“Nell’immediato futuro non conterà tanto la capacità di immagazzinare una grande quantità di informazioni, quanto quella di selezionarle opportunamente nel sovraccarico informativo in cui siamo immersi. Ciò che chiediamo oggi al cervello è cambiato rispetto al passato”. Così Elvira De Leonibus, ricercatrice dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) del Cnr di Roma, introduce il ruolo cruciale che nella dimensione quotidiana assume la memoria a breve termine, ossia la parte deputata a selezionare le poche informazioni veramente importanti in relazione a ciò che stiamo facendo, e a conservarle per il tempo strettamente necessario.
Il suo team svolge ricerche sulla memoria da molti anni, con particolare attenzione ai meccanismi di base e alla loro deregolazione conseguente all’invecchiamento, a patologie neurodegenerative come le malattie di Parkinson e di Alzheimer o alla schizofrenia, anche con l’obiettivo di individuare possibili strategie terapeutiche. Di recente, i suoi studi si sono focalizzati sulle basi biologiche della capacità di memoria, confermando che esiste un limite alle informazioni che il cervello è in grado di processare in un intervallo breve, cosa che accomuna l’uomo ad altri mammiferi.
“Oggi grazie a Internet e agli smartphone tutti noi siamo costantemente a contatto con una mole di informazioni e stimoli cognitivi pressoché illimitata, ma sappiamo ancora poco su come il cervello risponde a diverse quantità di informazioni da processare in un breve intervallo temporale”, spiega la ricercatrice. “Per capirlo, ci siamo concentrati sull’ippocampo, del quale è noto il ruolo nella memoria episodica, spaziale e autobiografica a lungo termine, come sede dei ricordi. Sappiamo che in condizioni di basso ‘carico’ – cioè quando abbiamo un numero ridotto di elementi da memorizzare, come, ad esempio, piccole spese da fare prima di rientrare a casa – l’ippocampo generalmente non viene coinvolto. I nostri studi hanno però messo in evidenza che quando la lista di cose da ricordare si allunga, questa parte del cervello entra in gioco: al suo interno si attivano, infatti, gli stessi recettori e meccanismi di adattamento che normalmente servono per formare memorie a lungo termine”. In altri termini, così come ricorriamo a un hard disk esterno per espandere la memoria dei pc, in condizioni di elevata richiesta cognitiva aree cerebrali e meccanismi molecolari che normalmente non sono coinvolti nella memoria a breve termine vengono in aiuto del cervello e partecipano al compito, seguendo un principio di cooperazione: “Volendo semplificare, potremmo dire che risorse cerebrali che una volta venivano attivate per registrare elementi da conservare nella memoria a lungo termine, quali date di compleanni, numeri di telefono, mappe delle città, eventi significativi della nostra vita, nozioni scolastiche, si ‘riconvertono’ e diventano alleate nel fronteggiare un elevato carico di informazioni”.
Altro tema legato allo sviluppo tecnologico è la capacità di aggiornare velocemente le informazioni in nostro possesso: la memoria di oggi deve essere flessibile per sovrascrivere velocemente conoscenze che in passato potevano essere valide per tutta la vita.”Oggi abbiamo bisogno di aggiornare e arricchire di continuo il nostro patrimonio conoscitivo e strumentale e dunque il cervello è chiamato a fronteggiare nuove sfide, come la capacità di selezionare le informazioni e filtrarle nel mezzo del sovraccarico informazionale e sensoriale a cui siamo sottoposti”, conclude la ricercatrice. “Allo stesso tempo, come per i muscoli, queste informazioni vanno costantemente verificate e aggiornate alla luce delle nuove conoscenze, un compito emotivamente non facile, come ci ha insegnato la sensazione di ‘non avere certezze’ che abbiamo provato di fronte a un virus fino a oggi ignoto”.
Francesca Gorini [Almanacco della Scienza N. 5 – 10 mar 2021]