Di Federico Scatamburlo
Non ci permettiamo mai di discutere i gusti personali e quindi il fatto che possa piacere o no un allestimento moderno in un opera scritta più di cento anni fa: ma in questa serata dell’11 novembre abbiamo avuto l’occasione di raccogliere le opinioni di un pubblico numeroso ed eterogeneo, accorso per l’occasione di una particolare Traviata, andata in scena al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena. E le nostre idee, o gusto che dir si voglia, sono state confermate anche da numerosi fruitori abituali e non, che hanno decisamente espresso parere negativo.
I grandi compositori, che ai tempi nostri non annoverano seguaci degni di tale nome, ai loro tempi hanno dato sfogo al genio creativo sviluppando geniali tessiture in musica, parole, cantabile e messinscena molto precise.
La partitura orchestrale normalmente segue ed accompagna gli artisti sul palco con intenti ben precisi, per creare atmosfere e sottolineare situazioni e accenti, nel dipanarsi di una storia che ha (quasi) sempre una sua ben precisa collocazione.
Chi conosce l’opera sa quindi molto bene cosa accade durante la rappresentazione, e questo fa sì che l’uditore possa concentrarsi soprattutto sulla musica e sulle performances degli artisti, nel caso in cui le scene ripercorrono e mantengono l’intento dell’autore. Ma quando si ambisce a tutti i costi nel fare qualcosa di diverso, rileggendo una trama in un modo altamente improbabile, e ambientandola in un qualcosa che non appartiene per nulla alla storia, per l’ascoltatore diventa difficile seguire l’esecuzione perché troppo intento a cercare di capire il “nuovo” messaggio lanciato dal regista, e lo stesso accade, a nostro avviso, anche agli stessi interpreti.
E così è successo in questa infelice rappresentazione, dove la regista Alice Rohrwacher “migra” la protagonista in un sogno cinematografico, dove vengono a mancare quasi tutti i principali elementi scenici e drammaturgici originari, tanto che in alcuni momenti è perfino difficile identificare i personaggi principali e i loro ruoli, fino al punto da farci rimpiangere la modernissima messa in scena di Carsen vista più volte al Teatro La Fenice di Venezia, il che è tutto dire.
Violetta è qui una bambina immersa in un sogno d’adulta, le cui immagini si riflettono in uno specchio/schermo che lascia intuire l’andamento onirico della storia. Infatti tutto si svolge più o meno nello stesso ambiente, ovvero una grande valle desolata ricoperta da un tappeto chiaro, dove gli ambienti non sono più identificabili, né interni né esterni, e che diventano quindi sia la stanza di Violetta e contemporaneamente la sala delle feste di Flora, passando per il giardino che normalmente si vede dalle stanze della protagonista. Una grande voragine é atta forse a simboleggiare la futura morte, mentre tutto è attorniato da riflettori e altri strumenti cinematografici. Non è nemmeno stato necessario l’intervallo tra il secondo e il terzo atto dato che le scene sono rimaste pressoché invariate, e Violetta passerà oltre sempre nello stesso posto, uscendo (forse) dal sogno ritornando bambina.
La struggente storia narrata da Giuseppe Verdi in questo modo ha qui perso il pathos caratteristico di Traviata e tutto è diventato sterile e privo di attrattiva, compresi i costumi di scena: con menzione a parte per i begli abiti di Violetta e uno di Flora, abilmente creati in esclusiva da “miu miu“, il resto degli interpreti veste panni anonimi e scialbi, curati da Vera Pierantoni Giua. Persino il coro si drappeggia in grigi grembiuli e tristi abiti civili dei nostri giorni alternati a qualche nudità totalmente fuori luogo (stiamo cominciando a chiederci il perché nelle opere ultimamente troviamo spesso espliciti richiami alla prostituzione ed a una velata -ma neanche tanto- omosessualità).
Detto questo, il che non é poco, la débâcle della rappresentazione è stata tuttavia sancita proprio dalla protagonista, o meglio dalla sua interprete. La Violetta di Mihaela Marcu, pur essendo drammaturgicamente ben calata nella parte, fin dalla prima nota si è capito che dal punto di vista canoro probabilmente non era nella giusta forma. O almeno vogliamo sperare che sia stato così, dato che abbiamo rilevato un interpretazione poco più che scolastica: fraseggi inesistenti, filati troncati, sovracuti raggiunti con evidente difficoltà e sempre ai limiti dell’intonazione e addirittura libere interpretazioni assolutamente fuori luogo. Ciò che più ha lasciato perplessi e che consideriamo inaccettabile per una cantante lirica è stata la mancanza del ritmo: questa Violetta era quasi sempre fuori tempo, tanto da costringere l’orchestra a correggere continuamente il proprio percorso per agevolarla, con un risultato quasi cacofonico.
Anomalia che di conseguenza ha contagiato tutto il comparto vocale, che ha dato vita ad una esecuzione decisamente mediocre. Antonio Gandia ha vestito i panni di un Alfredo impacciato, a disagio e con voce inesistente, ben poco goliardico e tanto meno lirico. Appena accettabile Giorgio Germont (Marcello Rosiello) il quale, pur avendo un colore di voce gradevole, nell’intento di creare effetti di mezze voci probabilmente non nelle sue corde, ha un po’ compromesso tutta l’interpretazione in generale. Idem per i comprimari Flora (Daniela Innamorati), Annina (Alessandra Contaldo), Gastone e visconte di Letoréries (Giuseppe Distefano), Il barone Douphol (Davide Fersini), Il marchese d’Obigny (Matteo Mollica), Il dottor Grenvil (Shi Zong).
Anche il coro Claudio Merulo di Reggio Emilia (diretto da Martino Faggiani) ha risentito della mancanza di coordinazione ritmica, sbagliando spesso gli attacchi e, ovviamente, i tempi, con disomogeneità vocale ed effettuando una prova quindi decisamente poco gradevole e priva di nerbo. Pessime le esecuzioni delle “Zingarelle” e dei “Matador”.
L’unica nota di merito in tutto questo disastro va alla direzione musicale, affidata a Francesco Lanzillotta: attuale direttore principale della Filarmonica Arturo Toscanini e considerato uno dei più promettenti giovani direttori nel panorama musicale italiano, negli ultimi anni ha diretto in alcuni fra i più importanti teatri italiani, fra i quali Teatro La Fenice di Venezia, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Verdi di Trieste, Teatro Filarmonico di Verona e Teatro Lirico di Cagliari. Abbiamo avuto l’occasione di vederlo in azione in alcuni di questi contesti, e abbiamo sempre apprezzato la sua capacità di analisi e sviluppo delle articolazioni, dei fraseggi e dei ritmi (memorabile il Roberto Devereux con Mariella Devia a Genova). Non ci è sfuggita pertanto la difficoltà che si è trovato ad affrontare nella direzione di questo spettacolo, dati gli strani ritmi che si sono dipanati dal palco e per i quali ben poco ha potuto fare se non tentare di adeguare la “struttura” orchestrale, spostando degli strumenti in posti diversi dell’usuale, ed adeguando i tempi in ogni singolo momento.
Una Traviata “incerta” dunque, che, nonostante la struggente struttura melodica di cui è composta, non ha emozionato come dovrebbe, con assenza totale di applausi nelle arie più famose e coinvolgenti, e timide approvazioni al termine. Da dimenticare.
La Traviata
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Personaggi e interpreti principali
Violetta Valéry Mihaela Marcu /Claudia Pavone
Flora Bervoix Daniela Innamorati
Annina Alessandra Contaldo
Alfredo Germont Antonio Gandia / Ivan Ayon Rivas
Giorgio Germont Marcello Rosiello
Gastone, visconte di Letoréries Giuseppe Distefano
Il barone Douphol Davide Fersini
Il marchese d’Obigny Matteo Mollica
Il dottor Grenvil Shi Zong
Direttore Francesco Lanzillotta Regia Alice Rohrwacher Scene Federica Parolini Costumi Vera Pierantoni Giua Luci Roberto Tarasco Movimenti coreografici Valentina Marini Maestro del coro Martino Faggiani
Orchestra dell’Opera Italiana Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia
Tutti i costumi indossati da Violetta e un costume indossato da Flora sono stati creati in esclusiva da MIU MIU
Coproduzione Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Comunale di Modena Teatro Sociale di Como /As.Li.Co, Fondazione Teatro Grande di Brescia Fondazione Teatro Ponchielli di Cremona, Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo Fondazione Teatro Fraschini di Pavia
Nuovo allestimento