Recensione di Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
Drammaturgia moderna: spesso un rebus. Invece, la linearità e la coerenza appaiono essere i connotati caratterizzanti la scrittura del drammaturgo e regista Giuseppe Argirò, qualità con le quali venni in contatto a Volterra nel 2014, in occasione della messa in scena de “L’infinito Giacomo” nell’ambito del Festival internazionale del teatro romano.
Fu una gradevole scoperta, allora, rilevare una linea drammaturgica basata sul monologo, abilmente intersecata dalle poesie leopardiane e affidata alla competenza scenica ed all’interpretazione del grande Giuseppe Pambieri. La vita e le opere di Giacomo Leopardi risaltarono in un ritratto vivace, verosimile e variegato, che ebbi modo anche allora di recensire.
Con principi analoghi, ma non coincidenti, e stesso stile elegante e sobrio si presenta “Centomila, uno, nessuno (la curiosa storia di Luigi Pirandello)” dello stesso Giuseppe Argirò, andato in scena in prima nazionale al Piccolo Teatro della Città a Catania, il 3 dicembre 2016, protagonista un altro grande scrittore italiano.
Sempre Giuseppe Pambieri in scena ad interpretare il monologo in questione. Il sodalizio Pambieri/Argirò pare essere produttivo e l’inossidabile attore è capace di porgere allo spettatore lo snodarsi di una storia certo non semplice, né breve: la storia di una vita.
Nulla o quasi in scena, ma solo un gigante che campeggia, supportato appena da alcune proiezioni di Claudio Ammendola e Sara Angelucci e da suoni e musiche a cura di Simone Raimondo, che richiamino, se ce ne fosse bisogno, l’atmosfera del tempo e delle azioni. Se ce ne fosse bisogno, perché la magia del teatro fa sì che quando un pregevole testo ed un valido interprete s’incontrino, l’atmosfera si crei senza orpelli, perfino nei silenzi tra le parole.
La lettura al leggìo è porta allo spettatore come filo conduttore della biografia, tracciata sotto forma di un vero ritratto letterario, con sfumature e chiaroscuri, in un intersecarsi tra i fatti della vita, certo non fortunata, dello scrittore siciliano, e le sue opere.
Un vero e proprio intarsio, abilmente messo in atto dall’Argirò, tra le vicende vissute e la loro trasfigurazione scenica, in una scrittura che scorre e si fa ascoltare avidamente, ma senza scosse. Al punto che lo spettatore si chieda a posteriori dove finisca la biografia e cominci il personaggio, realizzando solo dopo le prime battute che l’attore non stia più raccontando fatti biografici, ma stia recitando brani di narrativa e di grande teatro.
Una vicinanza con la morte, in particolare, quella del Pirandello, in cui la sfumatura quasi impercettibile di passaggio dalla biografia al personaggio teatrale nato dalla creazione del genio siciliano è data solo dal distaccarsi dell’attore dal leggio e dal recitare a memoria.
Un Pirandello che parla già da morto, all’inizio, ma vivo”, dunque, del quale pochi conoscono la vera biografia, un uomo tanto sfortunato nella vita quanto geniale nell’arte. Dimostrazione palese, come dice l’Argirò stesso (che ha strutturato il ritratto pirandelliano anche a questo scopo esplicativo, quasi dimostrativo) di come le opere letterarie e teatrali di un autore siano frutto della sua esperienza del dolore e della fatica del vivere, così come i suoi personaggi rappresentino in scena la proiezione delle figure umane che la vita lo ha portato ad incontrare e con le quali ha vissuto, interagito e sofferto.
Pirandello è se stesso e nello stesso tempo i suoi personaggi, personaggio e interprete, soggetto e oggetto, fonte vivente della sofferenza d’esistere, anche del suo “Il berretto a sonagli”, sinonimo di una follia vera, vissuta, quella della moglie. Tanto vera da sembrare recitata, quanto la recita riesca non a sembrare, ma ad essere vera. Un gioco di specchi che la difficoltà di una “trama” lunga e dolorosa rende ancor più pregevole e che risalta insieme alla coesistenza della follia con l’amore.
Brani tratti sia dal teatro che dalla narrativa; da Il fu Mattia Pascal al Padre dai Sei personaggi in cerca d’autore, dall’Enrico IV al Laudisi del Così è (se vi pare), al Leone Gala de Il giuoco delle parti, fino a L’uomo dal fiore in bocca, di particolare resa viva, recitata verso lo spettatore, anche in un emozionante incrocio e scambio di sguardi e di significati, con una finezza d’alta classe del Pambieri, personalmente mai rilevata prima a tal punto in un interprete.
Una serata sottolineata da vivi applausi alla fine, all’interprete di indiscusso spessore, ma anche al testo ed al suo autore, che snoda e dirige la propria attività, con ben riposte ambizioni, verso il grande teatro.