Il classico augurio, che si rivolge a chi sta per affrontare una sfida difficile, è solo uno dei tanti modi di dire che ha per protagonisti i rappresentanti di questa specie. Che abbiamo esaminato con Andrea Viviano dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri: “Le leggi di protezione della fauna gli hanno consentito di riconquistare molte aree”
Tra le espressioni più utilizzate per augurare buona fortuna c’è “in bocca al lupo!”, con cui si fa coraggio e si augura di avere successo a chi sta per affrontare un attività problematica, una sfida rischiosa o, in generale, un ostacolo difficile da superare. Ma anche altri animali vengono citati nei modi dire, per esempio si dice “prendere il toro per le corna”, la cui origine è spiegata su Sapevatelo. Tornando al lupo, secondo l’Accademia della Crusca, l’origine dell’espressione risale a un’antica formula di augurio rivolta ai cacciatori, a cui si rispondeva: “Crepi!” (il lupo). L’augurio si è poi esteso dal gergo dei cacciatori alle situazioni difficili della vita comune.
Questo animale è in realtà protagonista di tanti modi di dire e proverbi, nella maggior parte dei quali, in un modo o nell’altro, viene rappresentato come feroce e vorace, personificazione del male in tutte le sue sfaccettature. Questa visione è legata alla sua difficile convivenza con l’uomo, soprattutto nelle campagne e nelle zone di montagna, “difficoltà” che si riscontrano ancora oggi. I dati mostrano infatti come, rispetto al 2018, la popolazione di lupo appaia raddoppiata, soprattutto nel Nord Italia dove, a partire dal 2021, si è assistito a un vero “ripopolamento”.
Ma quali sono le dinamiche ecologiche che hanno plasmato il territorio italiano in un ambiente “adatto” a questa specie? “Innanzitutto le leggi di protezione della fauna, che hanno consentito alle specie che erano presenti sull’arco alpino di riconquistare molte aree”, afferma Andrea Viviano dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Consiglio nazionale delle ricerche . “L’abbandono delle campagne da parte dell’uomo ha anche promosso la riconquista degli habitat forestali dove erano scomparsi, garantendo a specie come il cinghiale e il capriolo, alla base della dieta del lupo, di ripopolare tutto il Nord Italia e anche la Pianura Padana, che avrebbe potuto costituire un importante sbarramento ai lupi in espansione da Sud. A questo si sono aggiunte reintroduzioni di ungulati in alcune aree, e programmi transfrontalieri che hanno fatto sì che anche lupi di genotipo dinarico (relativo alla regione balcanica) arrivassero in Italia, seppure decisamente in minima parte rispetto alla componente appenninica. Ovviamente, sebbene in zona peninsulare i lupi non fossero mai scomparsi, erano comunque fortemente minacciati. Quindi la loro espansione è stata relativamente lenta, a partire dagli anni ’90, e ha seguito le medesime dinamiche descritte per la riconquista delle Alpi”.
Il lupo è una specie iconica e nell’immaginario collettivo suscita immagini contrastanti ma di indubbia intensità. Tra queste c’è la famosa Operazione Rewilding del Parco dello Yellowstone. Nel 1995 quattordici di questi animali vengono portati dal Canada nel Parco e sono i primi a rimettere piede in quei territori dagli anni ’20. Il “ritorno” ha non solo rimodellato il paesaggio ecologico del Parco, ma soprattutto ha dimostrato quanto siano connesse e complesse le dinamiche ecosistemiche. “Questa è una delle poche reintroduzioni di lupo nel mondo e ha avuto successo, mentre in tante altre aree come in Italia, la specie si è ri-espansa naturalmente, riconquistando aree in cui non era più presente”, ricorda il ricercatore del Cnr-Iret. “Il caso di Yellowstone è paradigmatico. Il ritorno del grande predatore ha implicato alterazioni nel comportamento spaziotemporale delle prede, che devono evitarlo per poter sopravvivere”.
L’assenza del lupo, infatti, aveva fatto sì che gli wapiti, una specie del cervo reale prettamente erbivora, crescesse talmente tanto da danneggiare la flora. La reintroduzione del loro predatore ha fatto sì che l’ambiente generale tornasse in equilibrio: gli wapiti hanno iniziato a evitare le aree in cui si sentivano più vulnerabili agli attacchi e la vegetazione, soprattutto salici e pioppi, si è man mano ripresa, aiutando a sua volta la ripresa di altri habitat sensibili a uccelli, rettili, roditori, tra cui il castoro di cui si erano perse le tracce. “Questa specie è sicuramente fondamentale per l’ecosistema”, conclude Viviano. “Non è di fatto chiaro se possa incidere significativamente sulla regolazione delle popolazioni di ungulati selvatici, come il cinghiale, ma probabilmente no. Trattandosi di una specie molto plastica, alcune popolazioni anche in Italia possono adattarsi ad altre prede più particolari come la nutria, specie invasiva di cui il lupo sembra aver ridotto le densità in alcune aree”. [Almanacco drella Scienza n. 1, gennaio 2023]