Quando si parla di paleontologia e di fossili non ci si riferisce a centinaia di anni bensì a milioni di anni. E così, volendo celebrare anche in questa rubrica un centenario, Ester Cecere dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr tratta di un ittiosauro vissuto 100 milioni di anni fa e di altri che invece allora si estinsero
Il 1° dicembre 2020, sull’Appennino tosco-emiliano, nel comune di Neviano degli Arduini (Pr), sono stati rivenuti i resti di un rettile marino vissuto 100 milioni di anni fa. È il primo fossile di vertebrato marino del mesozoico scoperto in provincia di Parma, tra i più importanti del Nord Italia. L’eccezionale ritrovamento è avvenuto nell’ambito del progetto “Inter Amnes”, durante le ricerche sul territorio parmense e reggiano coordinate dal Dipartimento delle discipline umanistiche, sociali e delle imprese culturali dell’Università di Parma. Il progetto ha coinvolto direttamente la cittadinanza, dalla quale è pervenuta la segnalazione di anomalie nel terreno, osservate durante le arature. Questa comunicazione ha consentito agli studiosi di intervenire tempestivamente e di riconoscere ben dieci grandi vertebre fossili che affioravano dal campo. I resti sono stati subito riconosciuti come quelli di un ittiosauro, animale marino preistorico appartenente a un gruppo di rettili estintisi nell’era mesozoica, l’era dei dinosauri, per intenderci, iniziata circa 251,0 ± 0,4 milioni di anni fa e conclusasi 65,5 ± 0,3 milioni di anni fa, durata quindi circa 186 milioni di anni. Le dieci vertebre, integre e in buone condizioni, appartenevano presumibilmente alla coda dell’animale. Le prime analisi hanno permesso di stimare la lunghezza dell’ittiosauro tra i 5 e i 7 metri. Inoltre, lo studio preliminare sulla geologia delle rocce nell’area del ritrovamento ha consentito di assegnare ai resti un’età di circa 100 milioni di anni.
Gli ittiosauri erano rettili marini con un corpo affusolato e idrodinamico, simile a quello dei delfini. A differenza, però, di questi mammiferi marini, che hanno soltanto le pinne anteriori e la coda orizzontale, gli ittiosauri possedevano due paia di pinne pari corrispondenti ai quattro arti tipici dei rettili e la coda disposta verticalmente. Sulla base delle prove fossili a nostra disposizione, pare che questi organismi si siano evoluti da un gruppo di rettili terrestri che è tornato al mare; un po’ come è accaduto per gli antenati dei moderni cetacei, che dalla terra sono tornati nelle acque, adattandosi alla vita marina. L’adattamento degli ittiosauri alla vita acquatica era così avanzato da rendere possibile la nascita dei piccoli in mare, qualificandoli come ovovivipari, ossia specie animali le cui uova invece di essere deposte e svilupparsi fuori dell’organismo materno, permangono nell’ovidutto, dove si sviluppano e si schiudono, così che i neonati sono partoriti come negli animali vivipari.
Poiché gli ittiosauri abitarono i mari dal Triassico inferiore fino al Cretacico superiore, l’esemplare di Neviano potrebbe corrispondere a uno degli ultimi esponenti di questo tipo di rettili marini. Un tale ritrovamento nei pressi di Parma può avere solo un significato: nella Pianura Padana c’era il mare; il clima era molto più caldo di quello attuale e la flora e la fauna erano come quelle ora presenti nel nord dell’Africa.
Ricostruzione museale e cranio di Leptopterygius
Ma non finisce qui, perché anche gli scienziati dell’Università di Bonn hanno scoperto a, partire da fossili rinvenuti sulle Alpi svizzere orientali nel Canton Grigioni a ben 2.800 metri di quota, i resti di tre ittiosauri: vertebre, costole e un dente. I reperti, rinvenuti fra il 1976 e il 1990, ma analizzati solo recentemente, provengono da tre diversi individui vissuti circa 205 milioni di anni fa e hanno permesso di stimare che gli esemplari a cui appartenevano misuravano presumibilmente circa 20 metri di lunghezza e pesavano intorno alle 80 tonnellate, ponendosi, pertanto, come “ittiosauri giganti” e mostrando misure equivalenti a quelle delle odierne balenottere azzurre. Il dente ritrovato, pur essendo privo di corona, suggerisce che alcuni ittiosauri giganti erano dotati di dentatura. Inoltre, esso mostra una radice lunga 60 millimetri; una caratteristica non da poco, considerando che l’esemplare di ittiosauro più grande conosciuto, lungo quasi 18 metri, aveva un dente con una radice di 20 millimetri.
E tuttavia, la scoperta solleva non poche domande. Infatti, i ricercatori dell’Università di Bonn sono convinti che il gigantismo estremo sia incompatibile con uno stile di vita predatorio, che richiede appunto la presenza di denti. E spiegano: “C’è un motivo se l’animale più grande del nostro tempo, la balenottera azzurra, che può raggiungere i 30 metri di lunghezza e pesare 150 tonnellate, è privo di denti. Paragonato a lei, il capodoglio, dentato, (20 metri di lunghezza e 50 tonnellate di peso) sembra un individuo ancora in crescita”.
Le balenottere sono caratterizzate dalla totale assenza di denti, che sono stati sostituiti dai fanoni, lunghi 1 metro e larghi 50 centimetri. Infatti, questi grandi cetacei si nutrono di ingenti quantità di krill, un crostaceo microscopico. La balenottera azzurra ingerisce migliaia di litri d’acqua, espellendola poi con la forza della lingua e facendola passare attraverso i fanoni che la filtrano e trattengono il krill. Al contrario, il capodoglio è un cacciatore perfetto e necessita di grandi quantità di calorie per alimentare i suoi muscoli. Quanto dovrebbe mangiare una balenottera considerate le sue dimensioni corporee se fosse un predatore come il capodoglio? Ecco perché si nutre di piccoli ma numerosissimi crostacei. Pertanto, i ricercatori concludono che i predatori marini probabilmente non possono diventare molto più grandi di un capodoglio. Per questo, è possibile che il dente rinvenuto non provenga da un ittiosauro particolarmente grande, ma da un ittiosauro con denti particolarmente grandi. Abbiamo ancora molto da studiare.
Attorno a 100 milioni di anni fa, questi giganteschi ittiosauri si estinsero. Ma cosa ci facevano dei resti di ittiosauri marini sulle Alpi? Dimostrano che esse costituivano il fondale del grande oceano Tetide, formatosi circa 250 milioni di anni fa, il quale si è innalzato sempre più, dando origine all’attuale catena montuosa.
[Almanacco della Scienza No.10, Novembre 2023]