Scienza e fantascienza sono spesso protagoniste di contaminazioni e scambi reciproci, tanto che la maggior parte delle opere di science fiction, dal cinema alla televisione, dalla fumettistica alla sfera videoludica, affonda le radici in una serie di basi e assunti scientificamente solidi. D’altro canto, sono numerosi i casi in cui registi e sceneggiatori si rivolgono alle autorità scientifiche per garantire la credibilità di una narrazione, come nel caso del pluripremiato lungometraggio “Interstellar”, per cui il regista Christopher Nolan si è avvalso della competenza di Kip Thorne, premio Nobel per la Fisica 2017, al fine di rendere verosimili il viaggio e le esperienze dei protagonisti.
Molto frequenti anche gli scienziati che, per hobby o per passione, valutano l’accuratezza scientifica di serie televisive, lungometraggi, videogiochi o opere narrative in generale. Ne è un esempio “The Physics of Star Trek”, in cui l’astrofisico americano Lawrence M. Krauss, docente presso l’Arizona State University, analizza alcuni dispositivi apparsi nella nota saga realizzata da Gene Roddenberry, soffermandosi sulle leggi naturali che potrebbero giustificarne il funzionamento e le ragioni che invece ne impedirebbero la concretizzazione. “La fantascienza di qualità ha sempre avuto un rapporto molto stretto e sinergico con la scienza, traendone ispirazione ma anche ispirando ricerche innovative alle nuove generazioni di scienziati”, afferma Luciano Anselmo, ricercatore presso l’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione “Alessandro Faedo” (Isti) del Cnr. “Solo per menzionare il settore a me più vicino, quello spaziale, molti dei pionieri dell’astronautica hanno maturato il loro interesse e tratto ispirazione dalle opere di Jules Verne, e tanti scienziati e ingegneri attivi a partire dagli ultimi decenni del ‘900 non nascondono l’influsso profondo che su di loro hanno avuto scrittori come Arthur C. Clarke o fortunate serie televisive come Star Trek”.
Accade spesso, dunque, che oggetti, invenzioni, dispositivi o strumenti immaginati diventino poi parte della realtà, per via del progresso che avanza in modo indipendente, ma anche seguendo un processo di vera e propria ispirazione. Alla prima categoria appartengono tutte le tecnologie concretizzatesi dopo la “profetizzazione” da parte di autori di fantascienza. Per fare solo qualche esempio, Arthur Clarke nel suo “ExtraTerrestrial Relays” del 1945 ipotizzava l’esistenza futura di satelliti artificiali; il sottomarino Nautilus è stato immaginato da Verne in “Ventimila leghe sotto i mari” (1870) in un periodo in cui non esisteva nulla del genere; l’utilizzo delle carte di credito descritto da Bellamy in “Loocking Backward: 2000-1887” (1888) anticipa la oggi comunissima modalità di pagamento di oltre 60 anni; il computer intelligente di “Star Trek” (1966) e l’inquietante Hal 9000 di “2001: Odissea nello Spazio” (1968) rappresentano simulacri delle intelligenze artificiali odierne, come Google o Siri, Alexa o Cortana, ma anche di tutti i sistemi di apprendimento automatico che oggi supportano la ricerca e la scienza. Nella serie televisiva britannica “Black Mirror” (il cui primo episodio è andato in onda nel 2011), fortemente orientata verso una distopia tecnologica, compaiono diversi oggetti e situazioni attualmente in fase di realizzazione o evoluzione, come le lenti a contatto dotate di display, la possibilità di ricostruire la personalità di un utente in base al comportamento adottato sulle piattaforme online, i videogiochi altamente immersivi o, in ottica più distopica, l’eventualità che la tecnologia diventi il lato oscuro del progresso e dell’umanità.
“A proposito di Arthur Clarke, tra le tante perle di saggezza che amava ripetere c’era la constatazione che è praticamente impossibile prevedere le scoperte e le nuove tecnologie che svilupperemo fra appena 30 anni. Ciò significa anche che è praticamente impossibile porre un limite all’immaginazione degli scrittori di fantascienza, ma anche a quella degli scienziati”, afferma il ricercatore. “I primi, esplorando i desideri e le pulsioni del genere umano, possono ragionevolmente capire dove potremmo avventurarci, come individui, come società e come specie, qualora si aprissero davanti a noi certe possibilità. Ai secondi spetta invece il compito, in questa relazione dialettica, di percorrere sentieri sconosciuti che potrebbero anche portare alla realizzazione di tali possibilità”.
La presenza di forme di vita intelligenti, d’altra parte, uno dei temi più ricorrenti nella fantascienza, è ancora oggetto di innumerevoli discussioni da parte degli esperti. Nelle declinazioni distopiche, il rapporto con gli alieni si risolve quasi sempre in un conflitto a danno dell’umanità, mentre in molte narrazioni il contatto con esseri esterni al pianeta Terra rappresenta una possibilità di scoperta, di arricchimento o di confronto. La risposta a una delle domande più ataviche dell’astronomia, però, è ancora lontana dall’essere individuata. Tra i tentativi più noti di risolvere l’enigma sulla vita extraterrestre spicca il progetto Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che dal 1974 si occupa della trasmissione di messaggi radio e dell’analisi dei segnali provenienti dallo spazio, al fine di rintracciare eventuali prove dell’esistenza di intelligenza oltre il nostro Pianeta.
Formulata nel 1961, anche l’equazione di Drake rientra tra gli sforzi in questo senso, in quanto rappresenta un algoritmo matematico utilizzato per stimare il numero di civiltà aliene esistenti nella nostra Galassia e in grado di comunicare. Viste le scarse conoscenze sulle variabili dell’equazione, tuttavia, la risoluzione della formula di Drake è ancora molto complessa e controversa. “Se adottassimo i valori più plausibili consistenti con le nostre conoscenze attuali troveremmo che sarebbe molto poco probabile che due civiltà tecnologiche avanzate siano contemporaneamente presenti nella Galassia, il che spiegherebbe anche il Paradosso di Fermi, cioè la nostra apparente solitudine cosmica”, osserva Anselmo. “Tante civiltà extraterrestri sono probabilmente già esistite in passato e molte altre popoleranno il futuro, ma separate soprattutto dal tempo e non solo dallo spazio, come si crede comunemente”.
La contaminazione tra realtà e finzione, tra scienza e fantascienza, tra utopia e distopia, si basa pertanto su un rapporto complesso e articolato, nel quale i punti di contatto sono davvero numerosi e ricorrenti, tanto che una delle più affascinanti peculiarità delle due dimensioni è proprio quella degli scambi e delle sovrapposizioni che fungono da ispirazione per l’una e per l’altra. Il concetto espresso dall’astrofisico Stephen Hawking: “La fantascienza di oggi è spesso la scienza di domani”. “Star Trek, se vogliamo, è un esempio lampante di questa dialettica. Basti pensare al tricorder, che possiamo già considerare materializzato in tanti dispositivi che usiamo ogni giorno, e al replicatore, di cui le nostre capaci e sofisticate stampanti 3D riproducono sempre più funzioni”, continua il ricercatore. “Ma forse nessuna intuizione è capace di battere quella del teletrasporto, che per giunta non venne inventato dagli autori della prima serie per una fortunata ispirazione fantascientifica, ma solo come escamotage della produzione, a corto di soldi, per risparmiare sugli effetti speciali. Ebbene, non solo il teletrasporto è diventato uno dei marchi di fabbrica della serie, ma ha ispirato scienziati e filosofi, facendoci interrogare sulla natura della realtà e sul significato del sé, della coscienza e dell’individualità”.
Dal comunicatore alle videochiamate, dal traduttore universale al tablet, dalle porte automatiche ai dispositivi di archiviazione, dall’uso del laser fino all’iconica astronave Enterprise (che ha dato il nome a una serie di progetti, prototipi e veicoli Nasa), molte delle tecnologie presenti nella saga di Roddenberry si sono in effetti concretizzate nel corso degli anni. “E, anche se apparentemente impossibile, una forma di teletrasporto quantistico è stata alla fine anche sviluppata”, conclude Anselmo. “Per il momento si tratta solo di particelle, ma già si intravedono possibili applicazioni e chi l’ha realizzato non ha mancato di sottolineare l’influsso di Star Trek e la potenza dell’immaginazione”.
Valentina Di Paola [Da Almanacco della Scienza N. 4 – 24 feb 2021]