di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo
In perfetto orario, alle quindici e trenta di domenica 18 dicembre 2016, il drappo si è aperto al Teatro Filarmonico di Verona, per rivelare la drammatica scena dove un mandarino, dall’alto del suo pulpito, comunica un importante editto al popolo di Pekino:
“Popolo di Pekino! La legge è questa:
Turandot, la pura, sposa sarà di chi,
di sangue regio, spieghi i tre enigmi
ch’ella proporrà. Ma chi affronta
il cimento e vinto resta,
porga alla scure la superba testa!”
Si evince subito quindi che la principessa Turandot sarà concessa solo a colui che sarà tanto abile da sciogliere tre enigmi, ma in caso contrario verrà decapitato. Subito irrompe in scena il nostro eroe, Calaf, principe spodestato, che si accinge a compiere la grande impresa. Egli ritrova il padreTimur, anziano re dei Tartari ormai in esilio e che da molto tempo è stato accudito per amore, e con amore, da Liù, la quale con disarmante dolcezza rivela di essere segretamente innamorata del principe, da quando, tanto tempo prima, egli le aveva sorriso.
Mentre si svolge questa reunion familiare, non poco è il trambusto all’arrivo del boia, che conduce al patibolo l’ennesimo pretendente, nonostante il popolo ne acclami la grazia, fermamente negata dalla principessa. Calaf maledice Turandot per la sua malvagità, ma, appena essa appare brevemente, cede alla sua bellezza e se innamora perdutamente, tanto da decidere di tentare di risolvere gli enigmi.
Sono momenti concitati, dove la musica e il canto travolgono lo spettatore: possenti le note della partitura pucciniana, e lo sa bene l’Orchestra del Teatro Filarmonico di Verona, la quale, guidata dalla sapiente bacchetta del maestro Jader Bignamini, ha mantenuto tempi serrati, volumi orchestrali importanti ed un fraseggio incisivo e ben calibrato, che ha ben sottolineato sia i personaggi che le varie ambientazioni in cui si svolge la trama del melodramma: fin da subito lo spettatore è stato rapito dalle note sontuose e poderose, e dalle luci bellissime che contornavano le voci di caratura di questo cast.
Guidato dal M° Vito Lombardi ottima é stata la performance del Coro della Fondazione Arena di Verona, che in questa occasione ha dato il meglio di sé, eseguendo con raffinatezza e sottigliezze vocali talune parti dell’opera e interpretando in maniera molto convincente le coreografie.
Da tempo non assistevamo a una rappresentazione così coinvolgente, tanto da esserne entusiasti già alla fine del primo atto, con la sensazione di essere catapultati in un mondo magico. E’ raro usare la parola magia per gli spettacoli che vengono allestiti nei teatri italiani, ma questa volta il Filarmonico è riuscito in questo intento, e pure in grande stile: le voci sono risultate molto ben amalgamate fra loro rendendo omogenea l’intera opera e molto scorrevole, tanto che ad ogni fine atto la maggior parte del pubblico è rimasta platea e nei palchi in evidente trepidante attesa del prosieguo per non perdere quella, appunto, “magia”.
L’opera, che apre il cartellone della stagione lirica veronese 2016/2017, richiama l’allestimento dello Slovene National Opera and Ballet, e, grazie alle cure del regista e scenografo Filippo Tonon, che ha curato anche le luci, la psiche umana femminile è protagonista della scena con l’utilizzo di quadri scorrevoli luminosi a simboleggiarne la fragilità mentale, in un insieme prezioso e scintillante ma semplice ed efficace allo stesso tempo. Di grande effetto è stato dunque l’impatto visivo, senza eccessi e fronzoli ma con atmosfere veramente coinvolgenti dall’inizio alla fine. Splendidi tutti i costumi realizzati da Cristina Aceti, specie quando impreziositi da ricami ricercati, sfavillanti quasi di luce propria, che hanno contribuito ad arricchire la scenografia rendendola sempre luminosa e affascinante anche nei momenti più scuri della narrazione, inondando non solo il palcoscenico ma tutto il teatro.
Tutta la partitura di quest’opera verte su registri molto alti, che rendono molto impegnativa la performance degli artisti, che sono stati ben scelti. Il tenore Walter Fraccaro è Calaf: vocalmente e scenicamente ben centrato nel personaggio, pur non avendo una voce di dimensioni particolarmente generose, questa è ben puntata, intonatissimo dall’inizio alla fine. Ben eseguito il celeberrimo “Nessun dorma”, accolto dal pubblico che ne ha chiesto il bis con applausi e ovazioni.
Tiziana Caruso ha vestito i panni di Turandot: perfettamente algida come richiesto dalla trama, dura e graffiante negli acuti sfavillanti come il ghiaccio. Bellissima interpretazione.
Lo strazio che vive la principessa e i suoi trascorsi sono ragguagliati dai tre ministri di corte: Ping, Pong e Pang, interpretati, nell’ordine, da Federico Longhi, Massimo Chiarolla e Luca Casalin. Belle voci ben amalgamate in questa performance; una nota particolare va al baritono Federico Longhi, che avevamo già visto e sentito nell’edizione areniana della passata estate proprio in questo stesso personaggio. Possiamo solo confermare quanto detto già su di lui e sulla sua voce: perfetta dizione, gusto e fraseggio impareggiabili, bel feeling sul palcoscenico con gli altri interpreti. Bravo!
Una rarità l’esecuzione della bella e dolce Liù da parte di Donata D’Annunzio Lombardi: soprano dalla voce importante, ha impreziosito il suo ruolo con degli inaspettati filati, piccole note cristalline che hanno contrassegnato la sofferenza del personaggio in quei brevi momenti di introspezione e distacco dal dramma che sta vivendo. A stento abbiamo trattenuto le lacrime nel momento forse più intimamente commovente che il teatro lirico ci riserva, il sacrificio estremo per amore, che ella compie per non cedere alle torture che la regina le impone per venire a conoscenza dell’enigma che costerebbe la vita al principe Calaf. E questo ci fa capire che spesso la potenza del grande si cela spesso nei più piccoli.
Come sappiamo, a questo punto, per prematura scomparsa dell’autore, il finale viene scritto da altri in più versioni (al lettore scoprirle). In questo caso la regina di ghiaccio dopo essersi sciolta per un bacio rubatole dal principe, cadrà preda dell’amore e tutto si risolverà in un grande inno all’amore stesso.
Completano il cast di questa rappresentazione: Carlo Cigni (Timur), Murat Can Güvem (Imperatore Altoum), Nicolò Ceriani (un mandarino), Salvatore Schiano di Cola (Il principe di Persia).
Entusiasmante quindi l’inizio della stagione per il Teatro Filarmonico di Verona, che fa ben sperare in un prosieguo di successi con le prossime opere. Il prossimo appuntamento è in Gennaio, con Pagliacci.