Recensione di Salvatore Margarone
L’ultima recita della “Carmen” al Teatro Comunale di Bologna è andata in scena come previsto il 29 marzo 2016. Le recensioni lette dei precedenti spettacoli non erano molto lusinghiere, ma, animati da spirito libero e buone intenzioni, abbiamo voluto assistere personalmente all’ultima data.
L’apertura del sipario è preceduta dall’entrata sul palco di un misterioso (ma neanche tanto) personaggio: una specie di “direttore generale”, elegantissimo nel frac indossato da Andrea Fidelio, uno scheletro, un mago chiaramente impersonante la morte, che dà il via alla storia e la guida man mano con la sua tenebrosa presenza, presentando, durante l’ouverture a sipario chiuso, i vari personaggi, compresi anche dei diavoletti impersonati dal coro di voci bianche del teatro diretti da Alhambra Superchi.
Quando finalmente la tela si separa, gli amanti dell’opera tradizionale di sicuro avranno trovato deludente l’ambientazione delle scene: un fastidiosissimo cartellone con una pubblicità di voli e vacanze a basso costo (che faceva chiaramente riferimento a una nota compagnia aerea irlandese) ha fatto da sfondo a quasi tutta la rappresentazione, e, mentre nel primo atto le sigaraie e i soldati, pur se in fogge decisamente contemporanee, rendevano comunque perfettamente i personaggi, nel secondo atto chi si aspettava una caliente Siviglia spagnola, si è trovato invece davanti a una imbarazzante situazione stile vacanza “low cost”, con tanto di animazione turistica. All’interno dell’osteria di Lillias Pastia, diventata in questa occasione modernissima, Carmen danza e canta in compagnia delle sue amiche Fraschita e Mercedes (almeno loro sono classicamente e semplicemente spagnoleggianti insieme ad Escamillo) e vengono acclamate non più dal popolo del luogo, ma da una nutrita massa di turisti che le fotografano con i cellulari, e i selfie si sprecano, creando una situazione ambigua e decisamente lontana dal libretto originale.
A questo punto lo spettatore potrebbe trovarsi un po’ disorientato, ma lo scenografo Pietro Babina (al suo debutto come regista), ha ben pensato di realizzare delle enormi lettere che, interagendo fisicamente con gli artisti, suggeriscono i luoghi dove l’opera comique si dipana e si consuma.
Da quello che si è percepito, sia dalle fonti ufficiali (ovvero da annuncio dello speaker), che da quello che abbiamo visto, non è stata una rappresentazione scevra di ostacoli e contrattempi, non dipendenti dalla volontà degli organizzatori, ma che hanno sicuramente influito sul risultato finale.
Infatti, uno dei personaggi più attesi nell’opera, anche se il meno presente sulle scene, Escamillo, affidato a Simone Alberghini, è stato ringraziato ufficialmente dalla direzione del teatro per aver recitato anche se indisposto da una brutta influenza: questo, però, all’inizio del secondo atto, quando ormai si era già constatata un’interpretazione decisamente sottotono, a quel punto, quindi, giustificata. Inoltre la Frasquita di Sonia Ciani è in evidente stato di gravidanza, ma non per finta, e quindi sicuramente la sua esibizione non è stata al top, ma lodevole, per ovvi motivi fisici.
Cristina Melis interpreta in questo cast il personaggio più importante, la protagonista, Carmen: purtroppo la Melis, a parere di chi scrive, non è propriamente adatta a questo ruolo, né vocalmente né drammaturgicamente. Da una Carmen ci si aspetta una figura calda, ammaliante, sensuale, ma quello che arrivato in sala è stata invece una Carmen fredda, un po’ distaccata dalla parte, poco affascinante, molto costruita. Manca di omogeneità nella voce, che risulta poco profonda nel grave, e potente, quasi urlata, negli acuti. Una Carmen deve invece avere morbidezza nella voce, una buona estensione vocale, ma anche mostrare delle notevoli capacità drammatiche e seduttive al fine di ritrarre il carattere complesso del personaggio, oltre a essere in grado di muoversi in maniera convincente sul palco.
Il suo innamorato, che la ucciderà pur di non concederla ad altri, Andeka Gorrotxategui, alias Don José , ha avuto più di qualche clamorosa defaillance, e un livello canoro generale piuttosto scarso. Voce strana la sua, che non sapremmo come e dove classificare. In alcuni momenti vagamente lirica, in altri stimbrata, tanto da risultare un po’ trattenuta all’ “indietro” negli acuti. Pur essendo genuinamente spagnolo, gli manca quella nota sanguigna e mascolina tipicamente iberica.
Convincente la Micaela di Alessandra Marianelli, giovane artista promettente, di origini toscane, dotata di una voce aggraziata, ben utilizzata, accompagnata da una bella presenza scenica (adattissima per questa parte), che ha dato prova di eleganza nel bel canto, senza lasciare nulla al caso.
Buona l’interpretazione di Massimiliano Catellani (il tenente Zuniga), e dei contrabbandieri Maurizio Leoni e Paolo Antognetti (rispettivamente Le Dancaire e Le Remendado). Questi due ultimi hanno decisamente ben contribuito alla buona riuscita del quintetto “Nous avons en tête une affaire”.
Lo stesso dicasi per gli altri componenti del cast, Lucia Michelazzo (una venditrice di arance), Gabriele Spina (uno zingaro) e Alessandro Ciardini (Lillas Pastia).
Potente e preciso il coro del teatro, fondamentale in quest’opera, diretto da Andrea Faidutti
Un plauso al direttore d’orchestra Frédéric Chaslin per l’eccellente orchestrazione. Una direzione, la sua, molto sicura, che lo ha portato a dirigere quest’opera a memoria senza partitura, cosa molto rara e complicata, avendo anche i cantanti da condurre e non solo gli orchestrali.
Il pubblico in sala è risultato un po’ diviso nel giudizio; da una parte calorosi applausi e ovazioni, dall’altra abbiamo notato molte braccia incrociate ed espressioni un po’ perplesse. Di sicuro una Carmen non entusiasmante, ma considerate le difficoltà economiche in cui versa il mondo della lirica, tutto sommato un esperimento lodevole da parte del teatro che ha interamente auto prodotto quest’opera in cartellone.
Ci resta solo un piccolo quesito in testa: chissà se sarebbe stato d’accordo l’autore, G.Bizet, nel vedere il proprio nome storpiato (Biz-Jet) in un infelice gioco di parole nella parodia del nome di una compagnia aerea sulla coda di un velivolo?