Un carteggio inedito ricostruito grazie agli archivi della Fondazione La Pira e a quelli di Giulio Andreotti: oltre 160 lettere, frutto della lunga amicizia tra due uomini di fede che hanno avuto idee divergenti ma che hanno trovato sempre le modalità per convergere sulla difesa di principi comuni. L’epistolario è stato pubblicato nel volume “Bisogna smettere di armare il mondo”, a cura di Augusto D’Angelo con la prefazione del Cardinale Matteo Maria Zuppi, edito da Polistampa (collana “I libri della Badia”; 312 pagine, 23 euro) in collaborazione con la Fondazione La Pira.
Così vicini così lontani, uno realista, l’altro profeta, a volte definiti come “il diavolo e l’acqua santa”: tra Giulio Andreotti (1919-2013) e Giorgio La Pira (1904-1977) si creò un rapporto che ha attraversato un lungo periodo di quarant’anni. Gli esordi della loro amicizia si collocano nella parte finale degli anni Trenta del XX secolo e si sviluppano attraverso le varie fasi della storia della Repubblica, fino agli anni della “solidarietà nazionale”.
Il carteggio tra i due ripercorre intere pagine della storia politica italiana da una prospettiva inedita. Partendo dagli anni Cinquanta, in cui La Pira fu sindaco di Firenze, lo scambio prosegue con la stagione di apertura dell’area di governo italiana alla componente socialista, per finire con il confronto su temi etici quali il divorzio e l’aborto. Augusto d’Angelo tratteggia nella prefazione due figure politiche certamente differenti nell’atteggiamento e nella vocazione di ideali: “Nell’uno c’è una radicalità che tenta di travalicare i limiti in nome del primato della persona, per l’altro tutto è realizzabile, ma attraverso un cauto riformismo”.
“Bisogna smettere di armare il mondo” è un titolo significativo, ma anche un imperativo da tenere nel cuore e nella mente in un periodo come quello in cui siamo immersi, di facile corsa al riarmo. È tratto da una breve lettera di La Pira ad Andreotti dell’11 agosto 1977, in cui Giorgio La Pira scriveva ad Andreotti suggerendo meno “machiavellismo” e più “poesia”.
Le lettere sono in parte attraversate dal problema assai urgente della pace, immaginando percorsi che non esistono o sentieri che si sono smarriti e non si ricordano più, ma raccontano anche altri temi fondamentali nella politica del tempo che si ritrovano anche in quella attuale: La Pira chiedeva l’intervento dell’amico al governo per le questioni riguardanti lavoro, casa, tutela dei diritti per i più deboli. La visione del “noi”, tesa all’ edificazione del bene comune, era radicata in quell’esperienza che portava a guardare alla realtà con una tensione alla costruzione del bene comune che alla fine ricomprende tutto, l’attenzione al singolo, alla città, al proprio Paese, alle relazioni internazionali, al bene prezioso della pace. (aise)