Thursday, November 28, 2024

Incanto e lentezza nelle parole di Antonio Aprile

Articolo di Laura Serra

Lentezza, incanto, scrittura, filologia, comunicazione, spettri, paure e il ruolo degli altri nelle nostre vite. Da LIBRERIA CAMPUS BARI abbiamo presentato il libro “Lo spettro del flamenco” di Antonio Aprile parlando di tutto questo e non solo.

Quando hai la fortuna di ascoltare le parole di una persona come Antonio, scegliendo la bellezza della lentezza alla frenesia della festa “comandata” (a Bari in questi giorni è tempo di festa patronale), caschi sempre bene.

Lasciarsi incantare dagli altri sta diventando difficile? Io non credo. Basta ascoltare le persone giuste, quelle che in ogni caso ti lasciano qualcosa e ti insegnano qualcosa. Quelle che aprono il tuo zaino di esperienze e lo riempiono con tutto l’occorrente per il tuo nuovo viaggio.

Ed è stato davvero un viaggio quello che ho compiuto insieme ad Antonio! Una fortuna e un onore per me poter mettere lo zaino in spalla e farmi condurre da lui nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni sulla scrittura, sui pregiudizi, sulle relazioni con gli altri e, in generale, sulla vita.

L’occasione è stata la presentazione del suo racconto “Lo spettro del flamenco” ma Antonio e io non ci siamo limitati a quello: abbiamo infatti condotto un viaggio. Guidati dalle parole di Romano Luperini, Hermann Hesse e Samuele Bersani abbiamo attraversato epoche e chilometri, parole e sentimenti. Per scoprire, alla fine, che ognuno di noi possiede nel cuore un fuoco che arde e non penso sia un caso se la parola “arde” e la parola “arte” hanno una sola consonante che le separa.

Lasciarsi guidare dall’arte è probabilmente tutto ciò di cui abbiamo bisogno in una società guidata sempre più ossessivamente dalla regola della fretta e delle performance.

Antonio Aprile si definisce “umanista a 360 gradi”. Appassionato di musica, letteratura, yoga, affianca al suo lavoro di traduttore i ruoli di scrittore e di tutor didattico.

Ero impaurita all’idea di presentare un libro davanti al pubblico di una libreria nel cuore del quartiere universitario della mia città, ma Antonio mi ha trasmesso la calma di chi si trova in un luogo speciale, dove le parole si fanno musica e chi ci entra sa davvero ascoltare.
Tutto è cominciato dalla parola “viaggio”, il termine che Antonio ha usato per descrivere il suo racconto. Siamo partiti quindi da lì per attraversare i viaggi che più hanno segnato la sua vita e che lo hanno cambiato.

A seguire abbiamo cercato di comprendere in che modo la scrittura e la lettura possono aiutarci quando ci sentiamo persi o quando scegliamo di perderci. Scrivere può portarci lontano, può voler dire tante cose contemporaneamente: può essere un modo per nascondersi in un porto sicuro, per cercare una via di fuga oppure per mettersi a nudo.

Ne “Lo spettro del flamenco” Antonio Aprile, oltre al viaggio dentro noi stessi, racconta anche la paura, l’ansia che ci attanaglia quando non siamo sicuri di noi stessi, lo spettro, appunto, che sembra osservarci quando ci sentiamo costantemente giudicati. L’idea di parlare di spettri nasce spesso dall’esigenza di combatterli o di farceli amici per affrontarli meglio e Antonio Aprile ci ha permesso di immergerci nella sua storia per riconoscere anche pezzi delle nostre stesse storie.
Del resto chi non si è trovato ad affrontare i propri fantasmi?

“Lo spettro del flamenco” inoltre si sofferma sull’ascendente che le persone hanno su di noi ed è interessante notare come nelle dediche inserite nel libro Antonio abbia ringraziato, tra gli altri, la sua docente di inglese e il suo maestro di scrittura creativa. Sono proprio i maestri che ci scegliamo, o che ci capitano, a influenzare -nel bene o nel male- la nostra formazione e il nostro approccio alle cose. Antonio quindi ci ha preso ancora una volta per mano raccontandoci anche il suo rapporto con i maestri: cosa gli hanno insegnato, in cosa vorrebbe vorrebbe emularli, quali dei loro errori vorrebbe evitare.

Lasciandoci portare dal fluire della parole, abbiamo proseguito il nostro viaggio nel racconto di Antonio approcciando via approccio temi sempre più intensi, circoscritti.
Il protagonista de “Lo spettro del flamenco” ha una disabilità visiva e si ritrova quindi molto spesso a fare i conti con i giudizi degli altri. Con Antonio abbiamo parlato di pregiudizi assumendo la prospettiva del protagonista per capire che ciò che viene percepito o etichettato come un ostacolo, può rivelarsi semplicemente una caratteristica personale da accettare e con cui poter convivere nel migliore dei modi.

Abbiamo viaggiato così tra musica e letteratura, fino a toccare quel legame sottile e profondo che unisce tutte le forme d’arte.

Sul finale dell’incontro, prima di salutare gli amici giunti in libreria per ascoltare Antonio, ho voluto citare il testo di una canzone di Samuele Bersani che si intitola “Le Storie Che Non Conosci”. Ecco la parte di testo in questione:

ci sono dei graffiti a coprire un fianco
spirali ipnotiche a matita in alto
e poche righe sopravvissute a un pennarello giallo
[…]
una storia che non conosci non è mai di seconda mano
è come un viaggio improvvisato
a chilometraggio illimitato
una storia in cui tu ti specchi
con i tuoi occhi da marziano
e come una lanterna magica
che non si ferma

Come suggerisce il titolo, la canzone parla di storie che non conosciamo e di quanto tutte queste storie abbiano la propria dignità. Partendo dalle parole di Bersani, ho chiesto ad Antonio cosa spera di lasciare in chi legge il suo racconto.

Quel che Antonio vorrebbe lasciare nei lettori è l’incanto, la sensazione di libertà che si prova quando sappiamo di poter fare quello che ci piace. A prescindere dal risultato e a prescindere dai giudizi, che comunque rappresentano sempre un’occasione per riflettere.

Devo dire che le mie paure per questo incontro sono crollate presto. Antonio ha saputo instillarmi nuovo coraggio.
Per una fifona come me, ascoltare chi parla di giudizi come di spunti per migliorarsi può sembrare un ossimoro. Ma quante volte la paura mi ha fregato! Innumerevoli.
Quante volte ho deciso di gettare la spugna prima ancora di cominciare perché per me “fatto” è peggio di “perfetto”. Mi sono spesso detta: perché provare a fare qualcosa se quel qualcosa non raggiungerà mai la perfezione?

E quante volte invece mi sono sorpresa nel capire che forse ero capace di qualcosa in più, di qualcosa che andava oltre il limite che mi ero imposta.

Superare il limite, abbattere il muro della propria diffidenza e delle proprie insicurezze, dimenticare solo per un istante i giudizi impietosi di chi vorrebbe vederci cadere. In fondo non c’è nulla di male nel cadere e non dobbiamo averne paura: se più giù non possiamo andare, ci possiamo solo rialzare.

Ringrazio nuovamente Antonio Aprile per avermi voluta con lui in questa presentazione barese de “Lo spettro del flamenco”!
[Questo articolo è apparso precedentemente nella newletter della Libreria Campus.]

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