Bilbao avvolta dalla bruma di un gennaio piovoso mantiene tutta la bellezza originale e colorata di una città che appare al viaggiatore come un quadro astratto, in cui muoversi in itinerari pieni di sorprese…Lungo uno di questi, il Palacio Euskalduna è una meta irrinunciabile. Splendido di legni all’interno, sotto un soffitto stellato, il teatro spagnolo ha visto svolgersi sul suo modernissimo palcoscenico uno spettacolo che era annunciato come un evento e che come tale davvero si è dimostrato al pubblico della città basca, nell’ambito della Stagione lirica 2015 di Abao Olbe: Werther, capolavoro di Jules Massenet.
Il Werther non è opera di ascolto facile né di facile esecuzione. L’immensa sala del teatro di Bilbao, colma all’inverosimile, ha accolto con immediato calore sul podio il grande Maestro Michel Plasson, alla guida della poderosa Bilbao Orkestra Sinfonikoa.
È un direttore dotato di misteriosi poteri, il Maestro Plasson…Le orchestre sotto la sua bacchetta sembrano diventare una morbida creta da modellare. Splendida duttilità ha dimostrato quella di Abao Olbe, che si è lasciata plasmare secondo le dinamiche inflessibili di uno degli ultimi depositari della Tradition Francais in campo operistico.
Capace di chiaroscuri acquerellati, di sovrapposizioni di coloriti quasi Fauve, di increspature sonore su superfici cristalline, così come di frustate improvvise all’anima o stilettate ben mirate ed a segno, la direzione di Plasson si è come sempre dimostrata una tavolozza colma di tinte, sfumature, cangianti espressioni. Ogni suo sobrio movimento ha fatto scaturire inverosimili quanto celesti emozioni sonore, ogni accento è stato colto in pieno, ogni sottolineatura è divenuta una pennellata. La sua sensibilità e, nello stesso tempo, il suo rigore hanno fatto sì che il capolavoro prendesse corpo e si snodasse, con la fluidità studiata dal grande direttore e con i tempi calibrati dall’intenditore raffinatissimo. Tutto ciò che Plasson sa ottenere da un’orchestra è stato ottenuto a Bilbao e porto all’ascoltatore come su un piatto d’argento: la più pura lettura filologica si è unita ad un’espressività variegata di sentimenti che sono arrivati a travolgere l’ascoltatore, in particolare nel quarto atto, dove i moti più profondi dell’animo umano, espressi e pretesi dal capolavoro di Massenet, hanno toccato vertici soprannaturali. La staffilata che conclude l’opera, poi, ha colto in pieno lo spettatore, con la forza violenta e la potenza che il compositore in persona avrebbe voluto. Un Werther ben diretto si può giudicare anche solo dalla battuta finale. E qui la perfezione, fin dalla prima battuta, l’ha fatta da padrona.
Se a tutto questo si unisce la presenza sul palcoscenico di un Maestro del canto francese come il tenore Roberto Alagna, allora veramente si toccano vertici da antologia. L’abbinamento Plasson-Alagna è vincente, lo è sempre stato, ma la maturità sembra unire i due grandi musicisti in un legame sempre più stretto, in risultati sempre più esaltanti.
I due Maestri s’intendono anche solo con lo sguardo e vedere dirigere Plasson è uno spettacolo, come lo è vedere e sentire cantare Alagna da lui diretto: il sostegno dato agli interpreti, protagonista per primo, dal Direttore è quanto di più sentito e vigile che chi scrive abbia mai rilevato. Insieme hanno fatto il capolavoro.
Roberto Alagna è stato a Bilbao un Werther fiero, mai troppo dolce, risoluto e quasi eroico; esacerbato nella sua tragica sottomissione ad un dovere estraneo, addirittura violento, suo malgrado, nell’espressione dei propri sentimenti nei confronti di Charlotte. Ma nello stesso tempo indifeso e solo, di una solitudine disperata, che si avvertiva tangibile e trovava il proprio culmine nella meditazione assorta del gesto estremo, di spalle, di fronte alla vetrata, davanti ad una tormenta di neve.
La sua interiorizzazione dei personaggi, inoltre, è divenuta talmente profonda, che cantare il Werther sempre più gli costa turbamenti dell’animo e notti insonni. Ciò è proprio della sensibilità dei grandi Artisti, che arrivano ad essere addirittura ipersensibili e nei quali l’espressività vocale e la sua trasmissione all’ascoltatore, che ne resta affascinato, arrivano a toccare misteriosi vertici metafisici. Una volta incarnato Werther, poi, come dice il Maestro Plasson, si resta Werther per sempre…
Un protagonista di questo calibro aveva bisogno di un’adeguata Charlotte…E l’ha trovata nella sottile, flessuosa Elena Zidkova. Una Charlotte altezzosa e mai dolce, scenicamente duttile e generosa, vocalmente foriera di sorprendenti espressioni emozionali e di elegante fraseggio. Da sottolineare la sua correttezza nell’emissione e la sua ragguardevole proiezione, in particolare nella sentita aria delle lettere, nonche il complessivo, ammirevole coordinamento con il partner protagonista nei duetti.
Altrettanto interessante la performance dell’esperiente baritono spagnolo Manuel Lanza, che, incarnando un Albert espressivo e sentito, ha dato vita efficace e credibile ad un personaggio che di suo non gode di doti di particolare simpatia.
Gradevoli e corretti tutti gli altri interpreti, tra cui la graziosa Sophie di Elena de la Merced, il ben caratterizzato le Bailli di Stefano Palatchi e i due notevoli e ben coordinati Schmidt e Johann di Jon Plazaola e Fernando Latorre.
Tutto un gruppo d’interpreti che ha dimostrato, quindi, altissime coesione e professionalità, sotto la guida registica di David Alagna, raffinatissimo stage director, oltre che ottimo compositore, fratello di Roberto, il quale ha curato una regia di grande suggestione, possedendo anche la non comune capacità di collocare ciascun personaggio a favore d’acustica verso la sterminata sala di Bilbao.
Suggestiva la sua lettura del Werther” puro”, anima bambina, vestito di bianco, all’inizio, che scambia la propria purezza, un candido velo, con l’apparenza e la convenzione , il cappello donato a se stesso. Egli torna puro al terzo e quarto atto, nella lotta per l’amore, ritornando vestito di bianco anche da adulto, ma soprattutto ritrovando alla fine quel velo e trasfigurandosi poi nella morte tragica, ma non mai colpevole: un Werther credibile, ma nello stesso tempo fascinosamente romanzato.
Fotografie Pagina Ufficiale Facebook Roberto Alagna, Martine Garnier, AA.VV.