Recensione di Marina Agostinacchio
Ieri sera, 28 dicembre, alle 19.00 al teatro Verdi di Padova, prove generali di Bohème di Giacomo Puccini. L’opera rientra nell’ambito della Stagione lirica di Padova 2016, organizzata e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova e realizzata g al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con l’ausilio della Regione Veneto, al Teatro Verdi di Padova. Alla serata presenti alcune scolaresche in una delle loro lezioni concerto in diretta.
La storia, che molti tra i lettori certo conosceranno, ha visto attori cantanti di diverse provenienze, iniziando da Mimi’, interpretata dal giovane soprano lettone Maija Kovalevska, Musetta il soprano rumeno Mihaela Marcu, Marcello,il baritono albanese Gezim Myshketa.
Da contraltare gli italiani: il tenore Giorgio Berrugi nel ruolo di Rodolfo il baritono Daniel Giulianini (Schaunard), il basso Gabriele Sagona (Colline), il basso Davide Pelissero (Benoît), il basso Christian Starinieri (Alcindoro), il tenore Luca Favaron (Parpignol), il basso Luca Bauce(Sergente dei doganieri) e il baritono Riccardo Ambrosi (Doganiere).
Per alcuni passi importanti dell’opera, si e’ fatto ricorso al Coro Lirico Veneto e al Coro di voci bianche “Cesare Pollini”, i cui rispettivi maestri sono Stefano Lovato e Marina Malavasi. Le voci che a mio parere si sono imposte su tutte sono state quelle dei quattro amici bohémiens.
Di Mimi’ in alcuni tratti si e’percepita una disambiguazione linguistica della frase incerta. In alcuni momenti musicali dell’opera, piu’ che melodia era uno strillare di voci che toglievano l’intento di un sacro ascolto in chi avrebbe voluto ritrovare il canto. Ma su questo ci sara’ sicuramente chi meglio di me per maggiore competenza sapra’ dire.
Firma regia, scene, costumi e luci sono del torinese Paolo Giani Cei. L’allestimento, firmato integralmente da Paolo Giani Cei e realizzato in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo, si potrebbe definire estremamente moderno.
Vorrei pero’ potere dire, da appassionata di Puccini e in particolare modo di Bohème, che l’audacia artistica della scenografia e dei costumi, hanno, secondo me, sottratto all’opera pucciniana quel che di delicato e romantico e’ la chiave sostanziale della storia d’amore e di cui i personaggi principali avrebbero dovuto sottolineare, oltre che con le loro virtu’ vocali, anche attraverso la prospettiva di una corporeita’ espressa in modi e in finezza gestuale ed espressiva.
A meno che la prova generale non abbia l’obbligo di una vera e propria realizzazione scenica e costumistica da prima, Mimi’, di pelle vestita come i quattro artisti amici con giubbotti e jeans strappati, parevano caricature di un realismo attuale che avrei lasciato al contesto di certo mondo studentesco e della strada, quello di cui non ci stupiamo piu’ perche’ fa parte di un “anestetizzazione” del gusto; del resto la realta’ e’ una cosa, l’arte un’altra.
Ma torniamo a Bohème. L’ambientazione ad esempio di Momus. Tra donnine in giro per il locale con movenze ammiccanti, donne dai corpi ondeggianti in danza acrobatica attorno a un palo, pance al cielo e vestiti conturbanti, sembrava di essere immersi, per usare un eufemismo, in una lontana e sbiadita rievocazione della storia dei due poveri amanti alle prese tra miseria e malattia mortale. Insomma ambientazione spinta, a tratti sguaiata.
A richiamare pero’ la perla del compositore toscano la musica. Bastava chiudere gli occhi e allora si, era Bohème.
E questo anche grazie la maestria del giovanissimo trentenne direttore brasiliano Eduardo Strausser di cui leggo famoso per un’entusiasmante intuizione musicale, per il suo stile potente e dinamico… recentemente elogiato dalla rivista britannica “Opera”, che lo ha distinto come dotato di “fuoco giovanile al lavoro”.
Non da ultimo, un elogio particolare anche alla talentuosa e appassionata Orchestra Filarmonia Veneta che ci ha consegnato non senza commozione la partitura pucciniana aiutandoci a non farci distogliere troppo dai segni precursori di questa Bohème.