Per le case girano nomi, un gioco,
scherzi che fanno scorrere il tempo.
Da queste parti un suono,
una modulazione.
Striscia su ogni familiare un richiamo
stagionale; sì, perché ognuno cambia
“vestito”, basta un sibilo vocale.
Si cambia l’identità e si sta al gioco.
C’è sempre un nome — ricordi l’attracco
per la barca nella laguna abbacinata
mesi orsono? Il palo di corda e d’alga…
teneva con la barca l’astenia,
le gambe ondeggianti, il sale del tuo corpo.
La gatta che ti guarda sfinita
dal suo male si è lasciata nominare.
Di tante sillabazioni ha trovato
l’origine e il suo commiato:
Bulen Ruza.
Perché, vedi, questo suono non spiega,
oltre questo tempo che tutto, tutto
vuol razionalizzare. Qui il segreto,
la meraviglia. Tutta la famiglia
si è lasciata andare, lettere su,
capovolte; per ogni membro, segni
che cose chiamano per il non verso.
in ascolto tutti pronti al richiamo;
e aspettano la giusta inclinazione
del volto, delle corde in vibrazione.
Il collo che si allunga a dire
il senso dei segni disposti in fila,
indossati a dire la propria vita.
Ricerca rara potere riuscire
a mettere fronti e luce d’anime
un gatto, un uomo, voce e oggetto, pianta,
e, perché no, muovere, far vibrare
una pietra e un cielo stellato a sera.
…………………………………………………………………………….
Quando Bulen sarà giunta nel suo regno
troverà schiere di animali a consiglio.
Firme raccolte: la petizione
per quelli di sopra. S’implora pietà,
un po’ di tenera clemenza di qua.
Un giardino, una comune e lì
chi li liberi dal proprio male,
chi li aiuti, li traghetti all’altra riva,
grazia unita a com-passione, amore sposa
a morte, senza conflitto; procedere
piano tra un tempo e un vuoto, serrati
da fila di intelligenze angeliche
della propria specie poste ad accogliere
quelli che arriveranno in canoe per acque..
Portinai con ali, in un albergo d’oro,
a cinque stelle extra, se nella gabbia
di qua, resta residuo di bontà,
uno che traghetta, medico e mago.
……………………………………………………
Mangia, sta male, senza più forze
si lascia lavare, acqua e sapone,
acqua che l’era in odio, oasi felice
fatamorgana oltre lo specchio.
Batte sul vetro, lei chiede aiuto;
che tu l’accompagni, stringa il suo male.
Per lei, culla le braccia; lei piuma,
capriola d’ossa, pelo che è fumo.
………………………………………………………..
Giorni infelici dentro alla cesta,
sopra un azzurro di mattonella.
Pareva il cielo lo strano alloggio:
la volta è il mobile della cucina.
……………………………………………………………….
Giorgio ha provato con la magia,
diffusa, dorata, la polverina,
farmaco e stelle e più ancora
cure d’amore per Bulen che muore.
……………………………………………………………….
Nella sportina, quella dei viaggi,
quella dell’ultima lotta, un giorno.
21 agosto, sala d’aspetto,
chissà che suono la voce del mago.
A pancia in su, la zampa preme
il cancelletto. Dita di angelo,
mano che è amore oltre la griglia.
Davide forse può traghettarla.
……………………………………………………………………………….
La zappa scava, scava,: non ha sosta.
Presto, che il cielo ha perso colore.
Tu scopri quel velo dov’è avvolta.
Gli occhi son vivi, lei non è morta.
La prendi in braccio, lieve la deponi,
la terra il letto, lo scrigno che chiude
la nostalgia di chi l’ha raccolta,
sono dieci gli anni! Di chi le cambiava i nomi.
Guardi la nuvola così perfetta,
il salice, l’acqua lungo il canale.
Volti quegli occhi, che abbia luce.
Flebile raggio. Quella la direzione.
21 agosto 2007