Il Presidente del Consiglio regionale del Lazio Mario Abbruzzese ha definito il volume Cara Italia… Epistolario alla nazione, edito dalle Edizioni Pragmata di Roma, “rilevante perché il destinatario di ogni missiva è il Nostro grande Paese con le sue fortune, oggetto di riflessione di grandi scrittori, poeti e di altrettanti semplici cittadini, tutti avvicinati dal comune amore per la stessa terra. Un amore che, proprio in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, trova in questa pubblicazione un pegno dovuto e sincero”.
In effetti il progetto, nato come concorso, raccoglie lettere all’Italia che spaziano dall’intimo al drammatico, dalla lettera personale a quella per conto terzi. L’editore Monica Palozzi afferma che in ognuna di esse è “possibile recepire, insieme al pensiero dell’estensore colto nell’intimità, messo a nudo di fronte a se stesso, anche lo spirito, il costume, lo stile e la civiltà di un’epoca”.
L’epistolario interpone autori conosciuti a gente comune, ed include un folto gruppo di espatriati, tra i quali molti i Canadesi, ma anche Statunitensi, Argentini, Australiani, Francesi, Spagnoli, Romeni ed Uruguaiani.
Spicca in tutte le lettere un forte senso di patriottismo, ma anche di oggettività nell’esaminare quello che l’Italia era e quello che è diventata. Mario Malpetti, di Mantova, si chiede come mai, se “gli eroi ci sono stati davvero… oggi non ne nascono più?” . La domanda non è retorica, perché l’autore la usa per identificare un italiano, Fabrizio Quattrocchi, che nel momento di affrontare la morte, in Iraq, dichiarò orgogliosamente, come i nostri tanti eroi del risorgimento: “Vi faccio vedere come muore un italiano.”
L’argomento espatrio, oltre ai vari emigranti menzionati, è stato trattato da altri con risultato interessante. Eugenio Barone, di Mugnano di Napoli, con fantasia poetica stila una lettera di un vecchio emigrante che dichiara alla patria lontana: “Mi chiedo se ti sono mancato, se tu mi abbia mai davvero amato, se non potevi fare qualcosa di più per trattenermi”. Maddalena Santorsola, di Gioia del Colle (BA), nella sua brevissima lettera manifesta una realtà molto spesso sottovalutata: “Tu non lo sai, cara Italia, ma gli italiani all’estero Ti portano nel cuore più di noi italiani in loco”. Patrizia Chini, di Roma, affronta il soggetto con notevole sensibilità, raccontando la storia di un’anziana signora che torna al proprio paese dopo una vita passata negli USA: “Italia… sto tornando ma lascio qui, in America, un pezzo di cuore. Torno da te malata. Tu sii clemente, sii madre e sorella, cullami nel tuo grembo con amore, non ha importanza per quanto. Italia, Terra mia, dammi un po’ di tempo… un giorno, forse, tornerò ad amarti”.
La delicatezza delle immagini e delle missive che trattano l’emigrazione è uguagliata dall’ultima lettera di Nicola Ricciotti all’amata Clementine, garibaldino morto in battaglia nel 1847 (Garibaldi, per l’affetto e la stima che provava per lui, metterà al suo quartogenito il nome Ricciotti). L’autrice di questa interessante lettera, Simona Aiuti, di Alatri, in provincia di Frosinone, merita certamente una menzione speciale, così come la merita Patrizia Di Franco, di Bari, che con il pretesto della lettera, presenta al lettore una situazione incresciosa che ancor oggi pesa sulla coscienza di noi italiani: la negazione della cittadinanza agli emigranti. La sua esposizione è intensa, emotiva e centra il bersaglio: “Troppo italiano” per i miei genitori senegalesi che sorridono quando parlo in romanesco, “troppo straniero” per alcuni italiani per la mia pelle color ebano e i miei dreadlocks, soltanto straniero per le istituzioni e per la legge. Io sono figlio tuo come gli altri figli tuoi, ma perché vogliono etichettarmi come “diverso”?”
Tutte molto interessanti, le lettere, anche se alcune un po’ semplicistiche, ma soprattutto tutte chiaramente mirate a farci ricordare quanto si ami questa nostra patria: L’Italia.