L’attuale Flaminia, sulla traccia dell’antica via consolare che da Roma puntava verso Fano e l’Adriatico, ora poco richiama le sue vestigia, tirando diritta da Foligno per Nocera Umbra e Gualdo Tadino, nell’ordinato svolgimento del paesaggio umbro tra una teoria di campi coltivati, casolari ornati di cipressi e ulivi in contrappunto, qualche opificio a bordare la statale assolata e densa del traffico di fine settimana. Si sale verso Gualdo Tadino, in questo sabato di luglio. Il sole picchia forte, a mezzogiorno, in una giornata limpida sotto un fondo azzurro di cielo. Già si scorge della città il profilo dei tetti, dominato dalla Rocca Flea. Lunga la sua storia. L’antica città umbra di Tarsina, posta sulle balze dell’Appennino, nel 266 a.C. fu assoggettata a Roma che gli diede la denominazione di Tadinum e forse il rango di municipium. Certo è che nella Guerra civile la città si schierò con Pompeo, subendo le inevitabili ritorsioni delle legioni di Cesare. Nei secoli seguenti la città divenne grande e fiorente, posta com’era su un’arteria così importante per i traffici. Poi pensarono i Goti di Alarico, nella loro discesa verso Roma, a saccheggiarla e devastarla nel 409 d.C. Ma alcuni decenni dopo, nel 552, assaporò la vendetta quando il suo territorio fu teatro della battaglia di Tagina, nella quale i Bizantini umiliarono gli Ostrogoti al comando del re Totila che, ferito a morte, qualche ora dopo morì nei pressi della città. Ma i guai per Tadinum non erano finiti, infatti più volte fu devastata e poi totalmente distrutta da Ottone III. Due secoli dopo, nel 1180, gli eredi degli antichi tadinati costruirono, intorno al monastero benedettino, un nuovo borgo che, dal luogo ricco di boschi, prese il nome longobardo di Gualdum.
Sottomessa a Perugia, Gualdo conosce dapprima un incendio distruttivo, poi i soprusi della magistratura guelfa, cacciata per accogliere Federico II. Ma alla morte dell’imperatore ritorna ancora sotto i guelfi di Perugia fino al 1367, quindi sotto il governo papale, subendo le alterne vicende tra Papato e Perugia, con i conseguenti governi delle Signorie dei Michelotti, dei Fortebraccio, dei Varano, dei Trinci, degli Sforza, dei Piccinino, talune espressione di famosi Capitani di Ventura. L’ultima signoria di Jacopo Piccinino riconsegnò Gualdo alla Chiesa, che la governò attraverso legati pontifici fino al periodo napoleonico. La città, il 27 luglio 1751, venne seriamente danneggiata da una forte scossa di terremoto. Il sisma cancellò gran parte delle sue architetture tardo-medioevali, pur restando in piedi alcuni palazzi e le belle chiese romanico-gotiche. Nel 1833 papa Gregorio XVI concesse il titolo di città e la denominazione di Gualdo Tadino. Nel 1860 entrano a Gualdo le truppe italiane del gen. Raffaele Cadorna e, con l’annessione all’Italia, ottiene la libertà. Situata in un punto nevralgico sulla Flaminia, Gualdo Tadino diventa uno dei centri più floridi dell’Umbria. Dopo l’Unità d’Italia la città conosce un suo singolare “rinascimento”, con la costruzione del teatro, con il consolidamento d’una nuova borghesia, con il risveglio della produzione ceramica e la nascita di altre attività. Gli artisti della ceramica, con l’adesione alle forme d’arte liberty, fanno della città un modello di sperimentazione artistica e di fermento culturale, mentre la cattedrale, restaurata e munita di campanile, ostenta un bassorilievo raffigurante San Benedetto.
La locale Società Operaia di mutuo soccorso, sorta nel 1861, rivendica orgogliosamente storia e valore di Matteo da Gualdo, pittore di fine Quattrocento, facendo riemergere all’attenzione critica le sue opere, fino ad allora quasi del tutto trascurate. A queste iniziative si aggiungono i positivi interventi sull’architettura urbana e sulle infrastrutture stradali e ferroviarie, dando alla città un volto apprezzabile, arricchito da viali alberati che ornano le antiche architetture del centro storico, come la trecentesca Chiesa di San Francesco con affreschi di Matteo da Gualdo (1435-1507), la Chiesa di Santa Chiara del XIII secolo, la duecentesca Concattedrale di San Benedetto con l’antistante fontana attribuita a Sangallo il Vecchio, la Torre Civica e il Palazzo del Podestà, la Pinacoteca civica, l’area archeologica della Tadinum romana, il Museo Regionale dell’Emigrazione “Pietro Conti” e la Rocca Flea, sede del Museo civico. Nella Rocca, in posizione dominante sulla città, uno degli esempi d’architettura fortificata italiana del basso Medioevo, s’insediarono le truppe di Federico Barbarossa, poi le guelfe perugine, quelle di Federico II che la fece restaurare, fino a diventare poi residenza dei legati pontifici e infine carcere. Da alcuni anni, dopo accurati restauri, la Rocca Flea è diventata Museo civico con le sezioni archeologica e ceramica, con una pinacoteca che conserva dipinti di Matteo da Gualdo e della sua scuola e un grande polittico di Niccolò Liberatore.