in questo caso è il deserto. È un tema interessante, che l’autrice sviluppa fin dall’inizio del libro con maestria e delicatezza, portandolo, in un crescendo graduale e ben equilibrato, alla scena finale, nella quale il protagonista parla con il deserto, che gli risponde. L’importanza di quest’attaccamento non è solo legata alla classica nostalgia dell’espatriato, pur valido elemento che non stanca mai di essere riesaminato, ma anche all’amore sconfinato dimostrato dai vari personaggi di questa famiglia verso una terra che a uno straniero potrebbe anche apparire scevra di ricchezza, a parte quella ovvia del petrolio, ma che per loro è carica di valori.
Il deserto, quindi, è anch’esso protagonista della storia, quanto lo è il petrolio, del resto. La differenza tra i due elementi è che il petrolio si rivela solamente un subordinato, una materia necessaria affinché non si debba abbandonare questo loro amato deserto, che parla con i propri silenzi.
E attorno a quest’amore s’intessono tutte le relazioni che sono la linfa vitale per la storia di questa famiglia. Vicende d’amore, passioni, infatuazioni, amore filiale e amore materno sono introdotti dall’autrice a un passo celere e ben ritmato, e intessute in una trama fitta e coerente con perizia ed eleganza, tenendo sempre vivo l’interesse del lettore.
Hassan e la moglie Liliana affascinano con la loro semplicità di vita, dedita alla famiglia e nulla più, come tanti esser umani di ogni parte del mondo. Semplicità legata sempre al loro mondo, che è il deserto, e che viene solo a tratta disturbata da distrazioni, quale la malattia di Liliana o l’infatuazione di Hassan per un’altra donna, piccoli nei che servono solo a rammentare ai protagonisti la loro beatitudine, frutto di un amore profondo e naturale, e di un’immersione in un mondo nel quale sono ancora validi i valori primitivi che hanno permesso nei tempi antichi l’evoluzione dell’uomo, e che sta per cambiare inesorabilmente. Il figlio Huarì riflette la stabilità emotiva dei propri genitori, trovando una direzione alla propria vita senza grossi traumi o tentennamenti. Miriana, l’ultima figlia, si dimostra solo un supporto strutturale alla famiglia e alla storia, senza grossi patemi d’animo o dilemmi da affrontare. La figlia Martina rivela, invece, ha una notevole complessità interiore e una forte sensibilità, tali da ravvivare la storia con i suoi rapporti e le sue profonde crisi legate alla nostalgia per la terra madre, il deserto.
Ogni personaggio, però, prende vita senza mai ottenebrare i due personaggi chiave della storia, Hassan e il deserto. Fulvia Grisoni riesce a rammentare al lettore che noi siamo tutti legati alle nostre radici, alla nostra terra e alla nostra famiglia in modi che non sempre sono così evidenti o scontati, e che siamo anche e soprattutto il frutto diretto delle azioni delle persone che ci stanno vicine.
La storia scorre dalle dune del deserto all’affascinante Vienna, presentando i componenti di questa famiglia attraverso le loro attività, i loro successi e le loro imperfezioni, offrendo contemporaneamente storie collaterali di una profonda umanità e ammirabile freschezza, dedicando ai dettagli spazio sufficiente per dare una chiara panoramica delle varie situazioni, senza mai annoiare il lettore con pesanti descrizioni. L’effetto finale è un romanzo avvincente che riesce a trasmettere il proprio messaggio di rispetto verso la nostra terra in modo convincente e stimolante.