Quando il teatro d’Opera parla all’anima, è vero teatro ed è grande Arte. Questo accade solo qualche volta e occorre che esistano e convergano le condizioni perché tale sorta di miracolo si compia. È accaduto con uno dei capolavori di Jules Massenet, “Werther”, a Parigi, alla fine di gennaio 2014.
Un’opera divina, quella del genio francese, che è stata affidata ai migliori interpreti che possano oggi darle vita e forza di esistere ancora e, appunto, di parlare all’anima. Questo hanno saputo fare in uno dei più illustri teatri del mondo, il teatro de l’Opéra National de Paris Bastille, due grandi della Musica: Michel Plasson e Roberto Alagna.
L’orchestra del teatro parigino vanta una compagine di rara espressività e duttilità, che produce sonorità inconfondibili ed in mano ad un Maestro Concertatore e Direttore come Michel Plasson, un monumento della musica francese, la partitura del Werther è stata eseguita con una tale forza emotiva da dare i brividi.
L’intensità delle dinamiche orchestrali sembrava raddoppiata, triplicata, ma non in sonorità in eccesso, bensì in delicatezza e colori, in sfumature, in risalto delle sezioni strumentali, in meraviglia per l’orecchio e lo spirito. L’andamento perfetto, secondo la Tradition Francais a cui il Maestro è particolarmente sensibile, ma fluttuante ed elastico allo stesso tempo, a sostenere gli interpreti: Plasson li ha diretti “modellando” mirabilmente la partitura su di loro, ma imponendosi comunque ed esaltando lo splendore della musica di Massenet, con la perizia, la lungimiranza e la personale duttilità che solo l’esperienza e la raffinatissima sensibilità possono conferire ad un Direttore di questo calibro. Egli ama particolarmente il genio della musica francese, ne conosce ogni singola caratteristica, ne sottolinea nell’esecuzione ogni frase ed accento, ne decifra i segreti ed i misteri, lo svela e lo porge come sezionandolo con la sottigliezza di un chirurgo e ricomponendolo con la perizia di un grande artista: tutto ciò lo rende il direttore ideale per il Werther, nel mondo.
Si è creata grazie a questo una particolare sintonia tra golfo mistico e palcoscenico, una specie di “comunione”, che ha esaltato la resa degli interpreti, Roberto Alagna per primo, nei panni del protagonista. Un Werther “ardente”, sì, come annunciato, ma soprattutto “verosimile”, espressivo, dolcissimo, tenero financo, di quella tenerezza fragile, quasi ingenua e tanto lontana dal conformismo del titanismo romantico a cui spesso lo si è voluto accostare; verosimiglianza che lo porta a morire, al quarto atto, tra le braccia di Charlotte in posizione fetale, tremante e stremato nel personaggio, tanto quanto sinceramente provato nella sensibilità dell’interprete, esprimendo tutto quello che decine di Werther sulla scena non sono mai riusciti a cogliere prima.
Queste sfumature caratteriali specifiche del protagonista, che sono, nel loro mutare da un inizio gioioso ad un finale suicida, in assoluta concordanza con l’originale goethiano da cui l’Opera è tratta, hanno permeato tutta l’interpretazione del grande tenore, che “sente” la parte di Werther in maniera particolare e lo dimostra palesemente anche nella percettibile difficoltà che prova nell’“uscirne” alla fine dello spettacolo. Egli è capace però di donare al personaggio, innanzitutto, voce sempre splendida, mirabile linea di canto e dizione perfetta, conferendogli quell’indispensabile tocco puramente francese che solo lui gli sa dare e che di solito manca anche ai Werther più blasonati.
Nel canto lirico in lingua francese, i suoni sono di estrema raffinatezza, purché la loro emissione venga eseguita con la dovuta perfezione. Alagna è maestro in questo; è colui che di quel francese rende la debita, corretta eleganza, nel fraseggio e nello stile, nella resa dei suoni tipici di quella lingua, che necessitano della padronanza assoluta della tecnica e che sono anche più o meno congeniali alle caratteristiche vocali specifiche dei cantanti. Le sonorità e la metrica che Massenet ha donato al suo protagonista Werther sono sempre state e sono assolutamente nelle corde e nelle capacità vocali del grande tenore, che riesce a tenere il gusto per il Bel Canto in equilibrio perfetto con l’immedesimazione nel personaggio e con l’azione scenica e si dimostra pertanto, ancora una volta l’interprete ideale di quest’Opera sui palcoscenici di oggi, nel mondo.
Affiancato dall’espressiva ed altrettanto dolce Charlotte di Karine Deshayes, dotata di coerenza interpretativa nonché di uno squillo inconsueto per la protagonista femminile dell’Opera, coinvolta anch’ella positivamente nella “magia” di questa produzione, e dagli altri ottimi interpreti, tra cui spiccavano l’Albert di Jean Francoise Lapointe e la Sophie di Hèléne Guilmette, il grande tenore siculo-francese è stato sapientemente guidato dalla regia attentissima di Benoit Jacquot; di matrice cinematografica sì, ma nello stesso tempo molto teatrale, nel senso migliore del termine, e decisamente dotata di palese senso artistico, accompagnata dalle luci suggestive di Charles Edwards, riprese da André Diot.
In sintonia ed in perfetto accordo con la musica, durante tutta la rappresentazione, la scena si è popolata e spopolata, dando vita al dramma visivo in perfetta sinergia con quello sonoro. Rimarchevole, insieme al quarto, soprattutto il secondo atto, anche per le luminose solarità ed ampiezza sceniche e le conseguenti, suggestive potenzialità consentite agli interpreti. E poi, quando si lascia l’intero palcoscenico a Roberto Alagna, si stia certi che lo sappia utilizzare come splendido attore protagonista, oltre che come interprete dalle sopraffine qualità vocali. L’intera scena del suo “Oui! ce qu’elle m’ordonne…” da solo in palcoscenico, con il suo “Appelle-moi!” finale in ginocchio, resta memorabile.
La messa in scena parigina, nata a Londra per la Royal Opera House, Covent Garden nel 2004, con le scene di Charles Edwards e i costumi di Christian Gasc, ha trovato comunque sempre qualcosa di nuovo e di diverso, con l’alternarsi degli interpreti… Dunque, mai questa collaudata produzione di Werther, fu meglio intesa e vissuta, anche perché, così come Plasson da musicista, Jacquot da regista ha saputo lasciare mano libera agli interpreti nei momenti salienti, non inficiando la propria originalità, quanto esaltandola, poiché, per esempio, un Werther moribondo è bene che non s’alzi in piedi, ma che ci provi soltanto e ricada…Così Alagna ha fatto e, come prima accennato, la morte di Werther in questa produzione a Parigi è stata quanto di più toccante si sia visto sulla scena d’Opera da molto tempo.
La grande Musica sia affidata ai grandi, dunque: così forse anche il destino ha voluto per questo irripetibile Werther parigino del 2014; destino che, il 29 gennaio, nel corso delle recite, ha recato a Roberto Alagna, dalla compagna Aleksandra Kursak, lo splendido dono della nascita della figlia Malèna.