Thursday, December 26, 2024

“Andy Warhol, La pubblicità della forma” alla Fabbrica del Vapore di Milano

Andy Warhol
La pubblicità della forma
Milano, Fabbrica del Vapore
22 ottobre 2022 – 26 marzo 2023

Una mostra imperdibile sul protagonista della pop art Americana.

Ogni cosa ripete se stessa. È stupefacente che tutti siano convinti che ogni cosa sia nuova, quando in realtà altro non è se non una ripetizione.
Andy Warhol

Con oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni — dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro — la spettacolare mostra Andy Warhol. La pubblicità della forma è promossa e prodotta da Comune di Milano–Cultura e Navigare, curata da Achille Bonito Oliva con Edoardo Falcioni per Art Motors, Partner BMW e Hublot.
Aperta dal 22 ottobre 2022 sino al 26 marzo 2023 a Milano alla Fabbrica del Vapore, è un viaggio nell’universo artistico e umano di uno degli artisti che hanno maggiormente innovato la storia dell’arte mondiale.
“Ad oltre settant’anni di distanza dalla realizzazione dei primi pezzi che aprono l’esposizione — dichiara Tommaso Sacchi Assessore alla Cultura del Comune di Milano — le opere di Warhol incontrano tuttora il gusto e il favore del pubblico, dimostrandosi spesso attuali e capaci di trasmettere messaggi visivi immediati riguardo alla società odierna. Quelle di Warhol sono icone che hanno saputo e sanno ancora abitare a tutto tondo la contemporaneità, uscendo dal perimetro tracciato dai luoghi istituzionali della cultura e lasciando tracce profonde in diversi ambiti quali quello della moda, della musica e della pubblicità”.
“Warhol — afferma Bonito Oliva — è il Raffaello della società di massa americana che dà superficie ad ogni profondità dell’immagine rendendola in tal modo immediatamente fruibile, pronta al consumo come ogni prodotto che affolla il nostro vivere quotidiano. In tal modo sviluppa un’inedita classicità nella sua trasformazione estetica. Così la pubblicità della forma crea l’epifania, cioè l’apparizione, dell’immagine”.
Dopo il successo della Mostra di Roma nel 2018 al Complesso del Vittoriano, Eugenio Falcioni, esperto di rilievo di Andy Warhol, collezionista e prestatore nella sua veste di responsabile di Art Motors omaggia la sua città adottiva Milano producendo una esposizione con più di 300 opere, per la maggior opere uniche. Molte provenienti dall’Estate Andy Warhol, due di Keith Haring e di altre prestigiose collezioni private. “Dai disegni degli anni 50 alle icone Liz, Jackie, Marilyn, Mao, Flowers, Mick Jagger ai ritratti ed ai suoi progetti personali come il fashion — dichiara Falcioni  sono presenti tele, carte, sete, latte con le famose ed uniche Polaroid, per arrivare agli acetati unici che fanno parte della seconda fase del suo lavoro altrettanto importante”.
Andrew Warhol, classe 1928, originario di Pittsburgh, dopo la laurea nel 1949 si trasferisce a New York, trasforma il proprio nome di origine slovacca in Warhol e nei primi anni ’60 è un giovane pubblicitario di successo, che lavora per riviste come New Yorker, Vogue e Glamour. L’intuizione che lo renderà celebre e ricco è quella di ripetere una immagine più e più volte, in modo da farla entrare per sempre nella mente del pubblico. Thirty Are Better Than One, la sua prima Monna Lisa ripetuta ben trenta volte, da celebre ed esclusiva opera d’arte, viene trasformata in una opera di tutti e per tutti, trasformando il linguaggio della pubblicità in arte. In Green Coca-Cola Bottles — scrive Falcioni nel suo testo per il catalogo — comprendiamo immediatamente che per l’artista è proprio la quantità a prevalere sull’originalità del soggetto raffigurato: è infatti ripetendo la stessa immagine che egli riesce a portare e mettere in scena il panorama consumistico nel mondo dell’arte: compito dell’artista non è più creare, ma riprodurre”.
Per far questo Warhol adotta una speciale tecnica di serializzazione, con l’ausilio di un impianto serigrafico, che facilita la realizzazione delle opere e riduce notevolmente i tempi di produzione. Su grosse tele riproduce moltissime volte la stessa immagine alterandone i colori: usando immagini pubblicitarie di grandi marchi commerciali o immagini di impatto come incidenti stradali o sedie elettrice, riesce a svuotarle del significato originario. L’arte deve essere “consumata” come qualsiasi altro prodotto.
La tecnica della serigrafia viene usata da Warhol già nel 1962 per realizzare la serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s, esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles. Lo stesso fa con i ritratti delle celebrità dell’epoca: Marilyn Monroe, Mao Zedong,
Che Guevara, Michael Jackson, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli, Gianni e Marella Agnelli, le regine Elisabetta II del Regno Unito,
Margherita II di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi, l’imperatrice iraniana Farah Pahlavi, la principessa di Monaco Grace Kelly, la principessa del Galles Diana Spencer.
Per queste personalità essere ritratte da Wahrol diventa un imperativo a conferma del proprio status sociale. Emblematica la Gold Marilyn Monroe, conservata al MoMA di New York: una delle donne più affascinanti della storia moderna americana viene qui rappresentata su uno sfondo oro, esattamente come si trattasse di una tavola del Trecento raffigurante la Madonna.
La critica all’inizio stronca questi lavori, non comprendendone l’originalità né la volontà di Warhol di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza del prodotto, in linea con la filosofia consumistica dell’epoca. La sua opera viene vista come un oltraggio all’Espressionismo Astratto, movimento artistico allora dominante negli USA.
Lo stesso celebre gallerista Leo Castelli all’inizio non comprende la genialità innovativa del lavoro di Warhol e cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua scuderia. In realtà aderendo alla cultura di massa e portandola nel mondo concettuale
dell’arte figurativa, Warhol ha esaltato la patria del consumismo e tutto quanto gli
Stati Uniti hanno simboleggiato dal dopo guerra sino agli anni ’80.
“Il vero colpo di genio attraverso cui l’artista riuscì a valorizzare definitivamente gli
anni ’60 e le nuove forme di comunicazione di massa – leggiamo ancora nel testo di
Falcioni – furono però le Brillo Box: si tratta di sculture identiche alle scatole di
pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati. Queste vennero realizzate da
una falegnameria e i bordi vennero serigrafati da Warhol e i suoi assistenti come le
etichette originali. Saranno proprio queste opere a far scaturire in Arthur Danto,
celebre filosofo ammaliato da queste creazioni, la sua concezione sulla filosofia
dell’arte, che ruota attorno ad una domanda fondamentale: “che cos’è l’arte?”. Questo
interrogativo lo porterà a ritenere queste scatole di legno delle vere e proprie opere
d’arte, in forza della loro capacità di evocare e rappresentare alla perfezione un
determinato contesto storico, in questo caso gli anni ‘60 assieme alle sue innumerevoli
novità, di cui il pop artist può essere considerato senza dubbio il massimo interprete.
L’evento che rese queste opere tra le più celebri dell’intera storia dell’arte fu la
personale dell’artista presso la Stable Gallery di New York, tenutasi nel 1964: queste
sculture furono disposte all’interno dello spazio espositivo tutte in fila e una sopra
all’altra, proprio come se si trattasse di un supermercato piuttosto che di una galleria
d’arte”.
E’ visitando questa mostra che Leo Castelli si ricrede e comprende l’attualità
dell’operazione di Warhol, arruolando nella sua scuderia.
Da questo momento la carriera di Warhol ha una vera e propria deflagrazione.
Nasce la celebre The Factory, originariamente al 231 East 47th Street, dove innumerevoli assistenti creano a ritmo frenetico le sue opere in serie: quadri, film, cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. E dove Warhol accoglie attori, musicisti, scrittori, tutto il mondo creativo newyorchese, creando i primi film come i The Velvet Umderground & Nico, per cui realizza anche la copertina del celebre LP. Qui sono realizzati molti altri film che mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo, sorta di quadri proiettati su una parete bianca e gli Screen Test, ritratti filmati di personaggi in visita alla Factory, ripresi, allo scopo di entrare nella loro intimità, con una camera fissa senza muoversi per tre minuti su un fondo nero. Alcuni di questi film dedicati alla cultura gay newyorkese, di cui Warhol faceva parte, sono stati censurati, distribuiti col passaparola e proiettati trent’anni dopo la data di realizzazione in occasione di mostre organizzate in vari musei del mondo. Nella Factory viene realizzato inoltre il magazine Interview con in copertina, per ciascun numero, il
personaggio del momento. E sono prodotte altre celebri copertine per Time e Playboy.
Molte altre Factory seguiranno in diverse parti della città, laboratori dei tantissimi progetti ideati senza sosta dal poliedrico artista.
Nel frattempo è nata una nuova generazione di artisti come Basquiat, Haring, Scharf che considerano Warhol il loro padre spirituale: accogliendoli nella sua cerchia, Warhol ne assorbisce dinamismo e creatività. Riesce così a rinnovarsi nuovamente, ideando le ultime sperimentazioni iconiche come il celeberrimo Dollar Sign, emblema del rampantismo economico di quegli anni, abbandonando l’uso della serigrafia e dedicandosi, reinterpretando in chiave pop alcuni riferimenti artistici del passato, alla pittura pura.
La mostra milanese vuole documentare questo avvincente percorso: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni ’60; dalla serie Ladies & Gentlemen degli anni ’70 dedicata alle drag queen, i travestiti, simbolo di emarginazione per eccellenza e considerati alla pari di star come Marilyn, sino agli anni ’80 in cui diviene predominante il rapporto col sacro: cattolico praticante, ne era stato in realtà pervaso per tutta la vita.
Esposte quasi tutte opere uniche come tele, serigrafie su seta, cotone e carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali — i primi NFT della storia — la BMW Art Car dipinta da Warhol con il video in cui la realizzò, la ricostruzione fedele della prima Factory e una parte multimediale con proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali.
Andy Warhol muore nel 1987 per una infezione alla cistifellea. Le sue icone, i suoi personaggi, i suoi soggetti sono riprodotti ovunque, in tutto il mondo, su vestiti, matite, posters, piatti, zaini. Ha anticipato i social network e la globalizzazione degli anni Duemila, ha cambiato per sempre la storia dell’arte, è ancora attualissimo e amato da un pubblico trasversale.
La mostra rappresenta una occasione imperdibile per godere della sua arte unica, coraggiosa, innovativa e traboccante di idee.


Sezioni e opere:
Gli anni ’50: l’esordio e l’arte pubblicitaria

“Lavorare per molti soldi può rovinare il concetto che hai di te stesso. Quando disegnavo scarpe per le riviste prendevo una certa somma per ogni scarpa, così contavo le scarpe per calcolare quanto avrei guadagnato. Il mio tenore di vita dipendeva dal numero di scarpe che disegnavo – contandole sapevo di quando denaro potevo disporre”. Così nel suo libro The Philosophy of Andy Warhol: from A to B and Back Again l’artista ricorda le sue prime
esperienze di successo nel mondo della grafica pubblicitaria, in cui, con coraggio e originalità, si fece strada divenendo già molto giovane un artista commerciale di successo. Gli anni ’50 costituiscono infatti il vero e proprio esordio di Warhol sulla scena newyorchese; dopo essersi laureato al Carnegie Institute di Pittsburgh, il giovane Andy lascia la sua città natale per trasferirsi nella Grande Mela, città ideale per trasformare le sue ambizioni in realtà.
In questi anni, come testimonia Pat Hackett, curatrice dei diari dell’artista, egli non ebbe alcun tempo libero per divertirsi e svagarsi (recupererà nel decennio successivo, quando giungerà all’apice del suo successo), dal momento che si dedicò “anima e corpo” al lavoro, occupandosi di eseguire illustrazioni per importanti riviste (come Harper’s Bazar, il New Yorker, Glamour e Vogue) e svolgendo la mansione di disegnatore pubblicitario. Sarà proprio il mondo della pubblicità ad illuminare Warhol, rendendolo consapevole della rivoluzione che avrebbe potuto innestare proprio attraverso quell’affascinante mezzo di comunicazione, sempre più presente nella vita quotidiana delle persone.

Warhol l’illustratore commerciale

1) Earrings, 1954, Inchiostro e acquerello su carta, 25.4 x 23.8 cm, Collezione Privata
2) Earring, 1955, Inchiostro e acquerello su carta, 25.4 x 23.8 cm, Collezione Privata
3) Ring, 1956, Inchiostro e acquerello su carta, 34.6 x 31.1 cm, Collezione Privata
4) A la recherche du shoe perdu, ca. 1955, Serigrafia e acquarello su carta, 24.8 x 34.9 cm, Collezione Privata
5) In the bottom of my Garden, 1955, Inchiostro su carta, 38.7 x 48.2 cm, Collezione Privata, Genova
6) Cake, 1956, Inchiostro serigrafico e acquerello su carta, 61 x 48.9 cm, Collezione Privata
7) Ice Cream, 1959, Inchiostro su carta con tecnica blotted line, 73.5 x 59 cm + 60.5 x 45 cm, Collezione Privata

I ritratti: un primo sogno da artista

8) A Gold Book, 1957, Venti litografie offset su carta, 36.8 x 29.5 cm cad., Collezione       Privata
9) Studies For A Boy Book (Bodley Gallery Announcement), 1956, Litografia offset su carta, 40 × 34.5 cm, Collezione Privata
10) Senza titolo (Ritratto di uomo), 1950s, Penna biro su carta, 43.2 x 35.2 cm, Collezione Lorenzo Maestroni
11) Senza titolo (Ritratto di uomo), 1950s, Penna biro su carta, 60 x 44.5 cm, Collezione Privata
12) Senza titolo (Ritratto di uomo), 1950s, Penna biro su carta, 43.2 x 35.9 cm, Collezione Privata
13) Senza titolo (Ritratto di uomo), 1950s, Penna biro su carta, 45.1 x 29.8 cm, Collezione Privata
14) Senza titolo (Ritratto di uomo), 1954, Penna biro su carta, 42.5 x 35.6 cm, Collezione Privata
15) Senza titolo (Ritratto di donna), 1954, Inchiostro su carta, 29.8 x 22.5 cm, Collezione Privata

GALLERIA

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Tiziano Thomas Dossena, Direttore Editoriale della rivista.

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