Nel 1966 esce il quinto film del regista francese François Truffaut intitolato “Fahrenheit 451”, che descrive una realtà futuribile dominata dalla televisione nella quale, per mezzo dei pompieri, vengono perseguiti i possessori dei libri – e questi ultimi bruciati – con l’accusa di essere ingannevoli e portatori di infelicità. Quale sia lo stato di vitalità del libro (e del lettore) oggi in Italia lo abbiamo chiesto a Paolo Landri, sociologo dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr
Il film di François Truffaut, “Fahrenheit 451”, del 1966, rappresenta uno scenario per certi versi distopico, nel quale i pompieri, anziché lavorare per domare e spegnere gli incendi, si adoperano per dare la caccia ai libri, con l’intento di bruciarli. La tv la fa da padrona, mentre i testi scritti sono tacciati di essere frustranti e fuorvianti, perché rappresenterebbero una realtà fantasiosa, irraggiungibile per chi li legge. Un pompiere redento, nonostante l’avversione della moglie, deciderà di combattere il sistema politico che governa quella società, avendone compreso l’intento obnubilatorio.
“In realtà, nel corso della storia più volte sono stati bruciati i libri, e a farlo sono stati regimi autoritari e totalitaristi; una sorta di tendenza anti-intellettualistica come atto di censura verso forme di cultura considerate una minaccia al sistema vigente. Tali azioni avevano una forte componente simbolica, rappresentando l’annientamento del sapere e del libero pensiero attraverso la distruzione fisica di un artefatto culturale. Questo può essere considerato al pari dell’abbattimento dei monumenti, come è avvenuto ad esempio una decina di anni fa in Siria durante la guerra civile”, spiega Paolo Landri, sociologo e ricercatore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr.
Se si va oltre questo aspetto, guardando all’Italia, le statistiche dicono che si leggono pochi libri e pochi quotidiani, in un trend che sembra inesorabile, quantomeno per i testi cartacei. “Per certi versi questa tendenza non è stupefacente, visto che non abbiamo mai fatto investimenti importanti sull’educazione permanente e siamo un Paese che si è occupato dell’alfabetizzazione più tardi di altri. Va detto che i libri che si comprano in Italia sono principalmente quelli scolastici: sono, in un certo senso, un acquisto obbligato e stanno affrontando un processo di cambiamento nella forma, dall’analogico al digitale, anche sotto la spinta delle normative sulla digitalizzazione dei contenuti. Da un certo punto di vista, è naturale che cambi la modalità di fruizione dei contenuti, nell’ottica di renderli più fruibili e accattivanti agli occhi dei giovani, oltre che maggiormente accessibili a persone con disabilità”, prosegue il ricercatore del Cnr-Irpps.
In un tempo nel quale tutto corre velocemente, i libri sembrano arrancare, in netta contrapposizione con l’utilizzo massivo e istantaneo della comunicazione attraverso le piattaforme digitali. “Oggi i libri di successo sono quelli maggiormente pubblicizzati sui social. Siamo in un’epoca nella quale queste piattaforme di comunicazione si contrappongono in qualche misura alla sedimentazione del sapere rappresentata dal testo scritto. Un’epoca molto rapida, che sta fagocitando anche i libri, in una logica di accelerazione estrema che mal si sposa con il concetto di libro, il quale introduce invece alla riflessione e all’impiego di un tempo esclusivo dedicato alla sua fruizione”, commenta Landri.
Sembra che non ci sia più tempo e spazio per i libri. E anche la scrittura paga dazio alla velocità delle società contemporanee, dovendosi adattare a un contesto che si è profondamente trasformato negli ultimi anni. “Pensiamo a come la scrittura abbia subito una torsione, standardizzandosi su una forma semplificata e mutuata dai social, per essere veicolo di una fruizione veloce, spesso anche attraverso l’uso di contrazioni ed emoticon. Bisognerebbe stimolare una certa varietà stilistica, allenando la scrittura su diverse forme. In senso più generale, dedicarsi alla scrittura e alla lettura significa trovare nel quotidiano dei rifugi, degli spazi per la riflessione e la sedimentazione delle esperienze e del sapere, oltre che per la rigenerazione. Un po’ come avviene nell’agricoltura quando i campi vengono messi a riposo dalla coltivazione per essere maggiormente fertili e produttivi nelle annate successive”, conclude l’esperto.
[Almanacco della Scienza N.4, aprile 2024]