di Laura Klinkon
Leggendo Thieves in the Family o Ladri in famiglia di Maria Lisella per la prima volta, mi sono chiesta, ma dove sono questi ladri? La poesia da cui è tratto il titolo, non mi sembra una delle più importanti della raccolta, additando un cugino per il furto di bulbi di giglio da sua nonna moribonda, e sua madre per il furto vindicativo di erbe aromatiche dal cugino. Per quasi tutte le altre poesie, è problematico riconoscere un ladro.
Per capire meglio le poesie, talvolta le traduco, e da questa raccolta ho tradotto una manciata di poesie che mi hanno colpito. Non è che queste poesie sono difficili a comprendere, ma mi sono convinta che ladri ancora ci dovevano essere—a meno ché il vero ladro risultasse di essere la poetessa stessa. Questa possibilità infatti si può avvallorare, se il lettore percepisce che le impressioni della poetessa sono in un certo senso rubate dai suoi familiari, conoscenze, e magari gente sconosciuta incontrata per strada, oppure dei forestieri osservati in altri paesi che popolano questa raccolta. Tutti nella prospettiva di Lisella appartengono alla famiglia umana. Infatti, l’animo di queste poesie è chiaramente aperto, generoso, e acritico; osserva, descrive le impressioni, e per la maggior parte, lascia giudicare, pensare, e talvolta mistificare il lettore.
Intanto, io ho tradotto alcune di queste poesie e rileggendole, ho cercato i ladri impliciti. Vediamo se voi, lettori, siete d’accordo: Infatti nella prima poesia della raccolta The Same o Lo Stesso, ci si potrebbero distinguere parecchi ladri, benché mai additati:
The Same
I want to tell
the little Chinese women
with the loud voices
to sit beside each other
so they don’t shout
across the car,
over my head,
shattering
my space.
I offer my seat.
The lady with the
short-cropped perm
red as a rooster’s comb
in a Chinese market
gives me a toothy grin
the essence of onions, garlic
shakes her head
from side to side like a
tai chi exercise, no, no, no
as if to say, “I may shop in Costco
wear jeans, a North Face down jacket
but you’ll never
make me a Westerner,
won’t drop
my Chinese voice
a single decibel
to suit you and your
Anglo-silence on subway cars
as if they were chapels
or private property.”
I hear my grandmother’s
staccato Calabrese vowels
clang against brick walls
in an alleyway in Queens
with the same defiance,
the same pride
the same sorrow to be in America.
Lo Stesso
Vorrei dire
a queste donnette cinesi
dalle voci rumorose
di sedersi vicino
per non gridarsi a vicenda
nel vagone del metro`,
sorvolando il mio capo,
frantumando
il mio spazio.
Offro il mio sedile.
La donna dalla
permanente corta,
rossa come creste di gallo
comuni nei mercati cinesi
mi sorride a trentadue denti
essenza di aglio e cipolla
scrolla la testa
d’un lato all’altro come
una mossa thai ci, con accenno di no, no, no
come per dire, “Faccio acquisti a Costco,
porto jeans e piumino di North Face,
ma non sarò mai occidentale,
non abbasserò
la mia voce cinese
un singolo decibel
per accommodare te e il tuo
Anglo-silenzio nei vagoni metro`,
che non sono cappelle
né proprietà privata.”
Ricordo di mia nonna
i vocali staccato calabresi
risuonare contro un muro di mattoni
di un vicolo del Queens
lo stesso sprezzo,
lo stesso orgoglio,
lo stesso rimpianto di trovarsi in America.
di Maria Lisella, trad. di Laura Klinkon
Qui, prima di tutto sono le donnette ladre, perché rubano la pace della poetessa parlando forte. Poi, sono gli occidentali che silenziosamente rubano alle donnette l’abitudine di parlare forte nei posti pubblici. Però, anche l’America è una ladra che ha rubato dalla nonna le usanze e le abitudini italiane.
Nel No earrings for Tina o Niente orecchini per Tina la poetessa racconta una vicenda della sua gioventù in cui è andata come ogni sabato al cinema col babbo, questa volta per vedere un film di Greta Garbo:
In questa poesia, subito si direbbe, che la ladra era la poetessa da ragazzina perché ha privato la famiglia e se stessa infatti, di un paio di orecchini in oro. Però, da un altro punto di vista, è la madre che ha rubato alla bambina la scelta di non portare orecchini, oppure, si potrebbe dire che le usanze americane hanno rubato un portafortuna alle bimbe di famiglia italiana. Per di più, nemmeno il regista del film è rimasto senza colpa: ha privato la Garbo della bella figura che avrebbero fatto un bel paio di orecchini in oro!
C’è però, una poesia, Inside o Dentro che dà una forte impressione che la poetessa stessa, se non colta ladra, forse l’ha dovuto essere.
Inside
Hermes’ legs and wings flash
on the pinewood bookshelf.
Rows of hard-won trophies lined up
in order of height.
When you were not home, I would slip
into your room of somber browns
with knick-knacks and trophies.
A halo of dust gathered at the base
of each pedestal – some of marble,
others metal or plastic.
I moved with care
among your museum pieces, arranged
to catch an invasive sibling or a thief.
If I shifted a trophy even a centimeter,
I’d replace it so you would not
notice the altered dust patterns.
A careless sleeve could give me away,
wiping the dust could create a crescent shape.
As if challenged to tread
in forbidden territory spiced with Canoe and soap,
I would lie on your bed,
listen to your records – Joan Baez, the Weavers.
Not satisfied with touring your room,
sometimes I borrowed items,
a belt once hid for years in my closet.
Backing out of the room,
I double-checked all was in place,
no new creases on the bed, no dust puffs altered,
careful not to leave my scent behind.
;
Dentro
Le gambe e le ali di Ermes lampeggiavano
sulla mensola di pino per libri.
Filari di trofei vinti a fatica erano sistemati
secondo l’altezza.
Quando tu non eri a casa, strisciavo
nella tua camera di marrone cupo
decorata con ninnoli e trofei.
Un alone di polvere si era formato intorno
a ogni piedestallo—alcuni di marmo,
altri di metallo o di plastica.
Mi muovevo con cautela
fra i tuoi pezzi da museo, posti in modo
da prendere nell’atto una sorella invadente o un ladro.
Se spostavo un trofeo anche un centimetro,
lo rimettevo per non farti
notare l’alone alterato della polvere.;
Una manica incauta poteva tradirmi,
togliere la polvere poteva creare una mezzaluna.
Come sfidata a invadere
un terrtorio proibito speziato di sapone e colonia,
mi sdraiavo sul tuo letto,
e ascoltavo i tuoi dischi—Joan Baez, i Weavers.;
Non sodisfatta col giro della tua camera,
talvolta prestavo qualcosa;
una cintura si nascose per anni nel mio armadio.
Facendo retromarcia dalla camera,
Ricontrollavo che tutto era a suo posto,
il letto senza nuove pieghe, i battufoli di polvere inalterati,
curavo di non lasciare il mio odore.
di Maria Lisella, trad. di Laura Klinkon
Si potrebbe anche congetturare che il fratello rubava alla sorella il piacere di godersi la sua camera senza ostacoli.
Un’altra poesia, La nebbia veneziana—Fog in Venice, dà risalto al talento di Maria Lisella per creare un effetto di mistificazione. Lei, essendo anche giornalista di viaggio, ci aspetteremmo dei bei ritratti di posti esotici. Invece, ci descrive il sorriso e l’andatura di nativi di altri regioni, o ci fa magari capire le sofferenze correnti o passate di donne e uomini stranieri. In questa poesia, però, rimaniamo mistificati.
La Nebbia Veneziana —Fog in Venice
Robed and twice-twined
with the plush terry cloth robe
that came with my posh room,
I dress for the steaming pool
on this chilly winter night.
The first night of Carnevale in Venice
Beyond this mineral bath
children run among the shadows
with red capes, devils’ horns,
men wear three-cornered hats
as they do in Rigoletto
and women press bulbous breasts
above lace bodices and jeweled skirts.
I can barely see the pool
the fog is so thick
the steam heady—the odor
of boiled eggs rising.
The fog never touches me,
never settles on any surface
swift as a breath,
steam without the fear of heat,
a mist that leaves shadows in the spotlight.
I part the steam with each movement.
It folds over me, behind me,
protects me from the cold night air,
from the light, from the eyes
of the other solitary swimmer.
I hear the water
part in lopsided movements.
Not synchronized,
but in jagged intervals.
He is passing me.
He is invisible.
I would like to ask him to swim in silence,
to make no waves in this temple of steam.
La Nebbia Veneziana
Abbigliata e due-volte attorcigliata
in vestaglia di spugna felpata
dotazione del mio albergo di lusso,
sono vestita per la piscina
questta sera d’inverno gelido.
La prima notte di Carnevale a Venezia
Al di là di questo bagno minerale
bambini corrono fra le ombre
portando mantelli rossi, diaboliche corna,
uomini indossano il tricorno
come in Rigoletto
e le donne spingono i seni robusti
in alto sopra corpini di merletto e gonne ingioiellate.
Stento a distinguere la piscina
la nebbia così densa
il vapore potente—l’odore
crescente di uovo sodo.
La nebbia non mi tocca affatto,
non si posa su qualsiasi superficie,
lesta quanto un respiro,
vapore senza tema per il caldo,
una foschia che lascia ombre nella luce del riflettore.
Spartisco il vapore con ogni movimento.
Mi si piega di sopra, di dietro,
proteggendomi dall’aria fredda della notte,
dalla luce, dagli occhi
dell’altro bagnante solitario.
Sento l’acqua spartirsi in movimenti sbilenchi.
Non sincroni, ma a intervalli seghettati.
Mi sta passando.
È invisibile.
Vorrei chiedergli di nuotare in silenzio,
di non agitare le onde in questo tempio di vapore.
di Maria Lisella, trad.di Laura Klinkon
Si sente davvero l’ambiente di quella piscina, seppure non si distingue un vero ladro, a meno che non fosse l’altro bagnante che ruba il silenzio desiderato dalla poetessa, oppure l’albergo stesso che con il vapore non permette di vedere chiaro i contorni della piscina. Oppure è il gelo invernale che priva la poetessa come anche il lettore della partecipazione al Carnevale. In questa poesia certo che la Lisella non ruba niente dall’effetto ragguardevole della descrizione, e se allarghiamo la prospettiva, dall’effetto di questa raccolta affascinante.
The writer, Laura Klinkon, from Rochester, New York, has just published Sonnets from Fatal Interview/Sonetti da
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