Saturday, November 23, 2024

“Io non parlo in siciliano, PENSO IN SICILIANO …” Intervista esclusiva con Paride Benassai

Intervista di Tiziano Thomas Dossena
Attore, regista ed autore di testi teatrali, è stato dal 1983 al 1988 direttore artistico del Piccolo teatro Città di Palermo.  Ha lavorato con la Rai, la televisione e il cinema. Il Teatro Biondo Stabile di Palermo è la sua casa. È stato impegnato per le riprese della serie TV americana FROM SCRATCH, tratta dal best seller di Tembi Locke, trasmessa di recente (ottobre 2022) da Netflix ed è stata nel periodo la serie più vista al mondo.
Ha lavorato con i registi: Roberto Guicciardini, Carlo Quartucci, Mario Missiroli, Gianfranco Albano, Mauro Avogadro, Paolo Virzì, Michele Soavi, Peppuccio Tornatore, Emanuele Crialese, Roberto Andò, Ficarra e Picone, Piero Messina.
Ha preso parte a diversi cicli di trasmissioni radiofoniche per conto di RAI 3.
Parte dell’attività svolta è stata anche oggetto di studi in due tesi di laurea presso L’Università degli Studi di Palermo nella Facoltà di Lettere e Filosofia.
Per tre anni (88/89/90) ha svolto attività di laboratorio con i detenuti del Carcere Ucciardone di Palermo.

L’Idea Magazine: Buongiorno Paride. Devo confessare che molti dei nostri lettori sono siculo americani e saranno contentissimi di leggere questa intervista. Quanto ha influenzato la tua sicilianità nella tua carriera? E nella vita personale?

Paride Benassai: Amico mio, io non parlo in siciliano, PENSO IN SICILIANO, poi il mio pensiero diventa parola ed è una parola di una lingua antica e raffinatissima, una lingua colta ed unica, perché nel suo suono c’è l’impronta, la radice, l’anima di tutti i popoli che hanno attraversato nel corso dei secoli la nostra terra.
Tutte le dominazioni subite hanno arricchito culturalmente questa nostra terra. Si è lasciata attraversare, ha poi filtrato, modificato e accolto la bellezza delle umanità alla quale ha assistito nel tempo …Non è un caso che io definisca il Siciliano una lingua e non un dialetto, perché nelle sue parole, questa meravigliosa lingua, contiene tutto il sentimento epico dell’anima delle civiltà del mediterraneo…
Noi siamo un popolo accogliente, profondo e semplice contemporaneamente, un popolo capace di vivere in ricchezza e povertà, non c’è fine ne principio nell’anima nostra…

L’Idea Magazine: Hai iniziato con il teatro nel lontano 1976. Quale fu la tua prima opera come autore e quale come attore?
Paride Benassai: Nella mia vita ho fatto soltanto questo, sono un privilegiato perché ho vissuto di ciò che amo: il mestiere dell’attore, il teatrante, il “nuovo giullare” recitando sulle tavole di un palcoscenico (siano benedetti tutti i palcoscenici del mondo) o davanti una telecamera, una macchina da presa, un set… mai davanti uno specchio…
Recitare per me è “dimenticarmi di me “, uno specchio riflette sempre un’immagine che ti porta inevitabilmente ad un tempo presente, recitare per me è essere senza tempo, ognuno ha il proprio tempo e questa scelta è privilegio dello spettatore…
Da bambino mi divertivo ad intrattenere i miei coetanei, per ore ed ore, con le farse di CICCIO FORMAGGIO, un personaggio di mia invenzione; mi ero inventato un teatrino molto personale ed i bambini apprezzavano facendosi delle risate di gusto. Fare ridere e sorridere gli altri mi è sempre piaciuto. Anche essere uno strumento per la riflessione dello spettatore, di chi non sempre trova il tempo per riflettere…
Il mio primo contratto come attore però lo firmai per un testo di Pirandello “IL GIOCO DELLE PARTI “, questo contratto lo conservo ancora…
A venticinque anni scrissi il mio primo testo teatrale al quale rimango fortemente legato, per me il più bello, CHEWIN GUM, una storia di follia, di amicizia, di vita e di morte…Una storia, tutta in siciliano, che si svolge in un manicomio la notte di Capodanno … Questo spettacolo ebbe subito un grande successo e fu replicato nella sola città di Palermo per 230 volte, poi lo ripresi ancora nel corso degli anni…

L’Idea Magazine: Ci potresti parlare dello spettacolo viaggiante “Ci fu Pitré… visita guidata quasi impossibile”
Paride Benassai: Giuseppe Pitré, si sa, fu il più importante ricercatore e studioso di tradizioni popolari siciliane, ancora oggi punto di riferimento per la sua opera monumentale sulla cultura siciliana, autentica pietra miliare per la ricchezza e la vastità d’informazioni che ci ha lasciato.
Insieme a Vito Parrinello, un amico ed un cultore delle tradizioni popolari con il suo Teatrino Ditirammu da lui fondato, si immaginò l’idea di un Teatro Itinerante, un viaggio per le strade di Palermo a bordo di una carrozza con tanto di cavallo.
Era una di quelle carrozze che ancora oggi vediamo per le strade del centro storico della città, e che spesso sostano dinanzi al Teatro Massimo, Tempio della lirica.
Immaginammo che su questa carrozza viaggiasse lo spirito del Pitré. Che avesse voglia di passeggiare ancora per le strade di Palermo per incontrare la gente e raccontare, a suo modo, storie legate alla nostra Sicilia. A seguito della carrozza c’era uno stuolo di musicanti, cantori, danzatori…ognuno era un tassello, un frammento, una voce che voleva far sentire tutto il proprio amore per il popolo siciliano. Un Teatro da strada che arrivava dritto al cuore e alla memoria di chi si trovava ad ascoltare… Fu un autentico successo.
…” Vassa trasi forestieru, dico a vassia, dico a lei ca mi talìa mentri passia. Pitrè mi chiamano e sugnu professori e la storia di lu Genio mi piaci ri cuntari…” I testi erano scritti da Daniele Billitteri, da me e dallo stesso Pitré…

L’Idea Magazine: La combinazione dialetto e musica nello spettacolo “Sogno di una notte di Palermo” ebbe molto successo. Potresti spiegarci in che cosa consisteva lo spettacolo?
Paride Benassai: “Sogno di una notte di Palermo” è stato un viaggio nella memoria fatto di musiche e parole dentro la città popolare e ironica, la città dei ricordi, la città delle emozioni e dell’anima. La lingua siciliana è di una musicalità unica per le ragioni che spiegavo prima a proposito della parola, lo spettacolo faceva della musicalità della lingua palermitana il suo punto di forza e le musiche sottolineavano, con le loro armonie (tradizione, etno e jazz), le cadenze e le sintesi idiomatiche della lingua parlata della Città di Palermo.
Si trattava di un testo teatrale antologico che s’ispirava alla tradizione orale dell’identità culturale siciliana, suggestioni poetiche di “viaggi” tra vicoli, vaneddi, trazzeri… storie antiche di mercati, di vita e di morte, tra follia e ragione, memorie di sangue e di latte, di madri sempre gravide di figli, sogni e tragedie.
Un teatro poetico che manteneva purissima la sua lingua, perché certe storie, certi sentimenti sono tali solo se mantieni integra la lingua nella quale quelle storie sono accadute e continuano ad accadere. Perché il dialetto è proprio questo: una inossidabile combinazione tra la parola, il luogo e l’identità. Questo è il senso del lavoro che amo portare avanti per una “scena siciliana di musiche e parole” dove non è necessario capire … basta semplicemente sentire … perché alla fine la cosa bella del dialetto, quando è vibrazione dell’anima di un popolo, è che attira tutti…il suo suono è il suono di una scaglia grande di verità.

L’Idea Magazine: Un altro tuo spettacolo, CIUINGAM – “CHEWINGUM – L’ISOLA DEI MATTI” incontrò il favore del pubblico e della critica. Potresti dirci quale fu l’idea originale e drammaticamente innovativa da te avuta nel creare questo tuo spettacolo?
Paride Benassai: La pazzia? siamo tutti un po’ matti, ed una grande solitudine ci accomuna: quella di chi procede secondo logica e quella di chi marcia soltanto al ritmo delle proprie emozioni.
Come i protagonisti di Chewing-gum, ci ritroviamo talvolta a meditare su noi stessi tra ricordi del passato e promesse del futuro alla ricerca del punto d’equilibrio … tra finzione e realtà … tra follia e ragione … tra la vita e la morte… “ la vita nun mori e la morti nun vivi…” così dice uno dei protagonisti di questa storia.
C’è dietro questo testo e spettacolo che parla di follia, un mio personale vissuto che in queste pagine non può trovare spazio, l’unica cosa che posso dire, in questa sede, è che molto di ciò che viene raccontato sulla scena appartiene ad un vissuto “vissuto” …
Uno spettacolo che sin dagli inizi degli anni Ottanta, a Palermo, ma anche a Napoli, Messina, Catania raccolse uno straordinario successo di critica e di pubblico.
La prima volta debuttò il 10 novembre del 1981 al Piccolo Teatro di Palermo, uno
spazio che oggi non esiste più … Lo spettacolo ebbe fortuna e venne replicato per ben 230 volte nella sola città di Palermo.
Negli anni si sono alternate compagnie formate da grandi attori della scena: Toni Sperandeo, Nino Drago, Lollo Franco, Enza Rappa, Toti Basso, Lello D’Alleo, Aldo De Caro, Sergio Vespertino, Stefania Blandeburgo, Alessandro Pennacchio, Maurizio Bologna …
Un testo che sicuramente appartiene alla memoria storica del teatro di ricerca popolare, nato nel segno della continuità con tutto un Teatro Palermitano ricco di storia che dagli anni Settanta ha messo in scena la musicalità e lo schiamazzo poetico, u scrusciu profondo, l’alito di una città complessa.Chewing-gum è una divertente e nostalgica favola di matti, capace di far ridere e sorridere … è l’esercizio di un teatro che, partendo dalla propria storia, diventa finestra aperta sul mondoUna scrittura scenica che parte dal legame con il territorio che osserva dentro le case, per costituire consapevolmente un’espressione contemporanea culturale.
Un grande teatro che guarda dentro l’anima della città e prende da essa tutto ciò che è accuratamente nascosto nella vita quotidiana: l’uso velenoso e sarcastico dell’intelligenza, la tendenza alla tragedia, lo scetticismo, l’arroganza e la violenza, il gusto per il riso ed il sorriso, rimettendoli di fronte alla città e portandoli sulla scena.
La lingua usata è la “parlata palermitana”, con le sue cadenze e le sue sintesi idiomatiche.
È la storia di un gruppo di matti, e di questa città, forse, o per estensione di tutta l’umanità … quella che Pietro e Nino raccontano insieme ai loro incubi e ai loro giochi …
Ogni volta che questo testo m’è capitato fra le mani l’ho sempre trovato attuale, malgrado adesso siano passati quasi quaranta anni dalla sua prima rappresentazione.
Il tema è anche affascinante e tremendo, ma estremamente nostro: dov’è il limite tra sogno e realtà? Tra follia e ragione?
Il manicomio è soltanto metafora del disagio, un luogo che per convenzione, si presta alle fughe oniriche, consente agli stessi attori  la carta dello sberleffo e della esorcizzazione del male …
Chewing gum non è soltanto fuga, ma anche rifugio, non soltanto annientamento, ma anche speranza … non soltanto denuncia, ma anche favola … un insospettato e lucidissimo desiderio di fuga da un manicomio, nella notte di   Capodanno … la notte dei fuochi d’artificio …

L’Idea Magazine: Molto interessante il tuo spettacolo OSSO MASTROSSO E CARCAGNOSSO, che è stato definito come una favola, una leggenda sulla origine delle mafie. Ci spiegheresti qualcosa di più in proposito?
Paride Benassai: Qui, devo fare necessariamente un passo indietro. L’arte del cunto e la sapienza scenica dell’“Opera dei pupi” è questione di artigianato e memoria, ritmo e invenzione.
Mimmo Cuticchio (Gela, 1948) è il più noto oprante, cuntastorie del nostro tempo, erede e innovatore della tradizione siciliana del teatro dell’Opera dei pupi. Figlio dell’oprante Giacomo, fin da bambino lavora nel teatro di famiglia e segue le consuete tappe dell’apprendistato. Negli anni ’70 trova nel cuntista e puparo Peppino Celano un orizzonte creativo. Grazie a lui apprende le tecniche del cunto. Alla morte del maestro apre il Teatrino dei Pupi Santa Rosalia (1973) dove personalmente ho lavorato proprio insieme ad un Mimmo Cuticchio che ancora doveva esercitare la sua arte del cunto. Dico arte, perché di arte si tratta.
Qualità che Mimmo Cuticchio possiede al massimo grado. Puparo per trasmissione paterna, oprante assoluto dell’Opra di disciplina palermitana, maestro nell’arte del cunto, appresa per osservazione silente da Peppino Celano, Cuticchio recupera e supera la tradizione ottocentesca, per profonda conoscenza. Tramanda il patrimonio romanzesco, dai poemi medioevali francesi ai rifacimenti italiani, elaborando ibridazioni impensate
Il cunto si fa con la spada. È cosa diversa dal cantastorie di cronache con chitarra e cartelli. Serve fendenti in aria e batte il ritmo. Con questo modo orale di percussione, respiro e mimica del viso, si scandisce il racconto in imprevedibili successioni di peripezie. Intreccia una serie di rispondenze, sospensioni, riprese, in un sistema di incastri, senza mai dare l’impressione di un vortice causale degli eventi.
Con voce tonante o carezzevole, aspra o struggente, si alza e si abbassa continuamente il livello generale del cunto, per poi impennare in incalzanti e sincopati climi drammatici.
Il cunto è anche testimonianza di un impegno civile e artistico segnato da uno sguardo rivolto alla contemporaneità.
Ogni volta che ascolto un cunto provo un’emozione antica, vedo la storia che si dispiega anche per gli ultimi; immagino contadini, artigiani ed operai che creano la loro meraviglia e rafforzano la loro fede grazie alle immagini provocate dalla narrazione; mi si apre una conoscenza diretta, umile, scarna e vera che va a far piazza pulita di tutte le sovrastrutture intellettuali, capace di vincere in silenzio sulle costruzioni della mente. E spero sempre che sia così anche per tutti i fortunati che possono assistere a questi racconti.
Ora, in occasione di uno spettacolo teatrale su Ignazio Buttitta, grandissimo poeta siciliano, scelsi (in virtù delle mie esperienze passate proprio con Mimmo) di immaginare un cunto musicale che si avvalesse del sostegno delle percussioni, perché il cunto è essenzialmente ritmo.
Prima di allora non era stato ancora fatto.  Bene, lo feci … mi attirai addosso le critiche dei tradizionalisti che “il cunto si fa solo con la spada e la voce …”
Da allora non si contano più i cuntisti (veri, taroccati e falsi) che non hanno perso occasione per cuntare anche in musica e percussioni… (tamburelli, tambura e ciancianeddi …)
Premessa necessaria, perché OSSO MASTROSSO E CARCAGNOSSO è un cunto di una contemporaneità e modernità particolare che il pubblico presente ha intuito con tutto l’affetto e la stima che ci è ritornato sulla scena. È un cunto (che poi la traduzione è RACCONTO) che procede essenzialmente per voci (che cantano e intonano melodie e giaculatorie di mercati e di quartieri) musiche (eseguite al flauto traverso) immagini (del maestro Enzo Patti) che a differenza dei vecchi tabelloni dei cantastorie sono suggestioni visive di splendidi quadri che usano una tecnologia contemporanea, opra dei pupi (questa rigorosamente tradizionale) e voce narrante … una, sola … e siciliana.
Dove e quando è nata la MAFIA ?
Dovreste ascoltare questa favola per immaginare un’ipotesi (vera o falsa non si sa, ma sicuramente suggestiva) un’ipotesi.
Qui il cunto s’intreccia così con la partitura musicale, scritta da Emilio Galante, con ensemble vocale diretto da Chiara Biondani, OSSO MASTROSSO E CARCAGNOSSO è uno spettacolo che amerei sempre vedere e rivedere.

L’Idea Magazine: Oltre agli spettacoli nei quali usi il dialetto siciliano, vedi “Il cavaliere sole”, hai recitato anche in opere teatrali classiche quali “Liolà” e “La tempesta”. Vi sono delle diversità nel prepararli? Scrivi ancora testi teatrali in siciliano?
Paride Benassai: Ti smentirò, perché quando sono stato chiamato ad interpretare personaggi di queste commedie e drammi classici mi è stato sempre richiesto di interpretarli nella lingua siciliana. Mi è stata chiesta una traduzione di questi classici per quanto riguardava il mio personaggio. Magnifico, il siciliano continuava a trionfare …
Per amore della verità, devo dirti che la” nostra lingua” è stata in tutta il territorio nazionale molto apprezzata (le critiche ed il pubblico ne sono una autentica testimonianza); la ragione è molto semplice: il pubblico sa riconoscere e percepire ciò che è VERO. La nostra lingua è VERA.
Per quanto riguarda la scrittura, ti confesso che non saprei scrivere se non ciò che mi appartiene. In questo nostro nuovo mondo globalizzato, dove smarriti procediamo in cerca di scaglie di verità, tutti noi abbiamo bisogno di ritrovarci in qualcosa che appartiene alla nostra memoria, alle nostre vite, a ciò che siamo e cerchiamo di essere … Ognuno faccia la sua parte e scriva nella lingua dei suoi padri, nella lingua della propria terra … E la terra è “di cu la travagghia” e i frutti saranno sicuramente “bboni”.

L’Idea Magazine: Tu realizzasti lo spettacolo “Da cosa nasce cosa” al carcere Ucciardone di Palermo con i detenuti della terza sezione nel lontano1986, spettacolo che poi hai ripreso nel 2015. Potresti parlarcene un poco? Quale fu la tua esperienza all’Ucciardone?
Paride Benassai: Questa è tra le esperienze più significative della mia vita personale ed artistica.
Ci sono dieci porte nel carcere UCCIARDONE di Palermo che separano dalla libertà, dieci porte in entrata e dieci in uscita … ogni porta è un granello di storia, personale e collettiva.
Cosa significa stare in prigione? Migliorarsi o peggiorarsi? La prigionia è veramente un periodo di riabilitazione?
Ho passato tre anni indimenticabili in quelle mura che opprimono ma non spengono ogni speranza. Sono mura fatte di pietre, di ferro, di parole e di storie … tutte meritano di essere ascoltate.
Nella storia della città di Palermo fui il primo a portare il Teatro dentro le carceri … Tre anni poi furono, tre anni di una umanità costretta a vivere al limite dell’esistenza …
Perché quando un uomo perde la libertà dovrebbe avere anche il diritto di riconquistarla … non bisognerebbe mai lasciare qualcuno troppo indietro…

L’Idea Magazine: Stai scrivendo qualche nuova opera teatrale al momento?
Paride Benassai: Ogni cosa a suo tempo. Ne parleremo alla prossima intervista, se ci sarà. Intanto grazie per questa bella occasione.

L’Idea Magazine: Parliamo un poco dei film nei quali hai recitato. “Una storia senza nome”, per esempio. Che parte avevi e quanto trovasti interessante fare un film basato su una storia vera?
Paride Benassai: Con Roberto Andò regista, ho fatto due film ed una opera teatrale. In questo film di Roberto ero il capo banda di un gruppo di ladri che aveva (forse su commissione) il compito di trafugare e sottrarre un Caravaggio, quadro ancora oggi non trovato …
Questo “Caravaggio trafugato” è ormai in Italia e nel mondo diventato una leggenda; dietro si nascondono tante ipotesi, tante storie… Robertò Ando ha il merito di averne fatta una sua personale storia, avvincente ed intrigante, non soltanto nella storia in sé, ma soprattutto nelle infinite possibilità di interpretazione che gli stanno dietro; è un film che consiglio di vedere a chi non l’avesse visto.

L’Idea Magazine: In “Un pugno di amici” la tua parte è quella di un boss mafioso. Pur tenendo presente che il film è prettamente comico, ti turba in qualche modo che ci siano questi personaggi nei film?
Paride Benassai: Assolutamente NO. La cinematografia prova a raccontare una realtà, una vita concreta, una tra le tante possibili ipotesi di esistenza, una storia … Ogni storia merita di essere ascoltata … Il cinema, come il teatro, non deve e non può giudicare, deve soltanto spingere alla riflessione, e quando questo riesce sta a significare che siamo di fronte ad un compito svolto egregiamente. Il resto è un pensiero che, nella migliore delle ipotesi, ci portiamo a letto prima di dormire.
Da parte mia resto sempre affezionato ai personaggi che interpreto, penso che la credibilità di un personaggio interpretato da un attore stia nella capacità di sapere amare, nel bene e nel male, l’anima del personaggio che gli è stata affidata.

L’Idea Magazine: All’estremo opposto il personaggio da te interpretato nel film “L’ULTIMO SORRISO”. Che effetto ti ha fatto ‘diventare’ Don Pino Puglisi?
Paride Benassai: Non conobbi in vita Don Pino Puglisi. Quando mi fu affidato questo ruolo cercai di documentarmi il più possibile. Ebbi la fortuna di incontrarmi con uno dei fratelli di Don Pino, FRANCO. Franco Puglisi, il fratello, fu il mio autentico mentore nel viaggio che mi condusse alla interpretazione di un uomo e di un sacerdote che ha lasciato un segno inequivocabile, un imprimatur unico, una strada maestra, veramente benedetta da Dio…
“Dove è Dio? Dio non ci parla mai direttamente, ma sempre attraverso gli altri … sono questi Altri che dobbiamo imparare ad ascoltare” … (3P, così lo chiamavano, alludendo alle prime lettere Padre Pino Puglisi)
Sono grato al mio destino che mi ha messo sulla Sua strada, interpretare Lui mi ha insegnato tanto e mi ha cambiato anche di più, non ho alcun privilegio, nutro soltanto gratitudine. È come quelle esperienze della vita, che a prescindere da ogni santità o miracolo, da ogni credo o religione, ti fanno percepire che ha funzionato, è servita quella esperienza, ti ha nutrito, ti ha fatto crescere … e per fortuna c’era pure tanto sole …
Che effetto mi fa avere interpretato Lui?
Ogni volta che mi capita di rivedere il docufilm “L’ULTIMO SORRISO” … non mi riconosco mai, vedo soltanto 3P … e non è vanità …

L’Idea Magazine: Hai ripreso il personaggio di Don Pini Puglisi anche in un musical …
Paride Benassai: Il musical è stato veramente molto impegnativo. Era già uscito il docufilm, e si erano raccolti consensi positivi ed unanimi, eravamo contenti …
Però arriva, improvvisamente, anche il teatro … che fare? Accetto; il teatro è teatro …
Ora, in teatro non si bleffa, al cinema se una inquadratura non va puoi sempre ripeterla, in teatro NO … non ci sono inquadrature, c’è un pubblico, ed è diverso sera per sera … Non si può mentire, non si può …
Siamo a Palermo, per il debutto, ed è la città di 3P. Tanta gente ha conosciuto, respirato, amato nella vita Don Pino, tanta gente verrà a vedere il musical che racconta la sua vita…
Eppure… Eppure ero tranquillo, sentivo… Sentivo che se la finzione avesse avuto scaglie di verità, il pubblico avrebbe apprezzato…
E quella sera in platea c’erano TUTTI, tutti quelli che avevano conosciuto, condiviso, vissuto, percepito … La serata in teatro fu un trionfo … Non lo dico per piaggeria, per vantarmi … Lo dico e lo racconto perché le cose accadono al di là della nostra volontà …
Le cose accadono e basta, a noi resta il modo in cui le viviamo … queste cose che accadono.
Personalmente ho messo dentro la mia interpretazione tutto ciò che avevo dentro, ma sapevo che non sarebbe stato sufficiente … occorreva l’alchimia, l’alchimia del teatro, la sua magia … Magia fu … La gente, il pubblico mi diceva alla fine della rappresentazione “ho rivisto 3 P” … Ero felice, ma non per me … per LUI … Il Teatro aveva vinto la morte … 3P era stato con noi … era VIVO …
Anche adesso, a distanza di tempo, penso di non avere alcun merito … forse solo uno … Avere provato a cercare SCAGLIE DI VERITÀ
Qual è la differenza tra teatro e cinema? Al cinema ciò che è fatto è fatto … e non dipende sempre da te, c’è l’inquadratura, il regista, il direttore della fotografia, il montaggio, la postproduzione … In Teatro c’è il PUBBLICO …

L’Idea Magazine: Hai interpretato personaggi sia in film drammatici, quali “The Passion of the Christ” e “Mario e il mago”, “Nuovo Mondo” e “Il manoscritto del Principe”, sia in film comici, quali “My name is Tanino”, “L’ora legale’, “il sette e l’otto”, e tanti altri. Capisco che, come attore di origine teatrale, sai recitare qualsiasi parte, ma qual è la parte da te preferita, quella comica o quella drammatica?
Paride Benassai: Non c’è una differenza, è come nella vita … Si ride e si piange … tutto è vero, tutto è così … tutto merita di essere vissuto …
Anche le nostre vite sono ora comiche ora drammatiche… partecipiamo, però…  quando partecipiamo con consapevolezza, anche quando non ci è chiaro… e ci predisponiamo al miracolo della VITA, tutto diventa un gioco, un gioco meraviglioso, un gioco in cui puoi scegliere …
COMICO o DRAMMATICO? Sono certo che ognuno di noi direbbe COMICO, COMICO…
Ecco, per me, questo è possibile … non riguarda il destino, riguarda il nostro modo di partecipare ad esso … Quando piove non c’è modo di arrestare l’acqua che cade sulla nostra testa, possiamo soltanto ripararci, magari con un ombrello … apri l’ombrello e, se vuoi, puoi pure cantare e sorridere sotto la pioggia … quando il temporale poi passa ci resta dentro una esperienza particolare, qualcosa da raccontare … quella esperienza ci ha insegnato una nuova prospettiva … un suggerimento per chi ha il tempo di ascoltare …
Un attore sa utilizzare ambedue i registri, il comico ed il drammatico. Nella mia carriera ho potuto osservare che i più grandi attori drammatici sono spesso i comici … Difficile il contrario.

L’Idea Magazine: Di film e serie televisive ne hai fatte molte. Ultimamente fai parte del cast di “From Scratch; la forza di un amore”. Puoi parlarcene un poco?
Paride Benassai: From Scratch è una magia, una poesia, un inno all’amore universale. Il suo successo planetario ne è la prova. Per me è stata l’esperienza professionale più bella e totale che abbia vissuto sino ad oggi. Un cast stellare, quelli non erano attori, erano anime che si erano scelte per ritrovarsi insieme in una storia (vera) da trasmettere agli altri. Sul set si respirava un’aria che era familiare, eppure prima di allora non ci eravamo ancora incontrati. Il merito credo sia intanto degli sceneggiatori e della regia. Raccontare storie realmente accadute è sempre un rischio, non si sa mai se la finzione riuscirà a restituire verità e bellezza alla realtà.
In From Scratch i due piani, ad un certo punto, si sono incontrati naturalmente, si recitava ma non si aveva più la certezza che si stava recitando … Le vicende che si narrano sono storie umane che appartengono ad ogni famiglia di questa terra, senza distinzioni di razze, religioni, credenze, colori della pelle … Per questo si piange e ci si commuove alla visione della serie, perché il sentimento universale è palpabile in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni parola degli interpreti … Tutti gli attori si sono spogliati dei propri abiti personali per diventare autentici personaggi … questo è possibile quando … “e per finire mettici sempre amore”.

Una scena di “From scratch”.

L’Idea Magazine: Tra tutte le tue interpretazioni per la televisione, quale ti è rimasta più nel cuore e perché?
Paride Benassai: Sono molto affezionato ad una serie tv Mediaset L’ORA, INCHIOSTRO CONTRO PIOMBO per la regia di Piero Messina. La storia ambientata negli anni ‘50 del quotidiano di Palermo L’ORA, il primo quotidiano anti-mafioso d’Italia. Anche questa serie s’ispira a fatti di cronaca veramente accaduti. Il mio ruolo era quello del Signor Scianna, padre di Domenico, giovane giornalista morto in circostante misteriose; nella realtà si capì successivamente che la messa in scena dell’apparente suicidio del giovane nascondeva una strategia di morte ordinata e voluta dal capo mafia Luciano Liggio.
La serie prende spunto da eventi realmente accaduti ed è il racconto di un’indagine serrata che vide i giornalisti de L’Ora coinvolti in prima persona su più fronti, costretti a mettere a repentaglio non solo gli affetti più cari ma anche la loro stessa vita pur di arrivare a collegare vicende apparentemente slegate.
Il mio era un ruolo drammatico ma ricco di sentimento. Un esempio di autentico amore paterno, la morte del figlio diventerà nella mente del padre desiderio di verità e di lotta … un messaggio a non arrendersi mai … il desiderio a trovare un senso alla fine della vita del figlio, — “non voglio che mio figlio sia morto invano, u capisci?” — così griderà in faccia ad Antonio Nicastro direttore del giornale.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Paride Benassai: Due sogni.
Il primo è recitare in teatro un classico della tragedia greca. Magari anche a Siracusa.
Il secondo recitare in un film che s’ispiri al cinema muto degli anni ’30; sogno un ruolo in cui possa recitare senza parole…
Terzo… tornare a lavorare in America!

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio a tua scelta, del passato o del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Paride Benassai: Mi farebbe piacere incontrare Charlie Chaplin … e chiedergli: “Charlie, ti va di rifare insieme TEMPI MODERNI? C’è tanto da raccontare…”
Sono certo che accetterebbe; l’immaginario collettivo oggi racconta più di milioni di parole.

L’Idea Magazine: Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Paride Benassai: Sincero, passionale e amante della VITA

L’Idea Magazine: Oltre alla recitazione e alla regia, hai altre passioni?
Paride Benassai: Amo la natura, oggi vivo in una campagna siciliana … mi ci sono accostato da poco a questo ritmo di vita … piante alberi orto animali … La natura è maestra, t’insegna tutto, devi soltanto rispettarla, osservarla e imparare da Lei …

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Paride Benassai: Vi voglio bene anche se non vi conosco tutti personalmente, voi siete l’autentico successo di ogni attore … anche il mio … GRAZIE.

Tiziano Thomas Dossena
Tiziano Thomas Dossenahttp://tizianodossena.info
Tiziano Thomas Dossena is the Editorial Director of L’Idea Magazine. He is the author of “Caro Fantozzi” (2008), “Dona Flor, An Opera by van Westerhout” (2010), "Sunny Days and Sleepless Nights" (2016), "The World as an Impression: The Landscapes of Emilio Giuseppe Dossena" (2020), "Federico Tosti, Poeta Antiregime" (2021), and "La Danza del Colore" (2023). Dossena is the editor of A Feast of Narrative anthology series and co-editor of Rediscovered Operas Series books on librettos.

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