Il pianto di un bambino, la lettura ad alta voce, il fischio della metro, le chiacchiere al bar la mattina: le nostre vite potrebbero tranquillamente essere raccontate attraverso vecchie fotografie, sapori, ma anche da suoni e rumori. La scienza si è tante volte occupata della distinzione tra questi due ultimi elementi, soprattutto dal punto di vista fisico.
“Con il termine ‘suono’ si indica una sensazione uditiva che possiede un’altezza definita, mentre rumore non ne possiede una”, spiega Carlo Andrea Rozzi dell’Istituto nanoscienze (Nano) del Cnr. “I suoni, almeno quelli più semplici, presi individualmente, stazionari, di durata non troppo breve e ascoltati consecutivamente, si possono ordinare in una scala che va da grave ad acuto. I rumori no. La percezione del suono, però, è una questione complessa, e nella realtà esistono molte situazioni in cui la distinzione tra suono e rumore può diventare ambigua o perdere del tutto significato. Nel caso della musica, che è generalmente composta di suoni complessi e variabili nel tempo, entrambe le qualità si possono manifestare simultaneamente ed essere parti integranti dell’esperienza uditiva. Nelle orchestre sono presenti sia strumenti ad altezza definita, come gli archi, sia ad altezza indefinita, come alcuni tipi di strumenti a percussione. In ogni caso, gli strumenti ad altezza definita emettono sempre anche componenti ‘rumorose’, ed esistono percussioni perfettamente intonate”.
Nel mondo occidentale, lo studio del suono in termini matematici si fa storicamente risalire a Pitagora, il quale osservò la relazione tra l’altezza dei suoni prodotti da una corda vibrante e la lunghezza della corda stessa. “Lo scienziato greco osservò anche che alcuni intervalli particolarmente consonanti corrispondevano a rapporti tra piccoli numeri interi”, chiarisce Rozzi. “Da allora la matematica è stata utilizzata in primo luogo dai teorici della musica per costruire le scale musicali e solo in un secondo tempo, a partire da Galileo, lo studio del suono è divenuto definitivamente parte di diverse discipline scientifiche: prima fisica e fisiologia, poi psicologia. La matematica, in modo più o meno formale a seconda dell’autore e del contesto, rientra anche nella prassi della composizione. Al giorno d’oggi esistono intelligenze artificiali in grado di comporre musica ragionevolmente convincente puramente su base algoritmica”.
Generalmente, la musica viene associata a un’esperienza positiva. La musicoterapia, a oggi, è non a caso una pratica molto utilizzata per combattere lo stress, una modalità di approccio che interviene anche a livello educativo e/o riabilitativo. “Va precisato che gli effetti della musica sul corpo umano a tutt’oggi non sono stati del tutto chiariti dalla scienza. Se da un lato si verificano effetti fisiologici misurabili durante l’ascolto della musica, dall’altro, a causa della complessa interazione tra fattori culturali e fattori biologici, non è stato finora possibile utilizzarla allo stesso modo di un farmaco”, conclude il ricercatore. “ Tuttavia, essa può rivelarsi un efficace coadiuvante per alleviare il dolore, per favorire la concentrazione, per indurre rilassamento o eccitazione, e può addirittura giocare un ruolo fondamentale in alcune situazioni gravi in cui la comunicazione non verbale rimane l’unico canale attivo di comunicazione col paziente”.
Naomi Di Roberto [da Almanacco della Scienza N. 8 – 21 apr 2021]