Un testo pregevole e un leggìo: un grande attore sulla scena non ha bisogno d’altro. Giuseppe Pambieri, quindi, non ha bisogno d’altro. A maggior ragione se si trova nella splendida cornice del teatro vitruviano per il Festival internazionale del teatro romano a Volterra.
L’atmosfera, nella serata del 9 luglio 2014, in quei luoghi consacrati all’arte, come sempre è magica…gli basta, per accenderla, entrare in scena ed aprir bocca.
Ecco che dalle prime parole del testo drammaturgico di Giuseppe Argirò, che è anche regista dello spettacolo e ne cura ogni aspetto tecnico, il Pambieri, fermo a centro scena, illuminato da luci suggestive e cangianti e talvolta accompagnato in sottofondo da brani musicali di grandi autori del passato, finalizzati allo snodarsi del racconto ed ai suoi punti salienti, non appare più solo sul palcoscenico. Una figura gli occhieggia intorno…L’uno alto, snello, occhi azzurri…l’altro piccolo, occhi azzurri anch’egli, corporatura non proprio aggraziata…Quest’ultimo compare e scompare, sorride, si lascia andare alla malinconia, gusta qualche dolcetto di cui è ghiotto, ascolta il grande interprete che parla per lui e che per lui recita i suoi capolavori…e nel racconto dell’attore, come se lo vedesse, ciascuno riconosce Giacomo Leopardi, l’”Infinito Giacomo”, come recita il titolo del lavoro che viene messo in scena con quasi nulla di tangibile, se non con l’arte di saper fare Arte.
Un testo assai originale, quello dell’Argirò, di raro equilibrio; un incastro abilissimo compiuto mettendo insieme brani dall’Epistolario e dallo Zibaldone, ma non solo, con una perizia da ritrattista e con l’amore per la figura umana e la poesia del genio che, a suo dire, nutre da sempre, che gli conferiscono il potere di riuscire a farlo rivivere, collocando al momento giusto i capolavori poetici dell’autore e facendoli come “fiorire” per bocca dell’interprete raffinatissimo.
L’infinito Giacomo, immenso poeta, parla tramite la voce del Pambieri e la sua figura umana, insieme a quella letteraria, quindi, ne viene fuori a 360°, fino al punto quasi di evocarlo. Un Leopardi inedito, in gran parte. Giacomo che odia l’acqua e dunque farsi il bagno è lo stesso che ha scritto “La quiete dopo la tempesta”…Giacomo che soffre di ipotensione e s’abbuffa di dolci è lo stesso de “La sera del dì di festa”…Giacomo, l’infelice per antonomasia, il depresso, il deforme, l’ammalato, l’impotente, è lo stesso di “A Silvia”.
È un uomo dotato di sagacia, di spirito ironico ed autoironico, anche nei confronti della propria malattia, che tratta con il distacco tipico di chi sia capace di convivere con le proprie sventure ed anelare comunque alla vita.
È un Leopardi assolutamente verosimile, umanissimo, poeta impareggiabile, uomo pieno di difetti e debolezze: uomo, appunto, e genio insieme.
La voce di Giuseppe Pambieri affascina, il suo racconto variegato, tra poesie da brivido e brani biografici di sorridente, amara ironia, tiene gli spettatori incollati alla sedia e percorre l’intera vita del genio recanatese, dall’infanzia fino alla morte. Ed al racconto della morte per bocca di Giacomo stesso, sapiente colpo di teatro, davvero sembra di vedere il poeta sul palcoscenico, adagiato sul letto, assistito dai pochi che gli stanno intorno, atterrito dal buio della fine che lo avvolge e bramoso di luce, nell’umanissimo contatto con l’ignoto che l’attende, quell’ignoto che tante volte ha nominato, che tante volte lo ha tentato e che adesso deve affrontare inesorabilmente.
Ma Giacomo non muore: è infinito, perché la sua anima di poeta è infinita. E proprio il suo capolavoro “L’Infinito”, “detto” come solo Giuseppe Pambieri può dirlo, ed ascoltato con altrettanta emozione dal pubblico, conclude uno spettacolo intimo e grandioso, complice un palcoscenico millenario ed il suo eterno, misterioso fascino.