Articolo di Marina Agostinacchio
Sono nella sala del grande affresco della villa; voglio entrare in punta di piedi nel segreto della megalografia.
A quanto affermano gli studiosi, possiamo dire che questa sala non è un luogo sacro di una setta. Se fosse stato tale, la rappresentazione del rito sui muri avrebbe costituito una profanazione al carattere del mistero stesso, pregno di sacralità.
La sala della pittura, inoltre, è posta all’interno della villa, quindi, eventualmente, poco accessibile alle riunioni degli adepti al culto dionisiaco.
Pertanto il proprietario della casa, attraverso la decorazione parietale, avrebbe testimoniato più che un’adesione alla fede dionisiaca, il desiderio di una rappresentazione di un mondo superiore esprimibile solo con lo svolgimento plastico figurativo di un’iniziazione.
In fondo alla sala, sul lato minore, al centro della parete è rappresentata la coppia Dioniso-Arianna, la più rovinata della sequenza pittorica.
Il dio ebbro, seminudo e coronato di edera, è abbandonato tra le braccia di Arianna; la guarda in modo estatico con la bocca aperta e, guardando i suoi occhi, abbiamo la sensazione di un’intima felicità comprensiva di un desiderio di rivelazione. Il thyrsolonchos, (un bastone di finocchio gigante, ricoperto di edera viti e foglie; nella mitologia greca Dioniso, le menadi e i satiri si ammantavano di esso), posto in diagonale rispetto al corpo del dio, porta dei nastri. Si tratta di un bastone rituale di legno vario, ma più spesso di corniolo o formato da una grossa asta di ferula che portava in cima una pigna emblema di consacrazione. Rappresentava la forza vitale del dio che viene trasfusa nella vegetazione, negli animali e negli uomini.
Mettere in primo piano, al centro della parete, l’apparizione nuziale di Bacco e Arianna, che attraverso il vino e l’amore, permettevano l’accesso alla conoscenza straordinaria e criptica per il raggiungimento di una verità divina, era una promessa al raggiungimento della triade Salvezza, Immortalità, Beatitudine.
A destra degli sposi, un’ancella, in ginocchio, solleva il lino che copre il simbolo fallico, (che rappresenta il culto della fertilità), eretto nel vassoio mistico (perché fa parte della cerimonia attraverso cui l’adepto raggiunge l’unione intima col dio, entità diversa da sé e assoluta). Di fronte a quella visione, una donna alata volta lo sguardo, sconcertata per la scoperta del fallo e rifiutandone la contemplazione (a dichiarare di respingere la conoscenza). Come impazzita, poi, colpisce sul muro di destra, con uno scudiscio, il dorso nudo di una ragazza inginocchiata che, con gli occhi chiusi, (gesto rituale proprio di un’inizianda) soffre della sua mancanza di conoscenza e appoggia, a protezione, la testa e il petto sulle ginocchia di una donna seduta, simbolo dell’Iniziazione.
Quest’ultima, quasi a volere coprire maternamente la nudità della giovanissima, volge gli occhi adirati verso l’esaltata con la frusta. Lo studioso Etienne, parla di un dipinto, situato a Hermopolis, in Egitto, dove nel santuario di Dioniso, Edipo uccide Laio, in presenza di un demone alato.
Questo demone che porta l’iscrizione in greco Ignoranza, ha le ali nere come quello della pittura di villa dei Misteri. Quindi possiamo senza dubbio dire che tutta la sequenza può rappresentare l’idea dell’assenza di conoscenza da parte della ragazza frustata.
La donna irritata con il demone alato, sempre secondo l’Etienne, è simbolo dell’iniziazione. La scena troverebbe sovrapposizione con quella della cista mistica (recipiente generalmente cilindrico di bronzo) riferibile ai misteri dell’iniziazione su un mosaico di Djemila (Algeria).
La giovinetta, l’inizianda, che si rifugia tra le ginocchia di questa, prova dolore per la sua non conoscenza, ha gli occhi chiusi, espressione del rito riguardante l’iniziazione allo svelamento del mondo ultraterreno.
A destra di Arianna appaiono figure femminili, disposte ad accedere alla conoscenza, attraverso la rivelazione del fallo.
Vi è una donna, un’iniziata, con gli occhi aperti, disposti a vedere la vita oltre la vita, ha lo stesso drappo violaceo dell’inizianda. Quasi ad identificarsi con lei, pare volere dirci che, dopo la titubanza iniziale, rivelerà adesione alla visione mistica. Sotto le braccia ha il thyrsolonchos, nuda batte i piatti, come una baccante del corteo bacchico o tiaso bacchico, che si trova in uno stato di sospensione mistica per l’avvicinamento alla dimensione divina.
A sinistra, vicino a Dioniso, la scena presenta figure maschili. Il primo personaggio è un vecchio sileno con la barba e il petto nudo, con una corona di edera sulla testa di pochi capelli e bianca. Ha un vaso con del vino che offre a un satiro. Questi non beve ma vede, riflesso nella bevanda una maschera feroce di un vecchio sileno che lo guarda e ne ha paura.
È ignaro di chi tiene la maschera alle sue spalle. Si tratta di un giovane Pan, con le orecchie aguzze e corna nascenti. Nella parte bassa del corpo è rivestito di un panno ocra.
Il vecchio sileno seduto lancia uno sguardo d’ira alla giovane donna (l’inizianda) che sul muro di sinistra fugge impaurita, fustigata dall’Ignoranza.
La maschera è il simbolo della rivelazione, il mezzo per raggiungerla, il sileno è la guida delle iniziazioni bacchiche, durante l’iniziazione della donna. Sorregge il catino dell’iniziazione al giovane iniziando- il giovane satiro. Ciò corrisponde all’iniziazione della giovane dalla rappresentazione precedente. Il riflesso della maschera nel vino fa parte della serie degli “oracoli di specchio”. La maschera rappresenta la rivelazione bacchica; si tratta di una rivelazione che avviene per gradi, a mano a mano che il riflesso dell’immagine si chiarisce. Questa rivelazione progressiva porta alla sapienza beata. A questo punto interessante è quanto dice Robert Étienne.
“A Hermopolis, Edipo interrogato dalla Sfinge è l’eroe che simbolizza la ricerca della verità attraverso gli errori perché l’Ignoranza porta con sé soltanto il peccato. Questa ricerca può essere rappresentata anche in Narciso che guarda la sua immagine riflessa, e la visione di un’immagine, nel contesto neoplatonico, simbolizza la ricerca della verità che non si conosce se non dopo la rivelazione del gerofante (il supremo sacerdote addetto ai misteri eleusini). Così la giovane inizianda si carica di una verità che la invecchio, che la trasporta da un’età a un’altra ed è nello sguardo del vegliardo che riluce la saggezza, la conoscenza della verità suprema”.
La rivelazione trova espressione nel Pappo-Sileno che nudo, con un’espressione estatica verso Dioniso e Arianna e una corona di alloro tra i capelli, canta con la lira la sua felicità.
Tra il Pappo-Satiro e la giovane donna impaurita si pone un giovane satiro che suona il flauto mentre un panisco allatta un capretto e un caprone in primo piano
Al di là dell’ambientazione pastorale di questa rappresentazione, chiaro è il riferimento alla formula esoterica del capretto caduto nel latte il cui significato simbolico si può evincere dalla laminetta di Thuri Sibari, (l’attuale Terranova di Sibari).
(Le laminette indicano al defunto la strada perché esso si possa orientare bene nel percorso post-mortem; “egli dovrà dichiarare ai giudici dell’al di là la sua ‘natura divina’: sono figlio della Terra e del Cielo).
Tornando alla defunta (seguace di Orfeo) essa dichiara la sua appartenenza “alla stirpe felice degli dèi” e descrive la sua morte con parole ricche di pathos. Essa si presenta a Proserpina e ai giudici d’oltretomba con queste parole:
“Vengo pura dai puri, o regina degli inferi,
Eucle ed Eubeo e voi altri dèi immortali,
poiché io mi vanto di appartenere alla vostra stirpe felice;
ma la Moira mi soverchiò, e altri dèi immortali
………………………. e la folgore scagliata dalle stelle.
Volai via dal cerchio che dà affanno e pesante dolore,
e salii a raggiungere l’anelata corona con i piedi veloci,
poi m’immersi nel grembo della Signora, regina di sotto terra,
e discesi dall’anelata corona con i piedi veloci. (Essi mi dissero):
‘Felice e beatissimo, sarai un dio anziché un mortale’.
Agnello caddi nel latte”.
(Laminetta trovata a Turi, 1)
‘Agnello caddi nel latte’, con questa frase vengono dichiarati con forza incisiva la contemplazione della beatitudine, il pieno conseguimento della felicità, aspirazione di ogni uomo ad una forma di godimento superiore.