La prima donna laureata nella storia è un’italiana. Si tratta della patrizia veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684), che conseguì a Venezia la laurea in Filosofia nel 1678, alla quale seguì 66 anni dopo, nel 1732, la fisica “newtoniana” Laura Bassi, la prima dottorata in Europa e la prima a ottenere una cattedra universitaria. Ce ne parla Luciana Taddei dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr
La patrizia veneziana Elena Lucrezia Corner Piscopia (1646-1684), a cui proprio recentemente la scrittrice e giornalista Patrizia Carrano ha dedicato il libro “Illuminata” (Mondadori) è la prima donna laureata della storia. Laureatasi in Filosofia all’Università di Padova nel 1678, a soli 10 anni aveva rifiutato nozze e velo per consacrarsi allo studio, appoggiata e fortemente motivata dal padre, Giovanni Battista Corner Piscopia, mecenate “illuminato”, appartenente a una famiglia di solide tradizioni intellettuali, che trovò nella propensione della figlia allo studio un riscatto alle proprie aspettative deluse dal primogenito.
Un cammino solitario e quasi scandaloso quello di Lucrezia, che fu affidata per la sua formazione a teologi (in realtà voleva laurearsi proprio in teologia ma non le fu concesso), latinisti, grecisti e al rabbino Shemel Aboaf, da cui apprese l’ebraico. Studiò anche spagnolo, francese e arabo, e possedeva una profonda cultura musicale. Un percorso solitario e malinconico perché in realtà fu a lungo considerata dai familiari un fenomeno da esibire per le sue doti eccezionali, essendo una donna in grado di fare dissertazioni filosofiche e dialogare in latino. La sua laurea è da molti considerata una timida apertura verso il rispetto della dignità e dei diritti femminili, subito richiusa poiché non le permise di confrontarsi con gli uomini in ambito intellettuale.
Solo nel 1732 in Italia si laureò, presso l’Università di Bologna, un’altra donna, la fisica Laura Bassi (1711-1778), nota per essere una delle prime in Europa a ricevere, in età moderna, un titolo dottorale e la prima in assoluto al mondo a ottenere una cattedra universitaria in Fisica sperimentale presso l’Istituto di Scienze.
Laura Bassi, seguace delle teorie newtoniane, fu un punto di non ritorno. Perfettamente consapevole del proprio valore e in una focalizzata strategia di autopromozione, colloquiava col mondo accademico alla pari, riuscendo a ottenere la cattedra in virtù solo del suo talento straordinario e non del suo genere. Appartenente alla piccola borghesia, fu proprio il suo medico di famiglia e professore di anatomia, Gaetano Tacconi, a persuadere i genitori a promuoverne le eccezionali capacità, introducendola nei salotti accademici di Bologna, fino a farle ottenere il modo di laurearsi, anche per interessamento presso il Senato dello stesso cardinale Prospero Lambertini (futuro Papa Benedetto XIV), e a divenire appena ventunenne, nel marzo 1732, socia onoraria dell’Accademia delle Scienze di Bologna. In pochi mesi si addottorò in Filosofia, divenne membro onorario del Collegio dei dottori filosofi, e, nel dicembre dello stesso anno, tenne la sua prima lezione in Archiginnasio.
“Come ha sottolineato lo storico Paul Frederick Grendler (2004), le università del Nord differivano notevolmente da quelle del Sud per quanto riguarda l’insegnamento, l’organizzazione, il numero di studenti e professori e la qualità dell’insegnamento”, spiega Luciana Taddei dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr. “In generale, durante il primo periodo della loro esistenza e per tutto il Rinascimento, le università italiane e spagnole privilegiavano l’insegnamento del diritto e della medicina, mentre quelle del Nord privilegiavano l’insegnamento della teologia e delle arti. Come evidenzia anche la storia di Elena Lucrezia Cornaro – laureata con una tesi in teologia a Padova ma rindirizzata verso un titolo di dottore in filosofia – alcune materie erano osteggiate al genere femminile. Dal punto di vista organizzativo invece, nel sud dell’Europa le università erano molto meno soggette alle pressioni governative: il fatto stesso che spesso non fossero situate in città sede di potere politico o religioso è un importante indicatore di indipendenza. In generale, da un’analisi biografica emerge che le studiose in questione erano incoraggiate da padri e mariti, spesso docenti o studiosi di nota fama. Erano questi ultimi a lottare con le autorità dell’epoca. Non si consideri però un segno di apertura, poiché all’epoca, in un certo tipo di famiglie, l’erudizione di una giovane donna poteva offrire l’opportunità di rafforzare alleanze politiche influenti. Queste donne erudite sono casi esemplari. In realtà, per tutto il periodo storico considerato, furono pochissime le donne che poterono accedere a una forma di scolarizzazione, sia ufficiale che informale (Frova 2019; Grendler 1990). Erano soprattutto le donne delle classi superiori a poter frequentare le biblioteche e a godere degli insegnamenti dei precettori. Nella maggior parte dei casi, l’educazione femminile alle lettere aveva come unico obiettivo la lettura di letteratura devozionale, di missive e atti notarili. L’altra possibilità per le donne di avere una forma di scolarizzazione era quella di entrare a far parte di comunità religiose. I conventi erano luoghi in cui le donne potevano insegnare e imparare. In molte abbazie si insegnavano latino, greco ed ebraico. C’era spazio per la letteratura e la poesia, oltre che per gli scritti religiosi. È con l’emergere delle accademie finanziate dall’aristocrazia – in Italia particolarmente numerose – che le donne cominciarono ad avere più spazio nello studio e nelle scienze”.
Laura Bassi
Ritornando al ruolo e all’organizzazione delle istituzioni universitarie e accademiche, le Università appartenevano sia a un mercato che a una rete. “Con le accademie, questa rete si è ulteriormente ampliata, permettendo a coloro che erano esclusi dal circuito universitario di impegnarsi e interagire con altri studiosi. Queste istituzioni aprirono le porte anche alle donne che non appartenevano all’aristocrazia della città o che non avevano il sostegno della famiglia. Un altro aspetto cruciale dell’apertura delle accademie alle donne fu l’uso e la promozione della lingua volgare”, conclude l’esperta. “La conoscenza del latino non era più un prerequisito per accedere al mondo del sapere, come invece accadeva nelle università. Prima del 1800 si trovano 81 donne in accademie scientifiche. In alcuni casi, sono state ammesse come membri onorari, partecipando alle riunioni e proponendo tesi di laurea. Nella maggior parte dei casi, erano membri o corrispondenti esterni, e la loro presenza era fortemente limitata. Un esempio di accademia letteraria con un gran numero di donne è l’Accademia dell’Arcadia in Italia. Questa era composta da numerose sezioni presenti nei principali centri urbani del Paese. La sezione di Siena contava circa 600 donne durante la sua esistenza (Paoli 2012). Sono molte le donne che hanno ‘forzato’ il loro ingresso in università ad accademie – per esempio Margaret Cavendish (1623-1673) e Maria Winkelmann (1670-1720) -, e a loro va il nostro più grande ringraziamento”.
Un doveroso tributo postumo è stato fatto anche a Elena Lucrezia Corner nel 2018 dall’Università di Padova, istituendo il Centro di Ateneo “Elena Cornaro”, che promuove attività di ricerca e formazione in prospettiva di genere e si propone di diffondere una maggiore consapevolezza sulle tematiche di genere presso l’ateneo patavino e nella società. [Almanacco della Scienza N.3, marzo 2024]