Friday, January 3, 2025

Agiografie delle immanenze

Di Marina Agostinacchio

“Io sono Abdelaziz, quello del mare che inghiotte, Abdel in bilico sul bordo della barca, sul bordo dei sogni, quello del cielo azzurro e della notte che avanza strisciando, della barca che si rovescia nel buio e spalanca l’alfabeto sonoro del terrore.”

Paoloa Piovani

Già dall’incipit, il libro di Paolo Polvani, nella sua prima sezione poetica, è l’annuncio di un nuovo corso esistenziale, di un’umanità che trova il proprio riscatto, se non altro nella presa di coscienza e di possibilità di riconversione del cuore.

Che gli attraversanti del mare Mediterraneo, le difficoltà di vita di un’intera umanità, facciano parte del nostro quotidiano, è cosa quasi scontata. Non fa quasi più notizia lo scandalo dell’esistenza dei dimenticati, dei sommersi, degli sprofondati nell’anonimato, tanto è anestetizzata la coscienza dell’uomo, indifferente a quanto esiste intorno a sé.
E allora, perché portare sulla pagina la loro, le loro storie?
Il poeta sa come le parole possano diventare un’arma potente, se bene dosate e rivelatrici di autenticità. Sa disporre sul foglio il segno grafico portatore di senso, attraverso un lavoro di lima della parola stessa. La novità che Polvani porta in questo libro è l’inserimento di una scrittura capace di incarnare nella storia di ogni giorno “il sacro, con la santità “popolare” , quella credenza che la gente esprime secondo forme intimistiche personali.
Ed ecco accadere il miracolo: il santo scende a salvare il naufrago; a rendere la nuova vita del migrante, inserito nel contesto cittadino, accettata; a salvare da un probabile suicidio il disperato, colmo di debiti; a mutare la percezione, il pregiudizio in accoglienza; a levare il peso della solitudine e quello dei nostri sbagli. E poi, ecco, apparire in carne ed ossa, l’Angelo di Dio. E per lui stesso, l’entrata in scena del Signore che scende a smascherare colui che dovrebbe ben rappresentarlo e, in nome dell’Amore, accogliere tutti indistintamente.

Era ora
che si facesse vivo il Signore, che l’afferrasse
per un orecchio il monsignore, quello che tutti
prendevano a misura. Ecco ci è stata rivelata
la giusta direzione, smascherato l’errore,
un miracolo quei calci nel culo a monsignore.

L’Angelo del Signore

L’Angelo però agisce anche in autonomia; Dio sa che l’operato del suo messaggero è giusto.
Il Paladino del Signore percorre, così, anche le vie del mercato, vola fra trilli di bambini, vaga tra merci esposte, tra volti scavati di paura e di dolore, di desiderio, di pianto, di brulicante suoni che rimandano a gesti licenziosi di un’umanità lasciva. Voci e colori di questo scenario terreno possono ingannare l’occhio e l’orecchio dell’avventore. Il poeta ci dice che proprio quest’Angelo sa dove planare e lo fa tra le pieghe dell’imperfezione; la conosce, la redime col suo Amore.

L’angelo attraversa l’aria dove gli uomini si affannano, nel
[sudore
dei desideri, dei rimpianti, nella cieca morsa dei traffici.
Non è un dio che lo manda, esiste come esiste la luce, e
[sfiora
tutti, tutti con un bagaglio di splendente amore.

Le narrazioni poetiche portano con sé l’impronta di una parola che si fa mistero e presenza, Indecifrabile e discesa terrena, epifania di accadimenti in cui potremmo imbatterci, se non ci siamo già imbattuti, a prescindere dei luoghi presentati dal poeta; mercati, interni di una casa, strade trafficate, vicoli di strade, impalcature, coste di mare. In questa tessitura di geografia topografica si innestano i Santi che proteggono nel naufragio, salvano l’uomo dall’aberrazione, dall’egoismo, dalla disperazione. Ogni santo sa connotare il proprio intervento redentore con il personale, peculiare tratto distintivo, quel segno di riconoscimento in nome del quale è stato eletto a creatura vicina a Dio.
Così San Giuseppe da Copertino, capace di levitare in stato di estasi, fa volare Abdelaziz verso le stelle, proprio lui,  Abdelaziz, inghiottito dal mare.
Sant’Eupremio, patrono delle Lipari, il saggio, il buon consigliere, si nasconde nel vento, ha nel cuore muratori, conosce la vita in bilico tra impalcature e vertigini.
Santa Edvige, la mistica, colei che vive nel silenzio, nella meditazione, può capire la solitudine, “che parla e prende il cuore tra le mani e lo scaraventa per terra”.
Santa Eufemia, fedele al Signore fino al martirio, sollecita il disperato a riconoscere i segni mutevoli dell’esistenza, a percorrere altre vie di soluzione, di fronte a una decisione inderogabile, a non scegliere quella estrema della rinuncia a vivere.
Santa Eufrasia, il cui etimo è “allegria”, “gioia”, “letizia”, “animo sereno”, è colei che rende la mente aperta, mostrando come sia facile cadere nel pregiudizio; cosi la vecchia, dall’animo cupo nei confronti dello straniero e a cui la Santa appare in punto di morte, muta l’espressione collerica del proprio volto in un sorriso.

Sant’Eufemia

Guarda, disse la vecchia santa alla vecchia morta,
non è vero che tutti i romeni rubano, ti sei sbagliata, così
sei morta per la troppa collera. La vecchia morta
strinse la mano della vecchia santa, non profferì
parola. Le tre nuvole evaporarono nel cielo.
Sul comodino ingombro di medicinali comparve
l’anello, e il viso della vecchia morta
per la troppa collera, parve aprirsi a un sorriso.

Fili onirici di un ordito d’impeccabile trama umana, fili di rigoroso sillogismo costituiscono il lessico con cui Paolo Polvani tesse il suo racconto.

San Giuseppe da Copertino salva un migrante in procinto di annegare sollevandolo in volo
Abdelaziz che ha conosciuto il privilegio di una mano
[che l’afferra,
l’ha scaraventato nell’inchiostro del cielo, su su, ha volato
come un uccello senz’ali, Abdel che tremava nell’aria,
che ha sentito la terra, è caduto, ha visto in faccia
quell’uomo, si è specchiato nella sintassi di rughe,
nella fronte da contadino…

San Giuseppe da Copertino

…l’ha scaraventato nell’inchiostro del cielo… si è specchiato la sintassi delle rughe ,…

Questi versi sono a riprova di come nel poeta Polvani sia presente la traccia di una ricerca visiva, ricerca consapevole o inconsapevole di figure retoriche, scelte a dire con immediatezza un evento, o a suggerire alla mente un ragionamento; così visibile anche nel frammento di lirica seguente:

Gli è stato rivelato
che morire non è solo un’ipotesi, una parentesi chiusa,
un’equazione, una faccenda trascurabile.

Sant’Euprepio

In Sant’Euprepio salva muratore precipitato dalle impalcature, ecco di nuovo apparire questo interscambio tra onirico e ragionamento:

In alto, nell’azzurro profondo, s’insinua con morbida
[destrezza
la leggerezza di una nuvola, il disinteresse metallico della gru.
L’aveva cucito sulla pelle il nome, custodito nella tasca
posteriore dei pantaloni. Non è dato sapere se ne indossasse
uno di tipo vetero proletario, per esempio Gaetano,
oppure conforme all’era nuova, Ahmed,
o Kevin. Il mondo pervicacemente s’aggrappa a una totale
inconsapevolezza.

Meravigliosi i versi de Il miracolo del kebab :

Ora non mastichi più kebab, rimpianto e solitudine, ma
la ruota di quella pancia bianca, la farina di una patria, e tutta
una notte di discorsi, di vicoli odorosi di minestra, di
[tramonti,
di cielo, di parole, di pelle che sa scrivere un poema.

Espressioni come: la ruota di quella pancia bianca, la farina di una patria, e tutta una notte di discorsi, di vicoli odorosi di minestra, di [tramonti…, riportano a un’ancestrale sonorità, data tutta nel movimento della ruota che macina farina e ricordo, radici, tempo lontano, stato di grazia filtrato dalla nuova vita, misura obbligata che deve fare i conti col presente.

Il passato ritorna e con esso anche la vita del poeta che sembra a proprio agio nell’identificazione con lo stato d’animo dei personaggi che di volta in volta ci presenta.

Ne Il miracolo della melagrana, l’uomo salvato dalla Santa di turno ha l’abbaglio delle nuvole, di un cielo che promette una vita carica di bellezza e di speranza, una vita percorsa dall’infanzia alla giovinezza a cui si aggiunge la consapevolezza dell’altalenante oscillare dell’esistenza stessa, di fronte alla quale necessiterebbe la saggezza di atti di ponderazione e di fiducia.

Ora la santa Eufemia spalanca la melagrana,
e l’uomo riconosce le nuvole, riconosce
la luce di un’estate e un bambino ignaro,
una giovinezza di splendori, una vita
di infiniti doni, di baci, suoni, una vita
che scende e sale, che a volte vola, a volte frana.

In Letterina a santa Ildegarda, felice l’accostamento tra , la collanina e quel suo taglio di
[capelli/e il filo di rossetto, la saggezza sventata della testolina…; qui risiedono tratti descrittivi, bastevoli a farci immergere in una tipologia umana che potrebbe essere appartenuta anche a noi in un tempo di giovinezza. E poi c’è il becco adunco dei ricordi che lacera la carne/… zavorre di lacrime e calzini, sussulti nel sonno/di pasticche, segnali di solitudine negli occhi…; cosicché, sembra dirci il poeta, il peso dei ricordi lacera l’essere in tutta la sua sostanza e corporeità; di conseguenza, zavorre di lacrime e calzini, sussulti nel sonno, addomesticato da pastiglie, solitudine, appaiono un vivido arazzo, costituito da tasselli di esistenza. Inutile voler isolare il singolo pezzo da tutto il mosaico: esso è la vita stessa, nel suo intreccio di affanno fisico e mentale.

 Proteggi, santa Ildegarda, la collanina e quel suo taglio di
[capelli
e il filo di rossetto, la saggezza sventata della testolina.
Guarda, c’è il becco adunco dei ricordi che lacera la carne,
lascia zavorre di lacrime e calzini, sussulti nel sonno
di pasticche, segnali di solitudine negli occhi. Veglia
su questa nostra solitudine che non ci abbandona e che ci
[marchia.

Il poeta, per sua stessa ragion d’essere, è un prestigiatore di parole, sortisce lui stesso, per mezzo di esse, “il miracolo del giorno”, quando conosce la vita, le gioie e le difficoltà, l’abbattimento e il superamento, la disperazione e il riaffiorare della speranza dell’esistere e quando sa dare un volto ai diseredati, attraverso l’esperienza dell’incontro.

Ora non sappiamo davvero se per i protagonisti delle narrazioni della silloge poetica di Paolo Polvani ci sia stato  un esito risolutivo, in riferimento alle vicende occorse loro; possiamo però sperare di imbatterci anche noi in qualche Spirito buono dentro qualche anfratto di vita.

Marina Agostinacchio
Marina Agostinacchio
Nel 1998 e nel 2007, Marina Agostinacchio è tra i vincitori del concorso nazionale di poesia “Premio Rabelais”. Nel 2006 è tra i finalisti del Premio “Tra Secchia e Panaro”. Nel 2002 ha ottenuto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesie Porticati, nel 2009 la raccolta Azzurro, il Melograno, nel 2012 Lo sguardo, la gioia, nel 2014 Tra ponte e selciato. Nel 2021, Marina Agostinacchio ha pubblicato i volumi bilingue di poesie "Trittico Berlinese", 2021, e "In the Islands of the Boughs", 2023.

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