Di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo
L’11 febbraio 2016, alle ore 19.30 è andato in scena l’attesissimo Trovatore, di G.Verdi, presso il moderno teatro dell’Opera Bastille di Paris, gremito di spettatori.
Pesante però l’assenza per indisposizione del soprano Anna Netrebko che doveva interpretare Leonora, tanto da far spontaneamente scoppiare un boato in sala all’annuncio dello speaker.
Il pubblico presente è rimasto ulteriormente deluso dalla pessima performance della inadeguata sostituta, la soprano cinese Hui He. Quest’ultima infatti, già nella prima aria ha mancato nettamente un acuto (peraltro non di particolare difficoltà), come già accaduto in una precedente recita, e ha poi proseguito l’opera con estrema fatica, evidenti errori ed esecuzioni appena accettabili. Poteva essere una serata vincente considerata la combinazione del cast con le splendide musiche di Giuseppe Verdi, ma così non è stato.
Discutibile anche la scenografia di Alfons Flores, che ha trasportato quella che doveva essere in teoria la Spagna del XV secolo al periodo della prima Guerra Mondiale, dove troviamo gli interpreti in abiti (creati da Lluc Castels) quasi dei giorni nostri, grazie ai quali il racconto del libretto di Cammarano ne viene parzialmente snaturato. Semplice e minimalista la regia di Àlex Ollé, che ha lasciato quasi interamente ai protagonisti il compito di riempire la scena, arrivando a volte nascondere il coro all’interno della scenografia stessa.
Ambienti oscuri, tenebrosi, volti probabilmente ad enfatizzare il dramma che vivono i protagonisti: arrivano allo spettatore soprattutto immagini cimiteriali, fosse aperte dalle quali emergono fiamme (dell’inferno?) e luci visionarie (spiriti?) riprodotte da maschere antigas; lapidi che improvvisamente si innalzano come colonne per delimitare spazi nei vari quadri degli atti (con cavi che spesso mettono in evidente difficoltà i movimenti degli artisti). Apprezzabile il tentativo di raddoppiare la scena con un fondale a specchio: peccato che il continuo movimento dello stesso provocasse un certo malessere a chi guardava, oltre ad avere per quasi tutto il tempo l’immagine riflessa del direttore d’orchestra esattamente al centro della scena.
I gitani dell’epoca fiamminga sono invece trasformati in emigranti (o fuggitivi?) con tanto di valigia al seguito, e il pugnale che Azucena consegna a Manrico chiedendo vendetta, diventa nel quadro successivo una pistola (siamo in effetti nella prima guerra mondiale…), creando così una mancanza di fluidità nella narrazione che disorienta non poco lo spettatore.
In queste disastrose fondamenta, lodevoli di nota sono invece due dei protagonisti dell’opera: Il Conte di Luna interpretato magnificamente da Ludovic Tézier e Azucena interpretata da Ekaterina Semenchuk.
Ludovic Tézier, dotato di un timbro vocale caldo, con dizione impeccabile, prestanza fisica, perfettamente calato nel personaggio del Conte, ha dimostrato eleganza nel fraseggio, legato di fiato, colori sfaccettati mai banali e adeguati ai momenti narrativi, che ha sfoggiato con naturalezza e apparentemente senza alcuno sforzo. Non nuovo in questo ruolo, ha saputo destreggiarsi in una delle partiture Verdiane più ardite per tessitura, in quanto in alcuni punti necessita di un timbro quasi tenorile, oltre alle immancabili note gravi, eseguite con maestria.
Ekaterina Semenchuk, splendida Azucena come poche ad oggi, per vocalità e drammaticità, ha saputo esprimere nelle sue arie l’intensità adeguata al ruolo, grazie a una voce duttile ricca di sfavillanti acuti e di potentissima voce di petto, mai sgraziata ma incisiva, supportata da un’ottima dizione sapientemente utilizzata.
Deludente invece la performance di Marcelo Álvarez nei panni di Manrico: pur essendo dotato di estensione vocale, bel timbro e squillo, la mancanza del legato di fiato ha fatto percepire all’ascoltatore una eccessiva spinta diaframmatica dei suoni tanto da rendere frammentate le frasi musicali nelle arie del suo personaggio. Eccessiva anche l’enfasi interpretativa con la quale Álvarez ha cantato per tutta l’opera, rendendo in alcuni momenti il suo Manrico molto poco credibile.
Una nota di merito anche all’unico italiano nel cast, Roberto Tagliavini, nel ruolo di Ferrando, capitano delle guardie che, sopratutto all’inizio dell’opera, ha sfoggiato la sua bella voce ricca di armonici, bel legato di fiato e bel canto tutto italiano.
Il resto del cast ha visto protagonisti Marlon Lebegue nel ruolo di Inés, Oleksiy Palchykov nel ruolo di Ruiz, Constantin Ghircau nel ruolo del vecchio zingaro e Cyrille Lovighi nel ruolo di un messo.
L’orchestra e il coro dell’Opera National de Paris, diretti da Daniele Callegari, hanno dimostrato la professionalità che li contraddistingue. La sapiente bacchetta del direttore ha dato un accento iniziale brillante, durato per tutta l’opera (anche se con tempi eccessivamente veloci), che ha fatto assaporare tutto d’un fiato i quattro atti accorpati in soli due tempi.
Trovatore, capolavoro del melodramma italiano, viene dunque un pò stravolto in questo ambito parigino: la passione di queste figure quasi astratte, che verranno poi distrutte dall’unica custode del segreto che li ucciderà tutti, ha percorso nuove strade interpretative. Sarebbero piaciute all’incontenibile Verdi?
FOTO © Charles Duprat/OnP
[…] https://lideamagazine.com//11013/ […]