Sunday, November 17, 2024

Cambiare il clima? Si può, ma…

di Alessandro Frandi

Scopriamo insieme a Vincenzo Levizzani dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche la “weather modification”, cioè la tecnologia per influire sugli eventi atmosferici, in particolare per cercare di far piovere

Il clima è stato spesso modificato dall’intervento umano. Molte di queste modifiche, seppur circoscritte, hanno influito sull’evoluzione dell’umanità e delle altre specie viventi, determinando migrazioni e adattamenti, catastrofi e progressi. Cerchiamo di comprendere meglio con Vincenzo Levizzani  dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr i diversi fenomeni climatici, partendo dalle precipitazioni.

 

Fulmini

Oggi si definisce “weather modification”, modifica del clima, quell’insieme di tecniche di ingegneria ambientale volte ad alterare o manipolare intenzionalmente gli eventi atmosferici”. Esistono, per esempio, molti luoghi sulla Terra dove piove poco e la disponibilità di acqua per le attività umane, soprattutto l’agricoltura, è troppo scarsa. “Questo spinge a esplorare la possibilità di modificare le nubi per rendere la precipitazione al suolo più abbondante. L’idea è di inseminare le nuvole potenzialmente precipitanti con particelle di aerosol che facciano condensare il vapore acqueo nella fase ghiaccio (i cosiddetti nuclei di ghiacciamento). In questo modo si forma una maggiore quantità di cristalli, quindi il prodotto finale dovrebbe essere un accresciuto quantitativo di fiocchi di neve che, cadendo al di sotto del livello di zero termico della nube, si sciolgono in pioggia”, chiarisce il ricercatore del Cnr-Isac. “Va da sé che questi tipi di intervento non possono avere luogo in un cielo sereno. Inoltre, che non tutte le nubi vanno bene. Occorrono quelle che manifestano una qualche capacità di formare precipitazione”.

L’idea è quella di “aiutare” la natura a fare il suo mestiere. In taluni luoghi l’uomo ha cercato di capire come aumentare le precipitazioni. “Il composto più usato è lo ioduro d’argento (AgI): i cristalli di AgI hanno una struttura molto simile a quella cristallografica del ghiaccio e quindi sono estremamente indicati per questo scopo”.

Spiega Levizzani. “Si potrebbe pensare che le nubi si formino dal vapore acqueo che sale in atmosfera con l’aria riscaldata dal sole, e che quando supera supera il 100% di umidità relativa inizi il passaggio allo stato liquido e la formazione delle goccioline. Ma la semplice sovrassaturazione del vapore non basta. Occorrono le particelle di aerosol atmosferico, i nuclei di condensazione, che attirano le molecole di vapore e consentono la formazione (nucleazione) di goccioline anche a basse sovrassaturazioni. Le goccioline sono formate da acqua, ma anche dal materiale di scioglimento delle particelle di aerosol. Tutto può avvenire anche iniziando dalla fase ghiaccio, con i cristalli che si formano a temperature ben al di sotto dello zero termico. Una volta che le goccioline o i cristalli si sono formati, collidono fra loro e formano gocce più grandi oppure i cristalli formano i fiocchi di neve che poi si sciolgono per formare le gocce di pioggia”.

In linea di principio, l’intervento sulle nubi non è contro natura. La scienza ha cercato di venire incontro alle esigenze dell’uomo nella maniera meno intrusiva possibile. “L’inseminazione delle nubi aumenta soltanto il numero di cristallini che si formano dal vapore acqueo, tutto qua. Non stiamo modificando in modo sostanziale la struttura della nube. La aiutiamo solo a produrre più precipitazione. La cosa è diversa se pensiamo di influire sulla struttura di eventi estremi come gli uragani, un’idea venuta all’inizio della weather modification, soprattutto ai militari. Le energie in gioco in questi fenomeni sono enormi e le conseguenze relativamente imprevedibili. Ma i risultati di questi esperimenti sono stati deludenti e le ricerche sono state abbandonate” chiarisce Levizzani.
Tra gli aspetti positivi della weather modification, oltre al disporre di precipitazioni più abbondanti quando servono, è utilizzare la precipitazione in luoghi molto inquinati per pulire materialmente l’atmosfera”. Le gocce d’acqua e i cristalli in caduta, infatti, catturano particelle e gas inquinanti e le trascinano al suolo. L’idea ha catturato l’attenzione delle autorità cinesi per le loro zone industriali. Aspetti negativi o controindicazioni evidenti non ce ne sono, il materiale immesso in atmosfera è inerte e non inquina più di tanto.  La comunità scientifica non rileva problemi etici in queste tecniche. D’altra parte, non è possibile utilizzarle per scopi bellici o altro. Ci sarebbe bisogno di enormi flotte di aerei e gli effetti sarebbero comunque troppo scarsi per suscitare preoccupazioni”.

Anche sul piano della salute umana prosegue Levizzani “non dobbiamo pensare che questi interventi siano dannosi. I composti utilizzati sono innocui e le quantità utilizzate minime. Gli allarmismi (vedi le cosiddette scie chimiche) sono totalmente ingiustificati e derivano da scarsa conoscenza. Weather modification significa venire incontro alla sete d’acqua dell’uomo. Allarmismi e complottismi sono del tutto fuori luogo”.

Un altro concetto da considerare è l’Atmospheric Assessment & Evaluation, cioè a verificare che l’inseminazione delle nubi produca effettivamente più pioggia. “Qui iniziano i problemi. Attualmente non esiste un pieno consenso nella comunità scientifica sui risultati  proposti, i risultati delle verifiche non sono del tutto convincenti. In talune circostanze l’inseminazione sembra funzionare, in altre no. Quindi, la weather modification è un concetto affascinante della fisica delle nubi, ma la sua applicabilità è limitata. Cina ed Emirati Arabi hanno fatto investimenti consistenti, ma non sembra che abbiano ottenuto risultati all’altezza delle aspettative. Inoltre, Paesi quali Usa, Sud Africa e Cuba hanno abbandonato queste tecniche, giudicandole non del tutto affidabili.

(Almanacco della Scienza N.17, 2022)

redazione
redazione
Tiziano Thomas Dossena, Leonardo Campanile, LindaAnn LoSchiavo, and Dominic Campanile

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