È stato pubblicato da Nature Scientific Reports lo studio dal titolo “Bioarchaeological and palaeogenomic portrait of two Pompeians that died during the eruption of Vesuvius in 79 AD”, che ha visto la collaborazione tra il Laboratorio di Antropologia Fisica dell’Università del Salento, il Centro di Antropologia Molecolare per lo studio del DNA antico dell’Università di Roma “Tor Vergata”, il Laboratory of Molecular Psychiatry dell’Università della California di Irvine e il Lundbeck Foundation GeoGenetics Centre dell’Università di Copenhagen. Grazie alla disponibilità del Parco Archeologico di Pompei, sono stati analizzati con un approccio multidisciplinare, bioarcheologico e paleogenetico, i resti scheletrici di due individui rinvenuti nella Casa del Fabbro, uno dei numerosi edifici eccezionalmente ben conservati situati a Pompei.
Il sito archeologico di Pompei, come ben noto, è uno dei cinquantaquattro siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO in Italia. Pompei era una città portuale di età imperiale romana che fu completamente distrutta e sepolta dalle ceneri dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Per anni si è cercato di analizzare geneticamente i reperti antropologici provenienti da questa città, ma la loro analisi molecolare ha rappresentato per anni una grande sfida. Oggi, grazie agli enormi passi in avanti fatti negli ultimi decenni dalla palaeogenomica, è stato possibile recuperare il DNA antico da uno dei due campioni umani analizzati. Il lavoro ha particolare rilevanza scientifica perché i ricercatori sono riusciti a determinare il profilo genetico di un pompeiano, che risulta avere forti affinità con la circostante popolazione dell’Italia centrale di età imperiale romana. Le analisi paleopatologiche hanno identificato la presenza di spondilite tubercolare (morbo di Pott) in uno dei due individui. Questa patologia era endemica in epoca romana imperiale, come riportato nelle fonti antiche di Celso, Galeno e Celio Aureliano, e Areteo di Cappadocia, ma è raro ritrovarla in contesti archeologici perché soltanto in piccole percentuali manifesta alterazioni scheletriche. In conclusione, i risultati di questo studio forniscono dati molto preziosi su individui morti durante l’eruzione del 79 d.C., che ampliano le informazioni biologiche, paleopatologiche e genetiche, confermando e dimostrando la possibilità di analizzare DNA dai resti umani provenienti da Pompei.