Intervista di Tiziano Thomas Dossena
Il libro Un Anno e un Giorno è il suo primo romanzo.
Ornella Dallavalle: Il libro è basato su eventi realmente accaduti ed è scritto sotto forma di diario, ma il racconto è spesso in terza persona, ci sono molti dialoghi. La mia voce narrante viene sovente sostituita da quella dei veri protagonisti di questa storia: Ceandra, Quosheen, Alex, Josè e Racine. Sono questi cinque adolescenti che ci raccontano la scuola pubblica americana; per questo non considero quest’opera un’autobiografia ma piuttosto un romanzo. L’autenticità e la memoria emotiva ovviamente lo caratterizzano.
Ornella Dallavalle: Tutto è iniziato in seguito ad un incidente stradale che mi ha portato a Ischia, a fare delle cure termali. Lì Luciana, una mia amica, ha visto un’inserzione sul Corriere della Sera. Il provveditorato americano cercava insegnanti. Ho risposto all’annuncio solo per far contenta lei (che insisteva dicendo che ero la candidata perfetta per quel lavoro) e me ne sono completamente dimenticata. Il tutto è tornato alla mia mente quando, a giugno del 2001, ho ricevuto una email con la data per il colloquio. Ci sono andata con poca convinzione e nel giro di un paio d’ore mi sono trovata tra le mani una lettera d’incarico per due anni. Dall’inserzione e dal colloquio non era emerso quasi nulla delle difficoltà reali nascoste dietro quell’incarico: nell’inserzione si vedeva la Statua della Libertà e il ponte di Brooklyn e durante il colloquio mi è stato detto che la scuola sarebbe stata probabilmente a Brooklyn o nel Bronx, ma l’assegnazione definitiva sarebbe avvenuta una volta arrivata a New York. Ciò che mi ha trascinato in questa avventura è stata la magia di New York City, il fatto che il provveditorato americano avrebbe pagato il corso di master che volevo fare e in parte anche l’inconsapevolezza. Mentre riflettevo se partire o no è successa una cosa incredibile, quasi soprannaturale, che mi ha portato al sì definitivo… ma la scoprirai leggendo il libro.
L’Idea: Per quanto tempo hai insegnato?
Ornella Dallavalle: Per cinque anni. Un anno a Bushwick e gli altri quattro a Washington Heights.
L’Idea: Quali furono gli ostacoli più difficili da superare?
Ornella Dallavalle: Il maggiore è stato sicuramente il dover combattere contro un’amministrazione scolastica e un sistema che volevano che facessi la babysitter (con tutto il rispetto per le babysitter) mentre io volevo fare l’insegnante. È stata una vera guerra a suon di lettere…
L’Idea: Quale fu la sorpresa più eclatante di questa tua esperienza americana?
Ornella Dallavalle: Scoprire che lavorare in una scuola newyorchese è un po’ come lavorare alle Nazioni Unite: ci sono insegnanti che provengono da tutto il mondo. Il confronto con loro ha contribuito molto alla mia crescita personale e professionale.
L’Idea: Da una tua intervista con Radio Lombardia mi è parso di capire che tu sei quasi convinta che il sistema scolastico americano sia strutturato apposta per tenere una parte della società in una posizione di svantaggio al fine di continuare ad avere una classe sociale che continui a fare certi lavori. Mi pare un’accusa pesante. Sei veramente convinta che sia così?
Ornella Dallavalle: Non la considero un’accusa ma la constatazione di una realtà sotto gli occhi di tutti. A volte è la presa di consapevolezza che manca. Basta chiedersi qual è la percentuale di studenti provenienti da scuole pubbliche che si iscrive a una buona università (o anche solo all’università) e qual è la perpercentuale di studenti provenienti da specifiche etnie che deve iscriversi all’università. Ti dico solo che ho insegnato per cinque anni matematica nelle scuole pubbliche di New York e ho scoperto, alla fine del quinto anno, grazie al figlio di un amico, l’esistenza del SAT. Il ragazzo (che frequentava una scuola privata) non riusciva a capacitarsi del fatto che io fossi un’insegnante di matematica e non sapessi dell’esistenza di questo esame, fondamentale per essere ammessi nelle principali università americane. Lui mi ha confidato che nella sua scuola si preparavano a partire dalla terza, soprattutto in matematica. Quando ho chiesto alla mia assistant principal spiegazioni mi è stato risposto che gli studenti delle scuole pubbliche non sarebbero stati in grado di passarlo. In realtà, nelle scuole pubbliche, ci sono ragazzi molto intelligenti, che passerebbero tranquillamente il SAT se qualcuno li informasse sull’esistenza di questo esame e li aiutasse a prepararlo. Se poi leggerai il libro, saranno Ceandra, Racine, Alex, Josè e Quosheen a farti capire le altre evidenze…
L’Idea: Quali sarebbero le tue proposte per migliorare la situazione nelle scuole simili a quelle in cui insegnasti?
Ornella Dallavalle: Un sistema scolastico basato sulle competenze è un sistema perdente; bisogna puntare alla conoscenza. Gli adolescenti sono estremamente recettivi e capaci se ben motivati. Bisogna smetterla di sottovalutarli. La scuola non è una società che deve produrre dei risultati economici, gli insegnanti non devono essere costretti a dare dei voti positivi (inutili quando non meritati) per mettere in bella luce il preside o l’istituzione per cui lavorano ma devono fare il loro lavoro: portare i ragazzi alla conoscenza e prepararli per affrontare il futuro come uomini capaci di scelte autonome e intelligenti. Il percorso è complesso ma si parte sempre dalla relazione personale (che deve essere sincera e non ‘manovrata’), gli strumenti didattici sono molteplici.
L’Idea: Hai mai pensato di ritornare a Bushwick e fare una ricerca per scoprire cosa sia successo ai tuoi studenti di allora?
Ornella Dallavalle: Molte volte ma non credo abitino più lì, il quartiere negli ultimi anni è cambiato, è stato colonizzato da architetti e designer. Purtroppo non ricordo i loro cognomi (quelli che ho usato sono di fantasia) per cui non saprei come cercarli ma chissà, magari un giorno saranno loro a ritrovare me.
L’Idea: Che cosa hai tratto di più importante per la tua persona da questa tua esperienza?
Ornella Dallavalle: Ho imparato ad ascoltare e a guardare oltre la rabbia. Ogni ragazzo ha una storia da raccontare e sono tutte bellissime. Ho imparato che i ragazzi di Bushwick, con il coltello in tasca e il pollice in bocca, hanno bisogno di sentirsi dire: “Ce la puoi fare”, hanno bisogno di sapere che sono importanti per qualcuno. E forse questo vale per tanti esseri umani. Ho imparato che ognuno di noi può contribuire a migliorare il mondo in cui viviamo (non è facile ma vale la pena almeno provarci).