Recensione di Natalia Di Bartolo
Vienna, 5 dicembre 2015
La musica pucciniana è inossidabile, passa d’epoca in epoca, di voce in voce, di mano in mano e resiste, perenne, come tutti i capolavori dell’Arte.
Al Wiener Staatsoper, il 5 dicembre 2015, la partitura di Tosca è stata affidata alla perizia ed al gusto del Maestro Dan Ettinger.
Il giovane Direttore israeliano ha curato i coloriti in maniera attentissima, trovando da plasmare un ensemble straordinario nell’Orchestra del teatro viennese: gravi da brivido, con una sezione di ottoni mai sentita uguale, di archi strepitosi, soprattutto sempre nei gravi, di legni magnifici, di tutto il resto da lode; un colore orchestrale complessivo che veramente anche chi scrive non aveva mai ascoltato, sia pure dalla stessa orchestra.
Dunque il Maestro ha trovato terreno fertilissimo in una compagine di livello stratosferico, ma è anche suo merito essere riuscito a trarre tali dinamiche che hanno approfondito la lettura della partitura pucciniana dal punto di vista dello spessore e del bilanciamento. Altrettanta attenzione, però, avrebbero meritato i tempi: la tradizione andrebbe rispettata, senza mai alterarli; ma se i tempi della tradizione italiana, cioè quelli scritti, nel pure inossidabile Puccini la bellezza della cui musica è capace di resistere ad ogni strapazzo, vengono alterati secondo un umore personale, allora lo splendore dell’insieme viene a perdere coerenza e coesione, poiché si rischia anche di creare problemi agli interpreti.
La consuetudine vuole che sia il direttore a seguire, supportare, dare sostegno ai cantanti, non l’inverso. Invece, giusto in determinati punti cruciali, questo sembra essere accaduto a Vienna e, in tali momenti, Roberto Alagna, nei panni di Cavaradossi, da Maestro qual è, ha dato segno di non volere far altro che rispettare i tempi corretti del canto e non i momenti slargati dell’ispirazione del direttore. Una specie di sotteso contendere tra golfo mistico e palcoscenico che è venuto fuori soprattutto al primo atto, in cui, ad un certo punto, Alagna ha stretto i tempi in maniera decisa, dando la sensazione d’invertire finalmente e giustamente i ruoli. Una vera lezione di finezza e precisione da parte del celebre tenore, filologicamente di una correttezza impressionante e di una autorevolezza che il direttore non ha potuto che assecondare.
Una messa in scena di Tosca sofferta in toto, questa di Vienna, dopo che il soprano protagonista titolare Martina Serafin, alla prima del 2 dicembre, era caduta malamente all’ultimo atto dagli spalti di Castel Sant’Angelo, fratturandosi un ginocchio. Sostituzione immedata e obbligata, quindi, con il soprano uruguayano di scuola francese Maria José Siri, che si è distinta in una performance esperiente sia dal punto di vista scenico che da quello vocale, qualitativamente di alto livello, culminata in un “Vissi d’arte” di notevole spessore espressivo e sonoro.
Bella voce calda, dal colore bruno molto scuro, ma dotata di acuti morbidi e di una bella proiezione, la Tosca “vellutata” della Siri ha creato con la limpidezza del Cavaradossi di Alagna un mix veramente encomiabile. Lo splendore nitido e cesellato della voce del tenore si è unito alla morbidezza della pastosità di quella del soprano, che è stata assolutamente all’altezza della situazione. Molto graditi al pubblico, dunque, i duetti, dalla qualità sonora assai interessante, in cui le vocalità opposte dei due interpreti si sono fuse in chiaroscuri tutti da ascoltare e da applaudire, nonostante l’esiguità del tempo loro concesso per raccordarsi: appena due giorni. Professionismo ad altissimo livello.
Uno spettacolo che è andato a crescere al primo atto, ma a decrescere al secondo, quanto a spessore drammatico della portata sonora orchestrale. Forse un po’ troppo d’impostazione lirica un secondo atto che dovrebbe toccare la tragedia e addirittura sfiorare il Grand Guignol, come avrebbe amato Sardou. Ma vocalmente è andato decisamente a crescere. Il “Vittoria” di Alagna si è dimostrato sfavillante, ancor più che la sua “Recondita armonia” al primo atto, già splendida.
Il terzo atto è stato il culmine della qualità sonora, interpretativa e orchestrale della rappresentazione, superato lo scoglio dell’apertura, con un pastorello dalla voce alquanto incerta; culmine contornato anche da una scenografia particolarmente suggestiva, firmata da Nicola Benois, che ha fatto levare un mormorio d’ammirazione nel pubblico.
Alla celeberrime note che preludono a “E lucevan le stelle…” e la preannunciano, l’auditorio ha trattenuto il respiro, e tale l’ha mantenuto, fino alla fine del brano, che è sgorgato dall’anima, oltre che dalle sempre straordinaire capacità naturali e tecniche di Roberto Alagna. L’interpretazione del tenore siculo-francese nel brano è stata irripetibile per purezza, coerenza stilistica, eleganza, immedesimazione e resa, sia dal punto di vista vocale che riguardo all’emozione e all’intensità drammatica che l’interprete ha provato e trasmesso, superando se stesso: il pubblico ha pienamente recepito, sommergendolo di applausi alla fine dell’aria. Oltre agli applausi, anche sonore espressioni di consenso gli sono giunte da un teatro colmo all’inverosimile, che non ha contenuto tutta l’emozione di un momento di grande Musica.
L’artista, prima della prima rappresentazione, il 2 dicembre, era stato insignito a Vienna del prestigioso titolo di “Österreichischer Kammersänger“. L’ambito riconoscimento gli era stato consegnato dal Ministro della Cultura austriaco Josef Ostermayer e dal Direttore del Wiener Staatsoper Dominique Meyer.
Nella tradizionalissima messa in scena viennese di questa Tosca, lo Scarpia di Michael Volle si trovava decisamente a proprio agio. Ma, se interpretativamente ineccepibile, perfido e viscido da manuale, il personaggio affidato al baritono tedesco non si è dimostrato altrettanto efficace dal punto di vista vocale, poiché l’interprete era in difficoltà nella zona acuta, fino a un momento di afonia. La perizia scenica e l’esperienza, comunque, hanno tenuto alta la figura dello sgherro papalino.
Quanto ai comprimari più rilevanti nella vicenda, si auspica presto la definizione dell’identità vocale di un basso dalla bella voce, Ryan Speedo Green, che quale Angelotti ha dovuto distaccarsi dalle abitudinarie movenze dell’opera buffa, in cui si è recentemente dimostrato, sempre a Vienna, un buon don Basilio e che invece, in questo caso, avrebbe dovuto rendere assai più altera e drammatica la breve apparizione del nobile patriota evaso.
Allo stesso modo, il sagrestano di Alfred Ṧramek avrebbe dovuto indulgere un po’ meno al buffo, anche vocalmente, senza giungere addirittura a storpiare il nome di Cavaradossi; impegnandosi invece in una maggiore espressività scenica, che certamente avrebbe giovato al personaggio, che buffo non è e che non è il Benoit della Bohème, in quel contesto così diversamente drammatico.Il sagrestano si terrorizza, trema, sprofonda innanzi all’arrogante irrompere violento di Scarpia, all’ingresso al primo atto. Qui, invece, sembrava giocherellare con il paniere e con i pennelli, senza sottolineare debitamente il carattere di una figura subalterna e timorosa, collocata lì apposta per dare la giusta tensione all’azione sul palcoscenico.
Corretti gli altri comprimari, gradevole il Coro dello Staatsoper di Vienna diretto dal M° Martin Schebesta e quello dei Kinder der Opernschule sempre del Wiener Staatsoper.
Purtroppo ogni eccesso è difetto e, se l’eccesso straripa nel rispetto scenico della tradizione, tutto l’insieme della regia ne viene compromesso. La direzione scenica, nella collaudata produzione diretta da Margarethe Wallmann, con la suddetta sontuosa ma un po’ “spenta” messa in scena di Nicola Benois, ha risentito di momenti talmente in linea con la tradizione da diventare stereotipati. Imperdonabili, poi, certi svarioni, come quello di fornire al pittore Cavaradossi colori in tubo, inesistenti ancora in periodo napoleonico, e di negargli, nel momento dell’ultima lettera da scrivere all’amata, perfino la presenza di un calamaio: il povero Mario se lo è dovuto inventare. Infatti, solo l’esperiente arguzia di Roberto Alagna e la grazia di Maria José Siri hanno saputo vivacizzare l’insieme della resa scenica. Questa si è dimostrata routinaria, tranne, dunque, che nei due interpreti principali, costantemente presenti a se stessi ed ai personaggi interpretati e capaci di inventarsi finezze recitative da manuale, come il bacio lanciato al primo atto da Cavaradossi-Alagna alla volta della Maddalena/Attavanti dipinta, poiché l’ha appena scoperta inaspettatamente da Angelotti “eroina” in incognito, coraggiosa, capace di organizzare senza tremare la fuga del fratello e facilitarne il tentativo di salvezza.
Questa Tosca viennese, però, si è dimostrata complessivamente d’alto livello e come tale è stata molto apprezzata nel suo complesso dal pubblico variegato del grande teatro austriaco, che l’ha gradita moltissimo ed ha scatenato, sia tra un atto e l’altro che alla fine, il proprio entusiasmo, portando più e più volte tutti gli interpreti alla ribalta e decretandone l’incondizionato successo.
Una Tosca alla quale anche il mondo degli internauti e dei melomani ha avuto modo di assistere grazie alla diretta in streaming curata dal Wiener Staatsoper, usufruendo, tra l’altro, del privilegio dei primi piani, decisamente tutti da godere.
©Natalia Di Bartolo
PHOTOS © WIENER STAATSOPER/Michael Pöhn, STAATSOPERLIVE WIENER STAATSOPER