Il Capitale Umano rappresenta uno spartiacque profondo nella cinematografia di Paolo Virzì. Di fatti, il regista livornese si allontana nuovamente dalla sua amata Toscana per cimentarsi in un’avventura settentrionale cruda e letteraria. Ed ecco che i simpatici proletari labronici lasciano il posto a freddi magnati lombardi ed il sole tirrenico si oscura nel grigiore invernale della Brianza.
Liberamente tratto dal romanzo di Stephen Amidon, Il Capitale Umano è un esperimento sicuramente riuscito dal punto di vista stilistico, anche se alcuni passaggi di macchina non rendono quanto realmente Virzì avrebbe potuto donare alla sua platea. Inoltre, resta qualche dubbio sulla limatura di alcuni pesanti dettagli narrativi che troppo aderiscono al libro summenzionato. Tuttavia, il direttore non cade nel grave errore di letteralizzare la sceneggiatura del film e, accompagnato da un cast a dir poco stupefacente, non trascina le sezioni del testo in quelle del lungometraggio. La divisione della storia in capitoli, anzi, rende il gioco attrattivo molto più emozionante ed avvincente: il pubblico aspetta impaziente di conoscere la verità fino all’ultimo atto ed è proprio allora che il thriller di Virzì, dall’animo indiscutibilmente noir, riesce ad esplodere in sala con garbo ed impeccabilità.
Un progetto ambizioso, diverso, in cui psicologia e dramma nascondono a dovere la chiave di volta di un intreccio nero ed accattivante. Un film da non perdere per curiosi commedianti ed appassionati del genere.
Sottolineare è d’obbligo: da Bentivoglio a Gifuni, dalla Golino alla Bruni Tedeschi, la bravura degli attori de Il Capitale Umano vale il prezzo del biglietto.