Sunday, June 8, 2025

Le forze di attrazione in chimica

di Alessia Famengo

Le forze di attrazione che legano gli atomi a formare le molecole e la maniera con cui queste ultime interagiscono a formare strutture altamente organizzate, come accade nei sistemi viventi, sono fenomeni complessi e vengono descritti da una serie di teorie e modelli con il supporto delle osservazioni sperimentali. Nonostante ciò, ogni giorno siamo “testimoni” di questa complessità, dalle proteine al grafene, fino ai gechi, come spiega Alessia Famengo dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, proponendo un piccolo excursus per evidenziare la varietà delle interazioni attrattive in chimica, non limitate al semplice “legame covalente” alla base della formazione delle molecole

Scrive Primo Levi ne “Il sistema periodico”: “Ci sono, nell’aria che respiriamo, i cosiddetti gas inerti (…). Sono, appunto, talmente inerti, talmente paghi della condizione, che non interferiscono in alcuna reazione chimica, non si combinano con alcun altro elemento, e proprio per questo motivo sono passati inosservati per secoli: solo nel 1962 un chimico di buona volontà, dopo lunghi ed ingegnosi sforzi, è riuscito a costringere lo Straniero (lo xenon) a combinarsi fugacemente con l’avidissimo, vivacissimo fluoro, e l’impresa è apparsa talmente straordinaria che gli è stato conferito il Premio Nobel”.

Questo passaggio è l’incipit del capitolo intitolato “Argon”: Primo Levi paragona il comportamento schivo dei suoi avi all’inerzia degli atomi dei gas nobili, per anni considerati non reattivi, non in grado di formare composti. Nonostante l’efficacia di questa analogia, lo scrittore riporta un fatto che non è mai accaduto: “il chimico di buona volontà” menzionato, Neil Bartlett, non ha mai ricevuto il Nobel per la chimica. Tuttavia, l’esperimento di Bartlett, la prova dell’attrazione fra xenon e fluoro a formare composti che nessuno pensava esistessero, è considerato tra i dieci più belli della storia della chimica (Nature 455-182, 2008), riflettendo quella che è, in fondo, l’essenza della disciplina stessa: la comprensione dei meccanismi alla base dell’attrazione fra atomi (e molecole) che portano alla formazione del legame chimico.

Lungi dal farne una trattazione completa, quando si parla di legame chimico la discussione solitamente si focalizza sul cosiddetto “legame covalente” attraverso il quale gli atomi formano le molecole. Anche le molecole, però, sono in grado di interagire fra loro organizzandosi in sistemi più o meno complessi: queste forze attrattive vengono generalmente etichettate come “interazioni non covalenti”

Di minore intensità rispetto al legame covalente, le interazioni non covalenti determinano le proprietà della materia condensata, come ad esempio lo stato fisico (liquido o solido), e sono anche alla base della formazione di strutture altamente organizzate come proteine, enzimi e Dna.

Il “legame a idrogeno” è un’interazione non covalente che coinvolge un atomo di idrogeno e atomi come ossigeno, fluoro, azoto: l’acqua è la sostanza più comune in cui è presente questo tipo di legame. Nel ghiaccio, ciascuna molecola di H2O è legata ad altre quattro, costituendo una rete rigida ma “aperta”. Nell’acqua liquida, sono presenti comunque i legami a idrogeno, ma le molecole sono disposte in un modo più compatto: ne consegue che, contrariamente a quanto verificato per molti solidi, la densità dell’acqua liquida è più alta del ghiaccio, motivo per cui quest’ultimo galleggia. Se così non fosse, nei laghi il ghiaccio sprofonderebbe e l’acqua liquida in superficie congelerebbe, creando delle condizioni poco compatibili con la vita, con implicazioni importanti sugli ecosistemi terrestri. È sempre grazie al legame a idrogeno se l’acqua è in grado di raggiungere le foglie in cima agli alberi partendo dalle radici: la formazione di una colonna coesa di molecole di H2O e la loro adesione alle pareti dei microcanali sono in grado di “contrastare” la forza di gravità, risalendo altezze come quelle misurate per le sequoie.

Gli effetti del legame a idrogeno, dunque, sono a noi visibili ogni giorno: a parte il ghiaccio e l’acqua liquida, è grazie a questo tipo di forza attrattiva che il Dna si organizza nei geni, le proteine si aggregano a dare capelli, muscoli, fibre tessili come seta o lana, la cellulosa si organizza in fasci di microfibrille per conferire una certa struttura alle piante.

Alfa elica

Non a caso Linus Pauling, considerato il “padre del legame chimico”, studiava proprio le molecole biologiche con i metodi della meccanica quantistica per descrivere i diversi tipi di forze attrattive. Nel 1951, infatti, pubblicò la struttura dell’alpha elica, un tipo di conformazione assunta dalle proteine, descritta da precise relazioni geometriche fra i diversi atomi costituenti, la cui disposizione nelle tre dimensioni è data dai legami a idrogeno che si formano fra atomi presenti nella stessa molecola.

Tuttavia, le interazioni non covalenti sono importanti non solo per i sistemi biologici. Prendiamo come esempio la grafite: si tratta di un materiale costituito da milioni di foglietti di grafene tenuti assieme da interazioni relativamente deboli di natura “elettrostatica”, classificate generalmente come “Forze di Van der Waals”. Deboli perché basta la pressione esercitata dalla mano quando si scrive per “sfogliare” la grafite, lasciandone traccia sul foglio di carta.  Le forze di Van der Waals sono indotte da fluttuazioni temporali degli elettroni nelle molecole o negli atomi, e questo porta alla “separazione” delle cariche positive e negative. I gas condensano allo stato liquido perché gli atomi e le molecole risentono delle forze attrattive di Van der Waals. L’attrito e l’adesione nei materiali sono determinati da questo tipo di interazioni.

Le proprietà elettroniche dei cosiddetti materiali 2D (come il graphene), attualmente studiati per l’elettronica quantistica, possono essere modulate assemblando e integrando diversi strati o “foglietti”, sfruttando le forze di Van der Waals. Inoltre, in particolari condizioni e a seconda della distanza inter-atomica, le interazioni possono anche essere repulsive.

Ed è anche grazie ai materiali per l’elettronica se oggi abbiamo una risposta a un interessante quesito del regno animale: perché i gechi riescono a camminare lungo pareti verticali e non cadono? Un team di scienziati è giunto alla conclusione che questa abilità è una questione di forze di Van der Waals. Nell’esperimento riportato in “Evidence for van der Waals adhesion in gecko setae”, pubblicato sulla rivista Pnas nel 2002, i gechi sono stati messi alla prova dai materiali semiconduttori: i ricercatori li hanno indotti a camminare sulla superficie polare e idrofilica dell’ossido di silicio (SiO2), e su due superfici idrofobiche e apolari di arseniuro di gallio (GaAs) e Silicio (Si). Gli animali erano in grado di risalire tutte le superfici nonostante la diversa polarità, perché le “setole” e le “spatole” presenti sulle zampe dei gechi interagiscono via Van der Vaals con gli atomi della superficie.

Analogamente a quanto avviene nelle zampe dei gechi, la tecnica della microscopia a forza atomica sfrutta le interazioni di Van der Waals tra una punta di dimensioni dell’ordine dei nanometri e gli atomi/molecole presenti nelle superfici da analizzare, per ottenere delle immagini ad alta risoluzione e con dettagli a livello nanometrico. La punta che scansiona la superficie oscilla a una frequenza definita che varia in base all’interazione attrattiva o repulsiva con gli atomi della superficie. Questa variazione viene registrata come un segnale proporzionale all’altezza delle strutture presenti nella superficie, fornendo quindi informazioni dettagliate sulla morfologia dei materiali.

Gli esempi riportati sono, ovviamente, solo un assaggio di quelle che sono le applicazioni che sfruttano le interazioni non covalenti, per loro natura ubiquitarie. Caratteristica, quest’ultima, che ci ha permesso di discutere di gechi, materiali 2D e semiconduttori nello stesso articolo.

[Almanacco della Scienza N.5, Maggio 2025]

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