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Traviata all’Opera Festival Arena di Verona 2021: il dramma e la bellezza femminile nei secoli

Di Federico Scatamburlo [da OperaAmorMio magazine]

Ammettiamolo, Traviata è un’opera che, volenti o nolenti, penetra nell’animo di ogni spettatore, ognuno con il proprio sentire. Proprio per questo motivo non si adatta benissimo ai grandi spazi all’aperto, ma coinvolge molto di più nell’intimità di un teatro al chiuso.

Tuttavia quest’anno la particolare situazione che obbliga i teatri ad adattare le esigenze sceniche a quelle sanitarie ha spronato la creatività, e creato un ambiente intimo anche in questo particolare ed enorme palcoscenico che è l’Arena di Verona. Infatti non si nota più di tanto che l’orchestra è totalmente “dilatata” da un lato all’altro, perché rapiti da quello spazio ben delimitato dai grandi schermi e dalle scenografie essenziali. Mettici immagini di grande effetto perfettamente a tema con la trama, e il viaggio in un’altra dimensione è assicurato.

La Fondazione Arena di Verona, tramite i video design e le scenografie digitali curate da D-WOK, quest’anno con Traviata celebra la figura femminile nei secoli. In un’atmosfera elegantissima le immagini messe a disposizione dalla Galleria degli Uffizi ci rimandano ad ogni tipo di donna del passato, con denominatore comune la grazia, la bellezza, l’intensità degli enigmatici sguardi e dei momenti cristallizzati nelle opere che grandi pittori e scultori ci hanno regalato nello spazio temporale che va dal Rinascimento fino al diciannovesimo secolo. E queste immagini ci accompagnano e velatamente interagiscono con i fondali digitali e con il pubblico. Significativo, nel finale, quando le tele a colori che raggruppano tutte le immagini proiettate durante l’opera, si spogliano della loro cornice dorata e si trasformano in bianco e nero, mentre la protagonista sta passando a miglior vita.

Irina Lungu

A onor del vero il primo atto di questa serata ci ha lasciati un po’ perplessi. Dopo lo struggente preludio iniziale, forse per qualche scollamento tra buca-coro-palco e per la sostituzione all’ultimo minuto dell’interprete femminile protagonista, riscontriamo qualche difficoltà di troppo per Irina Lungu (“madamigella” Violetta Valery), che risulta col fiato un po’ corto e con un canto “distratto”.  Il “Sempre libera” sembra quasi riscritto, con abbellimenti e variazioni mai sentiti.

Ma l’impaccio dura poco e Irina si riprende completamente dal secondo atto, e ritorna la grande interprete che ben conosciamo. Eteree mezze voci, begli acuti e altrettanti bei filati, con nobili accenti e fraseggi che spaziano in tutto quello che è Violetta: a volte sfacciata, a volte straripante d’amore, a volte disperata, passionale, stanca, afflitta e sofferente. Bravissima.

Francesco Meli vocalmente e drammaturgicamente davvero in gran forma, era tanto che non sentivamo un Alfredo così. Con un perfetto controllo del fiato ha giocato a suo piacimento con le dinamiche del suo personaggio, sempre perfettamente a fuoco, con impeto e squillo facili, ma sfoderando anche momenti lirici e romantici, senza mielismi ma anzi con vellutati momenti di notevole livello timbrico.

Anche Luca Salsi ha scavato a fondo nel suo ruolo. Con un canto sempre dosato e sfumato ma con le fondamenta di una ottima dizione, e’ perfetto in Giorgio Germont, del quale riproduce appieno i tratti: padre preoccupato del buon nome della famiglia, che per questo motivo cerca la miglior mediazione per convincere Violetta a lasciare il suo amato, pur conscio fin da subito di creare una inutile sofferenza, della quale alla fine si pentirà amaramente.

Compagna di feste di madamigella Valery è Victoria Pitts, nella finzione Flora Bervoix. Se nel primo atto ha dato tutto sommato una buona prova, nel resto dell’opera non ci ha convinti molto, come anche Yao Bohiu nei panni di Annina.

Per quanto riguarda il resto del cast, finalmente per tutti un dovuto plauso, nessuno escluso: belle voci e ottima dizione dal primo all’ultimo: Carlo Bosi (Gastone di Letorières), Nicolò Ceriani (Barone Douphol), Natale De Carolis (Marchese d’Obigny), Romano Dal Zovo (Dottor Grenvil), Max René Cosotti (Giuseppe), Stefano Rinaldi Miliani (Domestico/Commissionario).

Belli, curati e azzeccatissimi i costumi che vestono i protagonisti. Abbiamo molto apprezzato anche l’uso dei colori nella festa con le zingarelle e i matador, e le danze del corpo di ballo dell’Arena, nel quale spicca per bravura e stupefacente bellezza la prima ballerina Eleana Andreoudi.

Coro dell’Arena, ancora purtroppo relegato nelle gradinate insieme al proprio Maestro Vito Lombardi, non riusciamo ad apprezzarli appieno vista la scomoda posizione ma, tant’è, quest’anno è così. Li rivedremo presto – speriamo – sul palco in tutta la loro bravura e professionalità.

Saremo forse ripetitivi, ma di Traviata non ci si stanca mai. Specialmente quando l’esecuzione, nel suo insieme, è così ricca, sia vocalmente, che scenicamente e musicalmente. Ed è bellissimo tornare a casa portando con sé piccoli pezzi di un’altra vita, di un altro tempo, di un altro amore, che lentamente forse sbiadiranno…ma ci saranno per sempre. Viva Verdi.

La recensione si riferisce alla prima del 10 luglio 2021

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