Il latino e il greco antico, lingue desuete, continuano a vivere attraverso il modo in cui strutturiamo il nostro pensiero e nel linguaggio moderno. Eppure, è difficile farle amare dagli studenti che, invece, preferiscono imparare l’inglese o il cinese e dedicarsi a studi con ricadute più “pratiche”. Tant’è che i licei classici sono quelli che registrano il maggiore calo di iscrizioni. Ne parliamo con Paolo Squillacioti, direttore dell’Istituto Opera del vocabolario italiano del Cnr
“De gustibus non est disputandum!”. Le lingue antiche come il greco e il latino sono ritenute inutili, perché “morte”, non più funzionali alla comunicazione quotidiana. Eppure, esse sono più vive che mai. Sappiamo, infatti, che molte parole di uso comune e modi di dire hanno origine greca e latina e sono ampiamente adoperati in contesti formali, filosofici, giuridici ed ecclesiastici.
Quante volte consigliamo ai ragazzi il “carpe diem” per vivere pienamente ogni attimo o ricordiamo loro di avere “mens sana in corpore sano” o auguriamo “ad maiora” alle persone più care. Se passiamo all’eredità del greco antico, questa spazia dalla filosofia alla medicina, dalla scienza alla tecnologia: ad esempio biblioteca deriva da biblíon (libro) e théke (ripostiglio), mathematiké da mathema (apprendimento, scienza), democrazia da demokratía (formata da dêmos, popolo e kratos potere), fisica da physiké (phýsis natura, significa scienza della natura). Questi vocaboli mostrano che la lingua che fu dei grandi scrittori e poeti latini, come Cicerone, Virgilio, Orazio, e di filosofi greci come Socrate e Platone, ancora studiati nei licei classici, hanno avuto un impatto profondo non solo nel linguaggio accademico e scientifico, ma anche nel lessico comune dell’italiano. Studiare le lingue classiche quindi può sembrare, a prima vista, un’attività accademica riservata agli studiosi o agli appassionati di antichità. In realtà, esse ci permettono di accedere alle radici della cultura europea, offrono gli strumenti essenziali per comprendere meglio il linguaggio, esercitare il pensiero critico e conoscere le origini delle società contemporanee. Il dibattito, che oggi ruota attorno al ruolo della educazione scolastica nella società, interessa anche l’utilità degli studi classici e, più in generale, umanistici in un’epoca di rapidi cambiamenti tecnologici.
“La questione dell’utilità dello studio delle lingue classiche nei licei è un tema ricorrente nel dibattito pubblico, insieme con il sospetto che anche chi vi si dedica per l’istruzione universitaria abbia una scarsa aderenza ai reali bisogni della società odierna”, spiega Paolo Squillacioti, direttore dell’Istituto opera del vocabolario italiano (Ovi) del Consiglio nazionale delle ricerche. “In realtà, ci sono due tipi di reazioni a tale problematica: la prima si potrebbe definire di ‘conservazione’ e propone il modello tradizionale del liceo classico gentiliano: studio approfondito della lingua, traduzione di brani selezionati in base al grado di difficoltà linguistica, la cosiddetta ‘versione’, e analisi dell’evoluzione storico-letteraria rispecchiata dalla manualistica. Il dubbio sollevato su questo assetto è che non sia sufficiente a contrastare sia la costante riduzione degli iscritti al liceo classico, sia la convinzione, sempre più diffusa, che la ricetta giusta per una formazione adeguata ai tempi possa essere meno latino e più inglese”.
Un altro tipo di risposta ha una sua sintesi nella riflessione di Maurizio Bettini, classicista dalla solida formazione filologica e fine antropologo del mondo antico. “Nel tenere conto delle riflessioni di maestri come Claude Lévy-Strauss, Tullio De Mauro e Salvatore Settis, nel volumetto ‘A che servono i Greci e i Romani?’ (Einaudi) Bettini sottolinea come la conoscenza della cultura classica debba essere centrale in un Paese come l’Italia che ha un passato culturale «spontaneamente disseminato sul proprio territorio, quasi fosse un prodotto della terra come gli ulivi in Toscana o i limoni sulla costiera di Amalfi», che va tutelato e non sfruttato, perché «i monumenti e le opere d’arte muoiono se le generazioni ne ignorano il contesto e il significato, così come le ragioni che li hanno prodotti e la cultura che nel tempo da essi è scaturita». La scuola ha un ruolo centrale in questo processo di tutela, ma occorre ripensare l’insegnamento che, se resta ancorato a programmi e alle modalità tradizionali, rischia di spegnersi per mancanza d’interesse”, continua il direttore del Cnr-Ovi.
Come uscire da questa impasse tra passato e presente? “Bettini sostiene anche che una proposta organica potrebbe articolarsi su una duplice ‘traiettoria’: da una parte far apprezzare e riconoscere agli studenti la continuità dell’uso di queste lingue antiche e più in generale della cultura classica e, dall’altra, porre anche in evidenza le diversità, le alterità di concetti come la ‘religio’ dei romani o la ‘demokratía’ dei greci, di cui conserviamo il nome ma solo in parte il senso”, conclude Squillacioti. “I contenuti scolastici sarebbero concepiti come punti d’ingresso a conoscenze più approfondite e, al contempo, momenti di esperienze della bellezza letteraria che abbonda nella tradizione classica. A mio avviso, non riuscendo a immaginare realisticamente una riforma ampia e organica del sistema scolastico, un equilibrio fra le esigenze parrebbe la strada più produttiva e molto dipenderà dall’impegno dei tantissimi insegnanti appassionati che, tra tante difficoltà, tengono ancora alto il livello della scuola italiana”.
In conclusione, per lanciare un messaggio a favore del greco e del latino possiamo dire che in un’epoca che sembra privilegiare l’apprendimento rapido e utilitaristico, tali lingue offrono anche la rara opportunità di “rallentare” e riflettere sul senso del mondo che ci circonda.
Fonte: Paolo Squillacioti, Istituto opera vocabolario italiano, [email protected]
[Almanacco della Scienza N.9, ottobre 2024]