Intervista di Patrizia Di Franco
Manoocher Deghati è un famoso fotoreporter di guerra, un esploratore e viaggiatore alla scoperta di luoghi e realtà sconosciuti, come lo straordinario e inaspettato incontro con “Black Pharaoh”, il Faraone Nero, nel 2007, in un villaggio, alla Quarta Cateratta del Nilo (purtroppo sommersa dalla Diga di Merowe nel 2008). Un attempato nubiano che impugnava con fierezza e nobiltà un bastone si presentò come il Faraone Nero. Celebre lo scatto, grazie alla valentia e celerità, nel fotografare la figura che si delineò, a suo favore complici, solidali, la postura e la luce del sole che proiettarono l’ombra del “faraone” sul muro a secco. Del fotografo iraniano si è più volte detto che: “Non si trova dove le cose succedono, ma che le cose succedono dove lui si trova”. Molti potrebbero definire ciò in vari modi: destino, fortuna, casualità, coincidenze, in verità sarebbe più giusto e veritiero soffermarsi sull’esperienza, le straordinarie abilità, la determinazione e il coraggio, le qualità tecniche e le virtù umane di Manoocher Deghati. In riferimento all’inattesa e sorprendente apparizione del Faraone Nero, si potrebbe semmai parlare di “serendipity” (serendipità) , giacché Deghati durante un viaggio nel nord del Sudan era alla ricerca dei “Faraoni neri” della XXV dinastia (ci ha rivelato che in Sudan esistono più di 100 piramidi di faraoni neri). In realtà Manoocher Deghati è colui che davvero fa avverare le autoprofezie, grazie alla sua ferrea volontà, alla personalità carismatica, e alla tenacia che gli permette di superare ostacoli, di raggiungere le sue mete prefissate. Egli rappresenta effettivamente l'”Homo faber fortunae suae” e incarna la massima di Appio Claudio Cieco (attribuita da altri a Sallustio) , “Faber est suae quisque fortunae”, ovvero nella vita ciascuno è artefice e artigiano certosino, creatore del proprio cammino, e contano più la volontà e l’azione, che la buona sorte, il fato o la fortuna ( “fortuna caeca est”, come scrisse Cicerone e ne condivisero il pensiero Marziale, Ovidio, Plinio il Vecchio, e Seneca).
Spesso, infatti, oltre ad essere cieca la fortuna, è cieco proprio l’essere umano, come saggiamente affermava Catone. Deghati è speciale, ha cuore puro e sguardo sul mondo straordinari, lo sa bene la moglie Ursula Janssen, archeologa e scrittrice, che lo conosce meglio di chiunque altro e sulla vita di Manoocher, ha scritto un romanzo biografico a lui dedicato, dal titolo appunto: “Ho visto”. Nel libro (tradotto in diverse lingue e anche in persiano) si narrano le vicende e gli accadimenti che hanno coinvolto il fotografo iraniano-francese, l’incipit è il racconto della sua infanzia in Iran (nato a Orumieh, nel 1954), seguito dalle tappe importanti della vita di Manoocher, dall’epoca dello Scià, all’amore per il cinema italiano, in particolare il neorealismo, l’arrivo in Italia, nella Roma vitale degli anni Settanta, post boom economico e post anni Sessanta, la rivoluzione iraniana (1978) , la guerra Iran-Iraq, la fuga purtroppo dalla patria e l’esilio (è stato esiliato dal suo paese d’origine nel 1985) , l’assedio di Sarajevo, il tentato processo di pace in Medio Oriente, la Somalia, la guerra del Golfo, il suo ferimento in Palestina e la degenza in un nosocomio militare francese, la fondazione con suo fratello Reza, della prima scuola di fotogiornalismo “AINA Photojournalism Institute” a Kabul, in Afghanistan (alcuni afghani giornalisti hanno vinto premi importanti, e una giornalista perfino il Premio PULITZER, statunitense, e considerato il più prestigioso per il giornalismo negli USA, e ormai nel resto del mondo) , il periodo lavorativo come fotografo per “United Nations” (Nazione Unite) per 4 continenti, l’evento della (fallita) “Primavera Araba”, e gli anni attuali, in Italia, dove ha scelto di vivere con la moglie e la figlia, dal 2014, in Puglia, nella meravigliosa Valle d’Itria. Fotografo pluripremiato AFP, vincitore del World Press Photo nel 1983, e nel 1986 World Press Photo 3rd Prize, vincitore nel 2004 di “Howard Chapnick Award for Advancement of Photojournalism a New York, solo per citarne alcuni. Deghati ha lavorato per le maggiori agenzie come Sipa, Black Star, AFP, e prestigiosi e internazionali magazines: Time, Life, Paris Match, National Geographic, Newsweek, GEO. Attualmente lavora come fotografo indipendente e docente nel Sud Italia, dove ha deciso di trasferirsi e vivere e insegna nella sua base home. Avevo avuto il privilegio di conoscere Manoo come fotografo ed essere Umano, nel marzo 2017, durante una sua brillante Lectio magistralis, e un workshop, un incontro full immersion, durato un’intera giornata da mattina a pomeriggio inoltrato, nell’ambito dei corsi FPC, di Formazione professionale continua e obbligatoria, per noi giornalisti e photoreporter iscritti nell’Albo professionale nazionale e facenti parte degli Odg regionali. Ci furono sintonia, feeling e simpatia immediati con Manoo, durante una lunga conversazione e coinvolgente per entrambi, soprattutto sull’Egitto, nazione che ben conosce, e che in qualche modo ci accomuna, perché mio papà Biagio, (buonanima, may rest in peace), lavorò per anni duramente nel deserto, ad Alessandria d’Egitto, e si era trasferito nella Città de Il Cairo (dove nacque mio fratello Donato, nel mese di gennaio 1965). Anni di dura fatica e lavoro quotidiano dall’alba a sera inoltrata, testimoniati per mezzo di foto personali, alcune foto che mostrai a Manoocher e da cui rimase affascinato e ringraziò mio padre per avere modernizzato e costruito per l’Egitto, mi espresse i complimenti per papà (nel 2017 ancora in vita) e disse che l’Egitto ma specialmente l’Italia e soprattutto Bari e provincia, avrebbero dovuto rendergli omaggio e il giusto, doveroso tributo. Papà Biagio , carissimo e amatissimo, dagli inizi degli anni Sessanta prima di trasferirsi a Torino dove negli anni successivi nacque la sottoscritta, e dopo avere girato per lavoro l’Italia, soprattutto a Verona, Roma, Torino, Matera dove ha lavorato per una vita intera, si è occupato di progettazione e costruzione nel settore dell’edilizia industriale e civile, e di case prefabbricate, da “fiaba” ma dotate di tutti i comfort, meravigliose in legno, mobili e non, esibite ogni anno nel Padiglione Edilizia, nella celebre “Fiera del Levante” (stand e padiglione visitati ogni anno da un’ incuriosita e affascinata moltitudine di persone provenienti da molte regioni d’Italia e anche dall’Estero , molti dei quali, non solo visitatori ma anche benestanti acquirenti; esposizione ogni anno apprezzata da un numero in continua crescita di gente, in un padiglione ad hoc, alla loro azienda riservato, per l’appunto nella Fiera del Levante di Bari). Papà da progettista, disegnatore, ideatore, a brillante e bravissimo ispettore di vendite stimato e di valore, ha fatto realizzare opere civili, case, scuole , anche “la mia” scuola elementare, a Bari, tutte antisismiche, all’avanguardia e con materiali di qualità e duraturi, fatti costruire nel corso degli anni del Novecento e primi anni Duemila, in Italia e all’Estero, e tuttora in ottime condizioni come se fossero nuovi, non come oggi realizzati con materiali a basso costo, scadenti e spesso causa di tragedie, crolli, nelle scuole, in abitazioni a uso civile, ponti, con quei materiali utilizzati oggi di infimo livello e rischiosi… che hanno provocato crolli, anche nelle scuole, morti in edifici in realtà fatiscenti, la crisi irreversibile finora dell’edilizia e l’infiltrazione mafiosa anche in questo settore e per il Super bonus 110%). Inoltre, da nostro padre sono stati realizzati Hotel a 5 stelle all’Estero, e anche centri commerciali importanti in Italia e a Bari, lavorando nel Nord Italia e al Sud, in Puglia, nel capoluogo pugliese, e in Basilicata regione di origine di mamma Emma e papà (miei angeli custodi dal 2020 e 2021). La sua impresa di costruzioni ha ricevuto durante gli anni (dagli inizi con sede storica e principale a Verona) riconoscimenti, molte le pubblicazioni dell’azienda sempre aggiornata e al passo coi tempi, e gli articoli scritti su importanti giornali e anche sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”(che tuttora serbo con cura) in qualità di migliore azienda e impresa di edilizia civile e industriale in Italia e all’Estero, e con Manoo, di tutto ciò, della mia famiglia e della sua storia, dell’Egitto, e della deontologia professionale, etica, morale personale, dialogammo a lungo e gradevolmente. Serbo ancora le foto di quel bellissimo incontro didattico, formativo, dal punto di vista professionale e soprattutto umano, e, particolare non irrilevante che mi ha colpito , di recente, molto favorevolmente, è stato il seguente: ancora prima che gli mostrassi le fotografie che gli scattai in quell’occasione del Corso FPC, egli prima dell’incontro al Margherita, si è ricordato subito di me e di quella meravigliosa esperienza, una memorabile giornata trascorsa insieme, e di un corso fantastico e utilissimo, di eccelsa qualità a cui presero parte o vennero menzionati altri grandi giornalisti e fotoreporter come Marco Pinna , Fausto Padovini, Alessandro Gandolfi, Silton, Lynn Johnson, Daniel Beroluac, Giancarlo Cerando. Imparai a tanto e devo dire GRAZIE a tutti loro e soprattutto a Manoocher Deghati, Marco Pinna e Fausto Podavini . Manoo è davvero un Uomo, un fotografo eccellente, e una persona più unica che rara, di un’umiltà e umanità che ti riempiono il cuore di gioia e ammirazione. Deghati merita, unicuique suum tribuere, (dare a ciascuno il suo), gli elogi e l’essere omaggiato come tutti coloro che hanno lasciato buone orme, traccia del loro passaggio fruttuoso e altruistico, e dato tantissimo al mondo e all’Italia, con il loro duro lavoro, tutti coloro che hanno vissuto, vivono, e intrapreso in itinere grandi e piccole imprese, percorrendo il lungo iter, mai cessato, sempre in fieri, la faticosa gavetta e non solo aliquantum itineris (un bel tratto di marcia), e il laborioso, spossante operato (“con la mente, con le mani, con il cuore”, e da ritenere, per questo, Artisti, come sosteneva San Francesco d’Assisi) , sempre per meritocrazia. Ciascuno che sia, ed è, self made woman, o self made man proprio come Manoo, come tutti i grandi lavoratori, e i magni, eccellenti e nel contempo umili e i più intelligenti di tutti, e dunque i migliori, non un’apologia né piaggeria nei riguardi di Manoocher Deghati, ma in generale, per i suddetti esseri umani, l’effettiva e sacrosanta verità. Un ringraziamento speciale e personale a Manoo, e oggettivamente a livello generale, per quanto ha donato (e continua a fare), insegnato e lasciato in eredità ai suoi colleghi, a tutti noi, alle nuove leve, agli esperti e appassionati di fotografia.
L’IDEAMAGAZINE: Sfortunatamente è mutata la società e, contemporaneamente, anche il panorama del settore della fotografia. Quali cambiamenti maggiori avverte e qual è l’elemento, quali sono i “cambiamenti” che la lasciano basito, interdetto, o amareggiato e sconcertato?
MANOOCHER DEGHATI:” I tempi e la società sono cambiati, sono peggiorati. Ho vissuto tempi e anni sia durissimi che d’oro, molti rischi, minacce di morte, l’esilio, avventure entusiasmanti e anche drammatiche, un gravissimo ferimento, ho messo a repentaglio la mia vita per documentare conflitti bellici, ho vissuto peripezie, ricevuto minacce di morte, per raccontare, attraverso i miei scatti fotografici, senza censure. Oggi ci sono troppa censura e tagli di fondi, autocensure. In Francia e in altre nazioni civili, artisti, fotografi, artisti, registi, musicisti, giornalisti, vengono stimati, rispettati, ringraziati, onorati e ammirati, tenuti in grande considerazione, inoltre vengono stanziati molti fondi per arte e cultura, editoria, fotografia, cinema. Non ci sono più spazio, fondi, sostegni, specialmente per le nuove generazioni, che, come me, continuano a lottare per la verità, a combattere contro ingiustizie, per fare emergere la verità e le realtà soprattutto quelle, volutamente tenute nascoste e occultate, per quanto mi riguarda continuerò a denunciare la stupidità, malvagità, violenze e brutalità delle guerre”.
L’IDEAMAGAZINE: Come sosteneva Gino Strada medico, attivista, filantropo, scrittore e fondatore, con la moglie Teresa Sarti, di “Emergency” (Teresa è deceduta nel 2009. La seconda moglie, Simonetta Gola ha curato e dedicato a Gino , dopo la sua scomparsa, nel 2021, il libro “Una persona per volta” ) , meraviglioso uomo e creatore di “Emergency” ( la sottoscritta ha avuto il piacere e privilegio di conoscere e conversare a lungo con lui) :”Nessuna guerra è giusta, porta con sé solo fame, sangue innocente, miseria, morti incolpevoli molte delle quali di anziani, donne, e bambini rimasti orfani, o costretti a diventare bambini soldati, il più delle volte rimasti mutilati e invalidi a causa delle mine anti uomo, oppure rapiti, venduti come merce, e finiti nell’ inferno della pedopornografia o prostituzione. Il suo parere a riguardo?
MANOOCHER DEGHATI: Ogni guerra, è vero, cagiona solamente morti, sangue, miseria, disperazione, distruzione. Purtroppo, gli anni migliori sono terminati da decenni, non ci sono grandi sponsor, pochi assegnatari, meno fondi per la fotografia, ma in generale c’è un peggioramento riguardo tutti gli aspetti fondamentali della vita: salute, sanità, istruzione e scuola, trasporti pubblici, diritto all’abitazione, occupazione e lavoro, cultura, arte, le sette e ormai oltre arti, e soprattutto per cinema, musica, fotografia”. Viviamo nella globalizzazione di un mondo dove i bisognosi restano tali ed emarginati, i poveri diventano sempre più poveri, aumentano le diseguaglianze sociali e la miseria.
L’IDEAMAGAZINE: l’Italia purtroppo è agli ultimi posti per conoscenze informatiche e digitali, con un tasso altissimo di analfabetismo informatico. ll gap digitale è un fenomeno ancora molto radicato, pensi che in molti paesi italiani e cittadine non esistono fibra ottica e banda larga, così restano esclusi dal resto del mondo. Molti italiani non sanno neppure parlare e scrivere correttamente nella loro lingua madre, figuriamoci se possano conoscere le lingue straniere; invece, si studia e impara più di un idioma straniero in molto paesi del mondo. In Europa e in riferimento alle lingue di origine non neolatina, ma di tutte le lingue, anche le più difficili come il tedesco, il giapponese, l’arabo, il cinese mandarino, e altre ancora, vengono studiate dalle nuove generazioni anche da autodidatti, o durante soggiorni vacanze di studio, insegnati nelle scuole primarie come la lingua inglese, fin dall’infanzia. In molti paesi del mondo le persone sono bilingui, o poliglotti, e parlano e scrivono almeno tre lingue oltre alla madrelingua, in molte nazioni come in Spagna, soprattutto in Catalunya, e in Germania, Norvegia, ci sono scuole ed enti che offrono corsi gratuiti per imparare ad esempio il tedesco, e in Spagna: lo spagnolo detto anche castellano, castigliano, il catalano, il valenciano, la lingua basca, l’euskara una delle lingue più antiche del mondo. Perché, a suo avviso questa idiosincrasia, o pigrizia, nell’apprendimento delle lingue straniere?
MANOOCHER DEGHATI: Condivisibile e totalmente, il tuo discorso. Entrambi, ce lo siamo detti, e abbiamo scambiato anche qualche frase in spagnolo e un po’ di arabo e francese, idiomi da te studiati durante viaggi e soggiorni-studio, e insegnati a te dal tuo papà, gran lavoratore in Egitto che come sai, io ben conosco sotto ogni aspetto, per esempio il clima, e, sapendolo, immagino quanto debba essere stato arduo per tuo papà dirigere i lavori di costruzione anche in zone desertiche. Concordo sul discorso lingue non soltanto di origine, sono, siamo entrambi a favore della conoscenza delle lingue straniere non solo dell’imperante british english o americam english sebbene importantissimi e globali, mondiali, io sono poliglotta e anche tu lo sei, entrambi abbiamo viaggiato molto, come tu mi raccontasti dall’età di 14 anni, da sola, in Italia e da maggiorenne all’estero. Io a 19 anni arrivai in Italia dopo 10 giorni di viaggio in treno, da Teheran. Sicuramente, oggettivamente parlando, di base c’è troppa pigrizia, soggettivamente i motivi possono essere i più disparati, mancanza di tempo o di voglia, oppure la causa e la colpa sono di quei docenti non preparati o che non riescono a insegnare con passione e quindi non motivano gli alunni nelle scuole italiane, allievi che infatti poi si iscrivono a scuole private di lingue. Personalmente ho sempre amato le lingue straniere e ho voluto in tutti i viaggi e pernottamenti, in tutte le occasioni possibili, imparare la lingua e la cultura degli autoctoni in ogni posto del mondo in cui mi sono recato.
L’IDEAMAGAZINE: Hine ha girato il mondo e si calava nelle culture, nelle lingue dei paesi e dei soggetti che ritraeva. Hine ” a slight man who carried a big camera” che ha girato in lungo e in largo il mondo per denunciare, sensibilizzare e promuovere riforme sociali. Hine , e tu lo scrivi all’inizio del tuo profilo nel tuo web site, disse :” If I could tell the story in words I wouldn’t need to lug around a camera ” (“Se potessi raccontare una storia con parole , non avrei bisogno di trascinarmi dietro una macchina fotografica”). Quanto sono prioritarie e importanti le lingue straniere per operare nel settore della fotografia, nel giornalismo, e in generale per avere più chance e potere lavorare anche all’Estero, nel mondo, e quanto conta comunicare attraverso le fotografie?
MANOOCHER DEGHATI: ” Hai ragione, sì, è vero. All’inizio del mio web site, scritto interamente e per scelta in lingua inglese, cito quella bellissima frase: “If I could tell the story in words, I wouldn’t need to lug around a camera” di Lewis Hine, master di Graflex camera, il fotografo che rivoluzionò il mondo della fotografia, uno dei nostri Maestri a cui dobbiamo molto ed essere grati eternamente, autore ante litteram del fotogiornalismo, di libri “Bibbia” sulla fotografia, e dei reportage più belli, originali e pro-diritti umani. La comunicazione visiva ed espressiva delle foto è universale, ma per essere un bravo e preparato fotoreporter e giornalista, occorre imparare più lingue straniere possibili. Io, come ho detto e ripeto spesso durante i miei corsi o conferenze, ho imparato la lingua degli autoctoni, dei luoghi in cui mi recavo, per conoscerne meglio cultura, usanze, anima, e stringere amicizia con loro. Leggere tantissimo è indispensabile, studiare e aggiornarsi, perfezionarsi sempre, non considerarsi mai arrivati, o essere boriosi e superbi per avere vinto tanti premi e riconoscimenti, certo fanno piacere, sì sono sincero e onesto, ma per me contano la qualità del risultato finale e svolgere con onestà, serietà, professionalità, umiltà e competenze, preparazione, il proprio lavoro qualunque esso sia, specialmente il nostro, nell’universo media, fotoreporter e giornalisti, fotoreporter di guerra, fotografi, cameramen, professioni essenziali, lavori faticosi dal punto di vista psicofisico a cui ci dedichiamo con anima e corpo, spesso stressanti, ma anche bellissimi e intrisi di eustress, adrenalina, gratificazioni personali, ma prima di tutto fondamentali, una “mission” oltre che vocazione personale, al servizio dei cittadini, della comunità.
L’IDEAMAGAZINE: Quando e come nasce la sua passione anzi il termine esatto è l’amore per l’Italia?
MANOOCHER DEGHATI: Fin da bambino ero innamorato del cinema in generale ma soprattutto del vostro cinema, di grandi come De Sica, Visconti, e di grandissimi attori, come Anna Magnani prima donna italiana vincitrice dell’Oscar come protagonista nel film americano “La rosa tatuata”, nel 1956, e di Alberto Sordi e molti altri. Un bel giorno ho preso un treno da Teheran e dopo 10 giorni di viaggio sono arrivato in Italia, come ho detto prima, avrei voluto conoscere e fotografare una personalità che stimavo moltissimo Pasolini, purtroppo non fu possibile perché era stato assassinato. Non a caso, ma volutamente ho deciso di venire in Italia, dove ho studiato e conseguito, al termine del Liceo nella mia Terra, il Diploma in cinematografica a Roma dove scelsi di trasferirmi. Dall’85 sono stato esiliato dall’Iran e inserito nella “Black list”. Potrei rientrare in Iran, ma ritornerei vivo in Italia?.
L’IDEAMAGAZINE: Occorrono oltre che coraggio, cuore, comprensione, lucidità, concentrazione, etica, e qualità rare sia dal punto di vista tecnico che umano, per raccontare una guerra. Per lei, cosa significa e in cosa consiste, descrivere, fare conoscere conflitti bellici, narrare e fotografare nel migliore dei modi, raccontare attraverso le immagini, una guerra?
MANOOCHER DEGHATI: Raccontare una guerra non è mostrare i cadaveri o soffermarsi ormai sulle vittime incolpevoli assassinate e trucidate, torturate, incarcerate, bensì continuare a parlare, a documentare, l’esistenza e la sopravvivenza di chi si è salvato, testimone vivente degli accadimenti , e non abbandonarli, non lasciarli soli, non dimenticarli, è necessario e doveroso continuare a seguire le storie dei survivors, scattare fotografie sui vivi, su coloro che sono rimasti incolumi o non sono morti, ma il più delle volte, sopravvivono, restano traumatizzati a vita, feriti, impazziti, impoveriti, o sono stati resi invalidi, mutilati, torturati per anni. Per chi non c’è più. per loro c’è il Paradiso, per chi ci crede, ma chi rimane qui continua a esistere, o peggio a sopravvivere, oppure a restare intrappolato in un Inferno quotidiano.
L’IDEAMAGAZINE: Oltre a studiare e imparare le lingue straniere, leggere molto, scrivere, viaggiare, quali altri suggerimenti darebbe a colleghi, a giovani anagraficamente, a fotoreporter, ad appassionati autodidatti, e a giornalisti, più che a quelli professionisti spesso disinformati, sedentari, boriosi e snob, ai giornalisti che siano competenti, che è ciò che più conta, ossia preparati , con grande apertura mentale, globetrotter, cosmopoliti, aggiornati, “sul pezzo”, colti, e professionali?
MANOOCHER DEGHATI: Se si vuole imparare a fotografare a livello professionale, ed essere ottimi fotoreporter e giornalisti, bisogna leggere tanto, studiare sempre, e non soltanto le lingue straniere, ma anche: comunicazione efficace, storia, geografia, arte, italiano, psicologia, PNL, antropologia, naturalmente fotografia, visitare musei, e i luoghi più disparati del mondo, viaggiare ma non da turista, parlare con le persone, e come dicevano e facevano i grandi giornalisti del passato: “consumare le suole delle scarpe”, essere svegli, vitali, forever young inside (per sempre giovani interiormente) nella mente e nel cuore, con in più i doni, le ricchezze, l’esperienza e la consapevolezza della maturità, essere sempre attivi e curiosi, raccontare obiettivamente e con sincerità la realtà, cercare ciò che molti ignorano, lottare per la verità e la giustizia, e poi entrare in sintonia, in punta di piedi, con rispetto, rendendosi “invisibili” con i soggetti da fotografare, e dando rilievo e importanza a loro e non all’ Ego del fotografo, autoreferenziale, tronfio e che si considera arrivato, o, peggio, un genio, il migliore di tutti. In generale, quasi sempre, un bravo e grande fotoreporter, e un grande giornalista, posseggono molte e rare qualità, e sono un grande Uomo e una grande Donna.
GALLERIA