“Dio non ci ha voluto interscambiabili”. Quante volte abbiamo sentito questa affermazione negli ultimi decenni…
Rifletto ultimamente sull’argomento della differenza di genere, soprattutto di questi tempi al centro di discussioni, letture, ascolti. Un articolo in particolare mi ha fatto elaborare pensieri che cercherò di palesare, anche attraverso l’apporto di idee personali.
Nell’educazione dei figli ci ancoriamo a criteri di “normalità”, consolidate negli anni, se non tramandate attraverso generazioni. Così orientiamo i maschietti al gioco delle armi, dei camion e delle automobiline, siamo assertivi su certi loro comportamenti avventurosi, a volte temerari, all’insegna del movimento e dell’attivismo, mentre tendiamo a pilotare i gusti delle femminucce nell’abbigliamento, nel gioco emulativo di “mamma casetta”, delle bambole, delle pentoline; tutte queste cose rispondono a un programma già pensato, in molte di noi donne, fin dai tempi della gestazione. Come dire: genitore io, genitore tu, secondo un cliché già collaudato nel tempo.
Non è poi tanto differente l’atteggiamento mentale che assumiamo nei confronti del maschio adulto. Il tradimento, nonché il fenomeno del“gallismo”, come l’aveva battezzato Vitaliano Brancati, è molto spesso del tutto accettato; a volte, agli occhi di chi assiste dall’esterno, questi fenomeni di costume sembrano quasi essere oggetto di scarsa considerazione. Ciò non avviene se è la donna a sovvertire l’ordine naturale delle cose quando si tratta di fedeltà. Ci sono, inoltre, situazioni in cui la donna è in carriera lavorativa, pertanto costretta a lasciare parte dei compiti riservati alla cura della casa e dei figli al marito. E allora” Apriti cielo!”
E ciò perché uomini e donne per molti dovrebbero avere stabilizzato nel tempo il proprio ruolo “ab aeterno”, un ruolo caratterizzato da compiti diversi e specifici, in base alle caratteristiche fisiche, ormonali, biologiche. “Come uomo, quindi, sarò facilitato nel muovermi nel mondo, usare attrezzi, provvedere al sostentamento della mia famiglia; come donna, la biologia mi sosterrà nei lavori domestici e nelle pratiche di accudimento di bambini e parenti anziani”.
C’è chi sostiene che le differenze di genere non esistano, in quanto ognuno dei due sessi è dotato di caratteristiche biologiche diverse e pertanto i ruoli devono essere di conseguenza diversi. Le chiamano “posizioni essenzialiste” i punti di vista di pensiero che convergono in tal senso.
Leggo a tal proposito un articolo di Alessia Dulbecco su Tascabile, rivista online: “Per gli essenzialisti il legame tra sesso (dimensione biologica) e genere (attributi culturali) è univoco: dall’uno discende l’altro. Nell’essenzialismo i due concetti si sovrappongono in maniera così netta da rendere impensabili molte discriminazioni: ad esempio, non trattiamo i bambini e le bambine in modo diverso, semplicemente assecondiamo la biologia.”
È davvero così?
Come dice la Dulbecco, si sostengono le idee relative alle diversità genetiche, (responsabili di comportamenti che differenziano uomo e donna), quasi esse fossero supportate da un esame diagnostico come la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata).
Leggo che secondo Cordelia Fine, psicologa e docente di filosofia della scienza a Melbourne, l’evoluzione degli accomodamenti allo stile di vita dipendono dalle modifiche del sistema evolutivo nella sua complessità e non solo dai geni, dalle consuetudini, dagli stereotipi.
Il che significa che in presenza di importanti mutazioni nel sistema evolutivo esteriore, (sociale, culturale), queste possono influenzare e mutare un comportamento adattivo pregresso.
Quindi, oltre i geni, per definire le caratteristiche comportamentali dell’uomo e della donna al di là della nostra biologia, quello che conta sono anche le esperienze culturali di cui dobbiamo tenere conto.
A convalida di ciò, ho letto di esperimenti a cui sono stati sottoposti uomini e donne, esperimenti finalizzati a mettere in evidenza la connessione tra i livelli di testosterone e il comportamento rilevato in sede di test. Cosa è stato riscontrato? Ebbene, in estrema sintesi, in situazioni particolari di simulazione di accudimento, gli uomini mettevano in evidenza un abbassamento del testosterone (l’ormone maschile), penso probabilmente ciò collegato ad uno stato d’ansia da prestazione, o da insicurezza, incertezza ed indecisione di fronte al compito; essi, forse si sentivano fuori da quella costruzione di genere generante lo stereotipo.
Nel caso delle donne, si riscontrava un aumento di testosterone là dove si chiedeva loro di simulare situazioni ambientate in contesto lavorativo, non poi così comune, in cui esse dovevano ricoprire competenze estremamente qualificate e professionalità di alta responsabilità.
Immagino che l’aumento dei livelli di questo ormone era indicativo di forte motivazione, senso di potere e sensazione di benessere che le donne provavano nell’assecondare il compito ricevuto e che ciò, pertanto, proprio perché causa di un allontanamento dallo stereotipo, fosse responsabile di una crescita di testosterone.
“Secondo Fine le variazioni dell’ormone sono collegate alle costruzioni di genere: esse modificano la reattività del testosterone poiché esso non è immune agli stereotipi che determinano le aspettative verso un dato comportamento e il suo esito (di successo o fallimentare)”.Gli stereotipi insomma sarebbero responsabili della fiducia o della sfiducia che riponiamo nei risultati conseguenti a una richiesta.
Fine sembra volerci pertanto dire di non dare per certa l’esistenza di un legame causale univoco tra aspetti biologici e comportamenti sociali.
A prescindere dal fatto che il testosterone è “onnipresente nelle specie che si riproducono sessualmente”, esso si muove in un sistema ormonale “multistratificato” responsabile della variazione dei gradi di associazione tra gli ormoni stessi e i comportamenti; un ‘interazione che non permetterebbe di sapere con certezza il livello d’influenza degli uni sugli altri.
Alcuni antropologi hanno posto in evidenza con i loro studi come nelle società di cacciatori-raccoglitori non esistesse la divisione dei ruoli così come la intendiamo oggi; inoltre la parità di genere nell’adempimento delle mansioni, rafforzava la rete sociale di cui gli uomini avevano bisogno ai fini della sopravvivenza.
Le società stanziali, con lo sviluppo dell’agricoltura, che favoriva l’accumulo delle ricchezze, hanno creato la cosiddetta divisione “binaria” dei ruoli, anche con l’ausilio di norme culturali e religiose. Una parentesi si ebbe con la rivoluzione industriale in cui fu richiesta la manodopera femminile, presenza di cui, specialmente in alcune zone geografiche del pianeta, se ne fece a meno in seguito, in base a pregiudizi di rispettabilità offesa.
Capiamo, quindi, come i ruoli attribuiti ai due sessi prescinderebbero da un’evoluzione di tipo biologico.Studi poi in ambito pedagogico e sociologico hanno riscontrato come media e opinioni diffuse cristallizzino le differenze di genere; idee così dilaganti e martellanti, attraverso la comunicazione, su come essere femmine e maschi, ci influenzano nel profondo già dalla tenera età.
La filosofa femminista Iris M. Young, afferma che “qualità tradizionalmente ‘femminili’ come debolezza e passività, vengono introiettate a tal punto da far esperire alle ragazze il proprio corpo come più debole”. Questo sarebbe il motivo per cui esse si avvicinano meno a gli sport dove il corpo debba dimostrare elevata forza o capacità competitive; ciò avverrebbe anche nelle scelte formative e poi professionali, dove le donne esprimerebbero un atteggiamento più dimesso nell’affrontare situazioni esistenziali.
Certo penso ciò non valga in modo assoluto; le donne hanno fatto passi da gigante negli anni, dimostrano grinta e determinazione negli studi e nel lavoro, ma è indubbio che esistano ancora parecchie situazioni di disagio femminile in molti ambiti della vita anche nei Paesi cosiddetti sviluppati, dove vige lo “stereotipo di genere”, capace di condizionare non solo il presente ma anche una visione del futuro.
Seppure innegabile la differenza biologica tra sessi, risulta dannosa però una cristallizzazione dei ruoli di genere.
Infatti tanto i maschi quanto le femmine in alcune situazioni possono comportarsi in modo simile nonostante le differenze biologiche.
Al di là delle differenze anatomiche, l’uomo e la donna hanno in sé un’ amalgama di caratteri sia maschili che femminili a livello cerebrale e di comportamento.
Pertanto sarebbe preferibile mettere l’accento su ciò che ci unisce anziché su ciò che ci divide per scoprire in noi tasselli performativi che nascono sotto la spinta delle richieste della società in continua evoluzione.