Recensione di Neco Verbis © dibartolocritic
Vai a Vienna, ti godi la città sembre bella e ospitale nonostante il freddo, ti sorbisci anche il balletto di repertorio, sia pur grazioso, qualche giorno prima, e aspetti con trepidazione un Don Giovanni da manuale…
Invece il 29 gennaio 2017 il Don Giovanni andato in scena al Wiener Staatsoper è stato decisamente una produzione che probabilmente passerà senza lasciare evidenti tracce.
La presenza di Simon Keenlyside nella parte di Don Giovanni aveva polarizzato l’attenzione dei melomani, ma il ruolo si è presentato ostico per il baritono, che tutti ricordano a partire soprattutto dall’esemplare, addirittura storico, Papageno.
Non che Keenlyside non sia all’altezza di sostenere il ruolo del protagonista mozartiano in questo capolavoro, ma certo le sue doti vocali sono alquanto “leggere”, nonostante sia passato da lungo tempo al repertorio verdiano e quant’altro. Un vero peccato, perché il baritono è un ottimo artista, un gran bravo attore, un musicista raffinato. Dunque, se un ruolo non gli sta bene, pazienza, non lo canti! Si volga a ciò per cui la sua ottima vocalità lo porti per natura, per indole e per studio. Il pubblico ha dissentito; a malincuore, ma ha dissentito.
Autorevole vocalmente il Leporello di Erwin Schrott, ma scenicamente inespressivo, registicamente non ben messo a fuoco, non padrone della gestualità che necessita ad un personaggio astuto e volgarotto, nonché “plebeo” rispetto a Don Giovanni, nonostante il bieco accordo tra i due malandrini padrone-servo. L’autorevolezza vocale dello Schrott superava quella del protagonista e il pubblico smaliziato di Vienna l’ha sottolineato agli applausi finali.
E se Leporello è piaciuto più che don Giovanni, Donna Elvira, Dorothea Röschmann è piaciuta più di donna Anna Irina Lungu. Al pubblico, ma anche a me personalmente.
Particolarmente applaudito dal pubblico viennese il don Ottavio di Benjamin Bruns, che ha una vocalità di non particolare brillantezza, ma che è stato corretto nelle agilità e negli abbellimenti ed ha fatto spiccare scenicamente il personaggio a lui affidato.
Altri interrpreti gradevoli, meno il Commendatore, assai poco statuario nell’aspetto ma soprattutto nella vocalità carente di profondità e di cesello.
Su tutti incombeva la pesantezza mastodontica della direzione del M°. Adam Fischer, il quale aveva forse da poco accantonato la partitura del Parsifal del marzo scorso sempre a Vienna, che ancora, però, gli frullava per la testa. Mozart è splendore, brillantezza del suono, vivacità dei tempi, speditezza di scene e recitativi. Non può diventare “pesante”, non deve.
Il M°. Fischer aveva per le mani la magnifica orchestra del Wiener Staatsoper, dalla quale si può ottenere di tutto. Perché mai non ha sfruttato le doti che i maestri austriaci gli offrivano su un piatto d’argento? Un vero peccato anche questo, perché tutto l’andamento dell’opera ha risentito di un’artefatta solennità teutonica, di una prospopea che Mozart non possiede, di una lentezza di tempi che ne inficia la natura e che mette oltretutto in difficoltà gli interpreti.
Infatti il pubblico viennese non ha risparmiato i dissensi al direttore, ai quali si sono uniti i miei personali, sia pur taciti, perché trovo che la platealità andrebbe bandita dai teatri.
Altrettanto pesante la messa in scena che si addiceva perfettamente ai coloriti oscuri della direzione d’orchestra, immersa sovente com’era in un buio colorato delle luci spesso rosse e blu di Fabrice Kebour, sulle le scene trasversali e un po’ farraginose di Hans Schavernoch.
Regia approssimativa di Jean Luois Martinoty, che ha fatto ingurgitare sesso al protagonista a “bocconi da gigante” fino all’ultimo atto, ammannedogli infine per cena ben due cameriere in grembiulino e crestina. Passi l’azione scenica, ma i costumi di Yan Tax, ideati da Schavernoch, no: erano incoerenti, di datazione incerta, tra gli anni ‘3o del secolo scorso e il pieno settecento dell’originale, in cui a volte le maschere del ballo non si distinguevano dagli abiti reali degli interpreti.
In conclusione, non tutte le ciambelle riescono col buco e questa volta a Vienna una bella fetta geometrica di Sacher torte ha confortato qualche spettatore deluso all’uscita dal teatro, me compreso.
Neco Verbis © dibartolocritic
PHOTOS ©Wiener Staatsoper ©Michael Pöhn ©Ekaterina Shapinskaya on M° Keenlyside’s Facebook page