di Tiziano Thomas Dossena
Bruno Pegoretti stava sulla soglia della propria galleria nel centro di San José del Cabo, nello stato di Baja California Sur, in Messico. Aveva appena intavolato una conversazione con l’amico artista Piero Milani, che esponeva nella galleria a fianco, quando lo interruppi parlando in italiano, fatto che lo sorprese alquanto. Da quel momento mi trovai ammaliato dalle sue spiegazioni sull’arte in generale e sulle sue opere in particolare. Sarei potuto stare tutta la sera ad ascoltarlo. Ammirai i suoi quadri che sprizzavano di spontaneità e di colore, ma anche di qualcos’altro, quasi intangibile ma certamente captabile immediatamente anche dall’occhio non esperto: le sue opere ti passavano una certa sensazione di entusiasmo, di voglia di vivere, di positività che normalmente provi quando ti trovi davanti ad un tramonto di quelli giusti oppure ad un giorno nel quale l’azzurro del cielo è così intenso da poterti assorbire l’anima… Insomma, i suoi quadri avevano il potere di influenzare l’umore dell’osservatore, e questo è certamente una prova della validità e sensibilità artistica di Pegoretti. Dopo aver chiacchierato a lungo, l’artista mi ha concesso di intervistarlo ufficialmente per la nostra rivista…
L’IDEA: Nell’esaminare i tuoi dipinti è evidente che ci sono due pittori, quello verista o figurativo e quello concettuale. A proposito di queste tue due versioni espressive, avrei delle domande.
Nei tuoi quadri veristi di ultima produzione, che certamente lo sono pur ritenendo una tua individualità espressiva sempre riconoscibile, ho notato che in un certo qual modo la tua presenza a Cabo San Lucas ha influenzato il prodotto finale, nel senso che i quadri non solo si adattano all’ambiente messicano, ma sembrano essere il prodotto di un artista che ha sempre vissuto in quella terra calda ed assolata. Secondo te, quanto ha influenzato la tua produzione artistica vivere in Messico, in questa stupenda cornice ambientale?
Bruno Pegoretti: Sono sempre stato amante del colore, e del colore puro, al punto che non uso la tavolozza: la tavolozza è il quadro dove stendo e accosto colori puri. Il Messico è colore ed io ogni giorno ne sono pervaso. Questa magnifica confusione cromatica può non avermi influenzato?
L’IDEA: È evidente, sia al primo contatto visivo sia dopo aver letto la tua biografia d altri articoli su di te che le tue opere di personaggi diomorfici sono parziamente condizionate dalla tua ammirazione per l’artista rinascimentale Giuseppe Arcimboldo. Che cosa rappresentano per te questi dipinti? Sono solo delle ‘eccezioni’ nella tua produzione artistica oppure solo state delle necessità espressive? Che cosa volevi raccontare con “Alfred” , “Francis” e “Nora”, per esempio?
Bruno Pegoretti: Lo ammetto, mi sono fatto piacevolmente ispirare dalle teste composte di Giuseppe Arcimboldo, che ho avuto il privilegio di ammirare a Vienna, Praga e in altri musei mitteleuropei. Se posso azzardare una differenza tra le sue cose e le mie, essa sta nel fatto che Arcimboldo, per esempio nell’allegoria della Primavera, univa tutta una serie di elementi primaverili (foglie, fiori in boccio, petali…) per creare una sorta di iperprimavera.
Nelle mie figure, riconoscendo e ringraziando il vecchio Giuseppe, cerco di unire elementi meccanici e organici per arrivare alla definizione di un uomo, un uomo nuovo, di là da venire, oltre le guerre e le paci, una sorta di creatura bionica, futura ma non troppo. Chiunque di noi s’è operato di cataratta, ad esempio, vede il mondo
attraverso due palline di silicone, e così per un’artroprotesi, per una valvola cardiaca, per la realtà aumentata o per una semplice carie otturata. Siamo dei cyborg.
Io li spingo un po’ e saltano fuori quelle cose strane che hai visto, ma siamo già noi, solo più estremizzati. Saremo, comunque, almeno nella mia testa, delle brave persone, anzi, delle persone migliori.
L’IDEA: Abbiamo notato che esponi in tutto il mondo e che sei molto conosciuto sia qui in Messico sia negli USA. Che cosa ci si può aspettare dall’artista Bruno Pegoretti nei prossimi anni? Hai progetti importanti e/o artisticamente innovativi in cantiere?
Bruno Pegoretti: Non aspettatavi nulla, se non il procedere quotidiano di una pratica che, grazie agli dei, non impigrisce mai, anzi scopre nuove, magari minime cose, ogni giorno. La scoperta è uno dei tanti privilegi che la pittura ti concede.
L’IDEA: Tua moglie Jill, californiana, ti ha aiutato a fare il salto dalle tue attività precedentia quelle di artista a tempo pieno; una musa, quindi, per la tua arte. È un’artista anche lei? Ti aiuta anche nell’amministrazione della galleria?
Bruno Pegoretti: Si dice che dietro un grande uomo si nasconda una grande donna. Io sono un piccolo uomo, ma Jill è grande. Se ho un dubbio sul come fare qualcosa: “Che colore vedresti come sfondo? Secondo te qual è il prossimo quadro che devo fare? Qua ci metteresti più azzurro?”, Jill ha sempre la risposta e, credimi, è quella giusta.
L’IDEA: Tu passi una buona parte della tua vita all’estero (negli USA ed in Messico). Che cosa ti manca di più dell’Italia quando ne sei lontano? Stai anche tu soffrendo la “sindrome dell’emigrato” per cui quando sei fuori dalla tua nazione la Madre Patria ti appare ancora più bella (e bella lo è, indiscutibilmente) ed ospitale?
Bruno Pegoretti: Amo l’Italia e talvolta ne ho nostalgia, ma questo sole che brilla e non si stanca mai, mi cattura: come non potrebbe? E l’Oceano, le palme, i cactus, tutto mi conduce verso una diversità intrigante, tanto diversa dalla nostra quanto affascinante nella sua scoperta.
Informazioni sull’artista si possono trovare sul sito brunopegoretti.com