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“Un Anno e un Giorno”. L’esperienza di un’insegnante milanese a New York. Recensione di Tiziano Thomas Dossena

Ornella Dallavalle

Recensione di Tiziano Thomas Dossena

Nel leggere il romanzo di Ornella Dallavalle a titolo Un Anno e un Giorno devo confessare che avevo dei pregiudizi creati da una informazione superficiale sul libro che informava delle sue critiche al sistema educativo americano. Da buon Nuovayorchese  immediatamente mi ero messo in posizione di difesa: “Come? Critica il sistema scolastico di New York? È facile criticare se non si hanno delle proposte vaide per migliorarlo. E poi, che ne sa lei, una milanese, delle scuole di New York? E così via…”

Mi sono dovuto ricredere. Le sue critiche sono in realtà solo osservazioni più che corrette, e questo l’ho potuto verificare non solo perchè ho studiato a New York, ma anche perchè mia moglie ha insegnato vari anni in questa città. In realtà, il punto focale del libro non è la carenza del sistema educativo, che tra l’altro è stata presentata in modo chiaro e persuasivo dall’autrice, ma il suo rapporto con gli studenti. La tenacità ed il potenziale di alcuni studenti che, grazie soprattutto a lei, riescono non solo a sopravvivere in tale sistema, ma a fiorire e continuare gli studi ad altro livello, è sfortunatamente appaiata dal fallimento della scuola con altri che vengono ‘persi’ e probabilmente si dedicheranno in futuro ad attività criminose.

Nonostante Dallavalle offra delle soluzioni ad ampio raggio, che chiaramente pur essendo valide richiederebbero un cambiamento di mentalità degli amministratori che non  avverrà di certo in brevi tempi, le sue esperienze in tale città portano a pensare che si sia rassegnata a modificare il sistema attraverso la propria dedizione d’nsegnante, e questo libro lo attesta. I problemi di questa città americana, e non solo di questa, sono complessi e risalgono agli anni sessanta, quando una nuova ondata di immigrazione invase la città (principalmente afroamericani in un loro esodo dagli stati del sud che ancora riteneva leggi locali e mentalità a base razzista), seguita a breve da una seconda ondata di immigranti centroamericani e sudamericani, fatti ambedue che portarono molta confusione in un sistema creato principalmente per gli studenti nati e cresciuti in loco. In una nazione in cui la politica ha sempre più influenza su tutto ciò che avviene, i cambiamenti sono spesso superficiali e servono solo a convincere gli elettori che si sta facendo qualcosa in merito, niente di più. Oltre a ciò, negli ultimi vent’anni ci si è voluti mettere a fuoco, erroneamente, sull’inefficacia degli insegnanti e contemporaneamente limitare l’indipendenza e la creatività degli stessi con regole e sistemi a volte troppo restrittivi e puerili.

Detto questo, ritorniamo a questo magnifico romanzo, che è in realtà un diario dell’anno iniziale dell’insegnamento dell’autrice a New York. Bello, si, è proprio un bel romanzo; scritto bene, ben pesato e sviluppato, Un Anno e un Giorno riesce a carpire non solo l’attenzione del lettore, ma anche il suo cuore, portandolo in un mondo affascinante ed allo stesso tempo anche terrificante per le sue inadeguatezze. Le sue osservazioni ci aiutano a capire che New York è un mondo a sè, con tanti difetti ma anche tanti pregi che rendono tale città qualcosa di diverso, incantatore e incantevole anche e nonostante tali difetti.

Dallavalle ci ha voluto presentare non solo le proprie esperienze, ma anche mettere a nudo la propria ‘love story’ con questa città e lo fa con convinzione e sensibilità.  Alcuni passaggi portano con sè una carica emotiva sensazionale:

“New York è l’unico posto al mondo in cui, anche chi ci arriva per la prima volta, ha l’impressione di ritornarci. Sarà per i film o per la facilità con cui ci si orienta, ma è facile sentirsi newyorchesi dopo un pomeriggio passato a passeggiare tra le street e le avenue.
New York è la citta dei mille taxi gialli. Degli americani che camminano con il loro caffé tra le mani. Dei barboni seduti tra l’indifferenza di uomini d’affari e grattacieli di centinaia di piani. Della quinta avenue con i suoi lussuosissimi palazzi. Della tranquillità di Central Park. Della cordialità delle persone che, se ti vedono in difficoltà, si offrono di aiutarti.

New York è tutto e il suo contrario. È la citta delle mille diverse razze. Della gente reale, viva. Sono cinque giorni che la percorro in lungo e in largo e ancora mi fermo incantata a guardare le persone. Emanano energia, forza e grande determinazione. Ogni cosa qui sembra elevata all’ennesima potenza. È più grande, più sporca, più colorata, più rumorosa, più vera, più crudele, più accattivante, più animalesca, più umana.

New York è la citta dei ragazzi di colore che ballano l’hip hop. Delle limousine che sfilano nelle strade. Dell’incanto del ponte di Brooklyn di notte. Degli operai della metropolitana che lavorano ascoltando la musica di Aretha Franklin. Delle stradine e dei prati verdi del West Village. Delle ragazze che girano in pigiama o vestite come principesse. Del mio naso sempre all’insù. E del cielo.
New York non dorme mai. Con i suoi negozi aperti ventiquattr’ore su ventiquattro. Le sue ventidue linee della metropolitana in continuo movimento. La musica per le strade. Le sirene che urlano impazzite e i camion dell’immondizia che girano per tutta la notte.
A pelle si percepisce che è una citta di lottatori e lottatrici.”

Questa carica diventa addirittura impressionante quando l’autrice è testimone di una delle più grandi tragedie di questo secolo, l’attacco al World Trade Center:

“Maria mi informa che due aerei hanno colpito le torri gemelle. È sicuramente un attentato.
“Un attentato? Come? Perche?” Cammino velocemente lungo il corridoio in direzione del lato nord-ovest, quello che guarda verso il sud di Manhattan, fino a raggiungere una finestra. L’azzurro del cielo settembrino è coperto da una nuvola grigia di fumo, le torri gemelle sono in fiamme. È una visione surreale e crudele al punto da togliere il fiato.
Pochi istanti dopo crollano. Tutto succede in silenzio, quasi al rallentatore. La scuola, per un istante, si trasforma in un’immensa mongolfiera. Mi sembra di fluttuare nell’aria insieme alla pioggia di fogli bruciacchiati e ai brandelli di documenti che, volando, stanno attraversando il fiume e inondando Brooklyn, quasi per lasciare una testimonianza corporea delle migliaia di persone che hanno appena perso la vita, soffocate, sotterrate da tonnellate di macerie, bruciate.
Il panico si scatena a scuola. Nel corridoio, Fernando, uno degli studenti della mia Junior class, urla disperato “Mamma, mamma”, in quattro cercano di tenerlo fermo e rassicurarlo eppure continua a dibattersi, come un agnello prima del macello.
I terroristi hanno colpito il centro finanziario di New York, hanno probabilmente ucciso molti professionisti dell’economia mondiale ma accanto a loro, dentro le torri, c’erano anche le centinaia di persone che, come la madre di Fernando, lavoravano come inservienti, camerieri, personale delle pulizie.
E il mio pensiero va a quei volti che ho incontrato solo tre giorni fa: al ragazzo dell’ascensore, alla barista del Windows of the World, al cameriere che era stato cosÌ gentile con me.
A poche ore dall’attentato la citta è in ginocchio, non funziona più nulla, non si riesce a telefonare né a spedire una e-mail, tutti i mezzi di trasporto sono bloccati. Siamo immobilizzati, incapaci di rassicurare i nostri cari, di dire loro che siamo ancora vivi. È una sensazione terribile, di totale impotenza”.

Questa sua sensibilità le permette inoltre di captare la potenzialità degli studenti a lei affidati e di offrire loro una strada alternativa a quella iniziata, migliorando in tale modo non solo il risultato degli studi ma anche la loro vita al di fuori della scuola. E le loro peripezie catturano l’interesse del lettore quanto l’accurata analisi del sistema scolastico. Un libro che avrebbe potuto essere un saggio sul sistema scolastico Nuovayorchese è in realtà un ottimo romanzo colmo di riflessioni, commenti, considerazioni, ma anche di azione, contrasti, e perchè no?, anche di sentimenti: l’affetto provato verso gli studenti, il rancore verso gli ottusi amministratori, l’amore che viene improvviso per poi dover essere abbandonato.

Per chi voglia scoprire come una insegnante milanese sia arrivata ad insegnare a New York e che cosa abbia scoperto di sè, degli studenti americani e di questa città, questo è senza dubbi un romanzo da leggere e gustare.

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